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L’animalismo è l’idolatria del terzo millennio

Nicolas Poussin, L'adorazione del vitello d'oro


“In certe posizioni animaliste a oltranza che teorizzano l’intoccabilità della natura e degli animali si esprime il ritorno alla mitologia, una sorta di eliminazione di millenni di civiltà”. Chi parla è mons. Luigi Negri, vescovo di San Marino e Montefeltro, da poche settimane nominato dalla Santa Sede membro effettivo del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Uomo di chiesa ma anche di profonda cultura, Negri è stato a lