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La chiesa, il circo e il rapporto uomo-animale: per capire le carezze di papa Francesco al tigrotto

Dal Catechismo della Chiesa Cattolica (gli animali “possono essere addomesticati, perché aiutino l’uomo nei suoi lavori e anche a ricrearsi negli svaghi”) ad un importante editoriale della Civiltà Cattolica dedicato ai “diritti degli animali” che argomentava l’assurdità delle tesi animaliste. Ecco perché, anche in tema di animali, Bergoglio riporta la chiesa alla purezza originaria. E gli animalisti – portatori di una filosofia che è anche profondamente anticristiana – perdono le staffe.

fr“Quante volte vediamo gente tanto attaccata ai gatti ai cani che poi lascia sola e affamata la vicina. No, per favore no!”. Lo ha detto papa Francesco a metà maggio ai pellegrini radunati per l’Udienza in piazza San Pietro. Lo scorso anno aveva messo in guardia le giovani coppie che per egoismo scelgono un animale domestico anziché un figlio. Poi i tanti attestati di stima e valorizzazione verso il circo classico e ieri quel gesto semplice e pieno di significato: le carezze al tigrotto e al cucciolo di leopardo, insieme ad un volto raggiante nell’assistere al breve spettacolo che acrobati, giocolieri, clown, burattinai, mimi, gli hanno regalato nell’Aula Paolo VI, e la sua espressione si è fatta commossa quando è partita la musica del film di Fellini “La strada”, suo grande amore. Il circo, nella visione di Bergoglio, è tutto questo universo di bellezza e valori. Per il mondo animalista una doccia fredda dopo l’altra, tanto che ieri Carla Rocchi, a capo dell’Enpa, ha perso le staffe ed ha diffuso un comunicato stampa attaccando frontalmente il pontefice ed arrivando ad esprimere un pensiero razzista verso la gente del circo: “Santità, siamo rimasti delusi dal coinvolgimento dei circensi nelle iniziative per il Giubileo della Misericordia”. Perché i circensi no? Sono forse una razza inferiore e nemmeno degna della misericordia della chiesa? Ma la presidente dell’Enpa ha comunque dimostrato di non conoscere la dottrina cattolica in materia di animali: “All’indomani dell’enciclica Laudato Sì speravamo che essa fosse la premessa per un pieno riconoscimento, anche da parte della dottrina cattolica, della pari dignità di tutti gli abitanti del creato, umani e non umani…” Così ha detto. Allora vediamo perché ha dato ulteriore prova (lo aveva fatto anche lo scorso gennaio sparando bordate contro il coinvolgimento del circo da parte dell’Elemosineria Apostolica, per uno spettacolo offerto agli ultimi, ai poveri, ai senza tetto di Roma).

Anzitutto il circo è lo spettacolo del popolo per eccellenza, alla portata di tutti e particolarmente rivolto alle famiglie con bambini. In un mondo segnato da conflitti, divisioni e lacerazioni, il circo è tenda della pace, del dialogo, della fraternità fra uomini, razze, culture e religioni diverse, che da sempre convivono felicemente nei circhi, microcosmi dove non esistono frontiere. Papa Francesco è il papa della gente, del popolo, e particolarmente degli ultimi. Il suo amore per il circo classico s’inserisce in una lunga tradizione di affetto dei papi verso questa antica forma di spettacolo (le cronache che documentano gli incontri e gli spettacoli dei circensi in Vaticano raccontano la grande amicizia che li ha legati ai vari pontefici: da Giovanni XXIII a Paolo VI, da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI fino a Papa Francesco). Il circo è “divertimento sano, distensivo, intelligente, un’esperienza di vivo interesse culturale e ricca di estro umano”, disse Giovanni Paolo II nel 1987 agli artisti del Circo di Mosca.
Ma Papa Francesco si spinge oltre ed anche in tema di animali riporta la chiesa alla purezza originaria ed elementare. Chi considera l’uomo come una variabile secondaria, e quasi nociva, all’interno dell’orizzonte della natura, ovvero l’ideologia animalista, che ha nelle proprie fondamenta una filosofia che cancella la Creazione, non può che restare deluso.

Ci sono alcuni punti fermi di assoluta chiarezza nella dottrina cattolica in tema di animali. Anzitutto il Catechismo della Chiesa Cattolica che richiama il rispetto dell’integrità della creazione:
2415 Il settimo comandamento esige il rispetto dell’integrità della creazione. Gli animali, come anche le piante e gli esseri inanimati, sono naturalmente destinati al bene comune dell’umanità passata, presente e futura. L’uso delle risorse minerali, vegetali e animali dell’universo non può essere separato dal rispetto delle esigenze morali. La signoria sugli esseri inanimati e sugli altri viventi accordata dal Creatore all’uomo non è assoluta; deve misurarsi con la sollecitudine per la qualità della vita del prossimo, compresa quella delle generazioni future; esige un religioso rispetto dell’integrità della creazione.
2416 Gli animali sono creature di Dio. Egli li circonda della sua provvida cura. Con la loro semplice esistenza lo benedicono e gli rendono gloria. Anche gli uomini devono essere benevoli verso di loro. Ci si ricorderà con quale delicatezza i santi, come san Francesco d’Assisi o san Filippo Neri, trattassero gli animali.
2417 Dio ha consegnato gli animali a colui che egli ha creato a sua immagine. È dunque legittimo servirsi degli animali per provvedere al nutrimento o per confezionare indumenti. Possono essere addomesticati, perché aiutino l’uomo nei suoi lavori e anche a ricrearsi negli svaghi. Le sperimentazioni mediche e scientifiche sugli animali sono pratiche moralmente accettabili, se rimangono entro limiti ragionevoli e contribuiscono a curare o salvare vite umane.
2418 È contrario alla dignità umana far soffrire inutilmente gli animali e disporre indiscriminatamente della loro vita. È pure indegno dell’uomo spendere per gli animali somme che andrebbero destinate, prioritariamente, a sollevare la miseria degli uomini. Si possono amare gli animali; ma non si devono far oggetto di quell’affetto che è dovuto soltanto alle persone.

E poi un importantissimo editoriale della Civiltà Cattolica pubblicato nell’ottobre del 2003 dal titolo “I delitti contro gli animali”. Prendeva spunto dall’approvazione alla Camera del disegno di legge che modificava il Codice penale inserendovi “i delitti contro gli animali”. Smontava alla base le idee fondanti dell’animalismo, che nel frattempo ha esteso ancora di più il suo potere lobbistico anche nelle istituzioni della Repubblica (tanto che adesso sta tentando di cancellare per decreto la presenza degli animali dal circo) e vede ormai alcuni deputati impegnati a tempo pieno a rappresentare questi interessi anziché quelli di uomini, donne, famiglie, giovani e imprese, in un’Italia che attraversa ancora una profonda crisi occupazionale ed economica e nella quale cresce la povertà.
Ebbene, Civiltà Cattolica, prendeva le mosse dalla esultanza con quale era stata accolta l’approvazione del disegno di legge: “La proposta, avanzata dal deputato di Forza Italia, on. I. Perlini, e giudicata dal presidente della Commissione Giustizia, on. G. Pecorella, di «estrema importanza» per combattere la criminalità organizzata, è stata approvata dalla Camera all’unanimità. La maggiore esultanza l’hanno espressa gli animalisti. Così — informa il Corriere della Sera (16 gennaio 2003) — la Lega antivivisezione (LAV) parla di «uno storico passo in avanti che non permetterà più di farla franca a chi usa cani per i combattimenti o tortura gatti». Gli animalisti affermano che con questa legge «l’Italia si adegua finalmente agli altri Paesi europei, tutelando gli animali in quanto soggetti di diritti» Il presidente di Legambiente, E. Realacci, giudica questa legge «una spallata alle ecomafie», perché colpirà i delitti contro gli animali connessi alla criminalità organizzata. Aggiunge O. Grazioli: «Quando questa legge andrà in vigore saremo un Paese certamente più civile e più riconoscente verso chi cammina con noi lungo questo corto tratturo che chiamiamo vita» (Libero, 16 gennaio 2003)”.

La parte più succosa della presa di posizione della Civiltà Cattolica è quella dedicata ai diritti degli animali, “rifacendosi alla Dichiarazione Universale dei diritti dell’animale lanciata dall’Unesco a Bruxelles il 27 gennaio 1978”.
Dice la Dichiarazione che «i diritti dell’animale devono essere difesi dalla legge come i diritti dell’uomo». E, notava l’editoriale della Civiltà Cattolica, “così, da una parte, si dichiara che tutti gli animali hanno lo stesso diritto all’esistenza; dall’altra, i diritti dell’animale, sotto il profilo giuridico, vengono posti sullo stesso piano dei diritti dell’uomo, perché devono essere «difesi dalla legge» con lo stesso impegno”.
Il commento del giornale che da sempre passa al vaglio della Santa Sede prima di essere stampato, era stato lapidario: “Se si esaminano con un minimo di attenzione e di realismo questi due articoli, ci si rende conto che non hanno senso. Infatti dicendo che «tutti» gli animali nascono uguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all’esistenza, si deve concludere che nessun animale anche se dannoso all’uomo e agli altri animali può essere ucciso. Così, poiché la zanzara, la mosca, la vipera sono animali, hanno diritto a vivere e dunque non possono essere uccise. Il topo e il gatto hanno lo stesso diritto alla vita e quindi il gatto, mangiando il topo, lede il relativo diritto alla vita. Lo stesso fanno il lupo che mangia la pecora, il leone che sbrana una gazzella, il pesce grosso che mangia il piccolo, il falco che uccide altri uccelli. In tal modo, la natura è un’immensa fucina di «delitti contro la vita», perpetrati sia dagli animali a danno di altri animali, sia dall’uomo, che non rispetta il diritto di tutti — si badi, di «tutti» — gli animali alla vita. E infatti, se l’uomo e gli animali hanno lo stesso diritto alla vita, né l’animale può uccidere l’uomo né questi può uccidere un animale, qualunque esso sia, utile o dannoso. Questi esempi mostrano l’assurdità dell’affermazione che «tutti» gli animali hanno «gli stessi diritti all’esistenza».”

Non solo. Scriveva la Civiltà Cattolica che “Non è poi vero che i diritti degli animali «devono essere difesi dalla legge come i diritti dell’uomo». In realtà, gli animali non hanno diritti. Il diritto è una prerogativa dell’essere spirituale. E il motivo profondo è che il diritto è una prerogativa della persona, in quanto essere spirituale, e non soltanto materiale, il quale, a differenza dei minerali, è vivente e, a differenza delle piante, è senziente, per cui prova piacere e dolore, ma è un soggetto che, oltre ad essere vivente e senziente, è intelligente e libero, cosciente e responsabile, capace di comprendere ciò che è bene e ciò che è male, e quindi di determinarsi liberamente per il bene e per il male, per il bene proprio e degli altri o per la rovina propria e degli altri. Ora, per poter essere se stesso e per poter agire liberamente e responsabilmente, per essere quindi una persona umana, come richiede la sua natura, l’uomo deve poter godere di «diritti», cioè di possibilità che gli permettono di realizzarsi come persona: possibilità che gli altri devono rispettare, in quanto la persona è, nel campo della realtà creata, un assoluto, un essere in sé e per sé, che non può mai servire come mezzo per raggiungere un fine che non sia il suo bene o non serva al suo bene. In conclusione, i diritti sono legati al carattere spirituale e personale dell’uomo. Perciò gli animali, che non sono esseri spirituali e personali, non hanno «diritti». Non si può quindi parlare in assoluto di «diritti degli animali». Ciò però non può voler dire che gli animali siano, come pensava Cartesio, macchine senzienti né che siano, come i minerali e le piante, esseri di cui l’uomo possa disporre a suo piacere e a suo vantaggio, senza tener conto che essi provano piacere e dolore, gioia e sofferenza, fatica e stanchezza. Si tratta infatti di esseri che nel piano divino della creazione sono destinati a vivere, a crescere, a riprodursi e riempire la terra, secondo la parola di Dio agli animali creati «secondo la loro specie»: «Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari: gli uccelli poi si moltiplichino sulla terra» (Gn 1,22). D’altra parte, l’uomo non è il padrone e il dominatore della creazione, ma il suo custode. Non può perciò essere il distruttore della creazione, ma il suo amministratore saggio e prudente”.

Papa Francesco ama gli animali ma avendo ben chiaro il disegno della creazione e la dottrina cattolica. Ed è distante anni luce dalla concezione animalista – e anticristiana – perché, come ben spiegò la Civiltà Cattolica, “parlando dell’uomo, non si può dire, come fanno gli animalisti, «l’uomo e gli altri animali», quasi che l’uomo sia un animale tra gli altri, sia pure superiore, ma si deve dire «l’uomo e gli animali». L’uomo infatti è un «essere a parte», perché, creato «a immagine e somiglianza di Dio» (Gn 1,26), è il centro e il fine di tutta la creazione”. Con la stessa chiarezza il prestigioso periodico giudicò “profondamente immorale” l’allevamento e l’addestramento di animali al combattimento tra loro, “sia perché alcuni tra gli animali così allevati o addestrati costituiscono un grave pericolo per la vita e l’incolumità delle persone, sia perché la loro crudeltà è sfruttata per soddisfare e sviluppare istinti sadici e sanguinari per fini commerciali, come le scommesse”.

Civiltà Cattolica criticò anche la maggiore attenzione che viene riservata agli animali domestici piuttosto che agli uomini che vivono nel bisogno e sembra di ascoltare le recenti parole di papa Francesco. L’editoriale se la prendeva con “le enormi e inutili spese che si fanno per gli animali domestici, specialmente per i cani e per i gatti. È bene che ci siano nelle case italiane cani e gatti e altri animali domestici: costituiscono una gioiosa compagnia per tutti, ma in particolare per le persone anziane, che spesso vivono sole, e per i bambini, per i quali la presenza in casa di un cane o di un gatto, oltreché svilupparne l’affettività e frenarne la naturale aggressività, ha una funzione propriamente educativa. È necessario anche che gli animali domestici siano nutriti, curati e protetti; soprattutto, non siano abbandonati in certe circostanze, come durante le vacanze. Il fatto grave, invece, è che per i cani e i gatti si fanno spese per nutrirli con cibi costosissimi, confezionati appositamente per essi; oppure per vestirli con cappottini firmati”. Con una conclusione che non lasciava dubbi: “Di fronte a queste autentiche pazzie, moralmente condannabili, c’è il dramma, presentato ogni anno dall’UNICEF, dei milioni di bambini che muoiono di fame o per malattie curabili, come le infezioni respiratorie, la malaria, il morbillo, la malnutrizione, le malattie intestinali. Negli ultimi tempi, ogni anno muoiono nel mondo 11 milioni di bambini sotto i cinque anni: 30.000 al giorno, 1.270 all’ora, 21 ogni minuto, tre ogni secondo. A motivo delle guerre, negli ultimi dieci anni, oltre due milioni di bambini sono morti, sei-sette milioni hanno subìto ferite e gravi mutilazioni, oltre 12 milioni sono rimasti senza casa, 11 milioni hanno perduto i genitori a causa dell’AIDS. Queste cifre spaventose mettono in risalto la situazione di grave ingiustizia in cui versa il mondo di oggi. Le spese pazzesche che si fanno per gli animali ne sono un segno piccolo — staremmo per dire, trascurabile, se posto a confronto con altri assai più gravi — ma significativo di una mentalità distorta, che dev’essere condannata e corretta. È infatti comprensibile che ci si affezioni ad animali domestici che sanno essere compagni di vita, fedeli e affettuosi, forse più di certi parenti anche assai stretti; ma non è giusto fare di essi dei piccoli idoli, a cui si sacrificano beni che dovrebbero servire a soddisfare le necessità vitali di tante persone, in particolare di tanti bambini, che l’egoismo e lo spreco dei Paesi ricchi condannano a una morte atroce”.
Quando usciva questo articolo era, lo ripetiamo, il 2003, sono passati 13 anni ed oggi un altro articolo della Civitlà Cattolica sulla stessa materia sarebbe quasi certamente più severo. Ma mai è mutata la posizione della chiesa, che ha sempre avuto nella Creazione la stella polare che la guida nell’interpretare correttamente il rapporto fra uomo e animali. Per chi volesse trovarne un’altra riprova, ecco l’intervista a mons. Marchetto.

Ora l’ideologia animalista vorrebbe sradicare dalla storia il circo con animali, ovvero il circo tout court in Italia, che è culla dell’ammaestramento e degli spettacoli con specie esotiche e non, tanto è vero che gli ammaestratori italiani sono fra i più quotati (e premiati) sulla scena mondiale. L’ammaestramento è il risultato di una cultura millenaria, che peraltro è stato alla base anche dello sviluppo economico dei popoli (si pensi cosa ha significato l’impiego degli animali addomesticati in agricoltura e nelle diverse attività lavorative). Come ha detto Julio Revolledo Cárdenas, storico del circo, direttore del Centro Messicano di Sviluppo delle Arti Circensi all’Università Mesoamericana di Puebla, “il circo è nato con gli animali ed è un’attività che l’uomo svolge da millenni e che ha lasciato le sue tracce nelle pitture rupestri, nei codici, nelle statue di terracotta o negli spazi architettonici dove si celebravano queste attività. Le rappresentazioni dell’arte circense precedono il teatro, la danza, la coreografia, la pittura, la scultura …”.
Perché tanta ostilità verso il circo? Perché è la dimostrazione dell’irrazionale visione del mondo animalista: “Uomo e animale nella pista di un circo mostrano l’enorme possibilità di sublimazione di entrambi nell’arte, l’animale e l’uomo hanno entrambi la possibilità di creare uno spettacolo che meravigli e sorprenda, basato su un lavoro di formazione costante, persistente e responsabile, frutto di un sapere millenario, basato sul rispetto e sulla cura dell’animale” (Julio Revolledo Cárdenas).
E così l’ideologia che vorrebbe accreditarsi come “scientifica” e in difesa degli animali, in realtà dimostra di essere sommamente lunare (come la definì Vittorio Sgarbi). Non conosce nemmeno, o finge di non conoscere, quella esperienza elementare che ogni proprietario di un cane, sopratutto se coabita in un appartamento di piccole dimensioni, fa ogni giorno e che il prof. Simonetta sintetizzò così: “I nostri animalisti potrebbero riflettere sul caso classico di cani che, quando vogliono andare a spasso, vanno a cercare il guinzaglio e lo portano al padrone”.

Claudio Monti

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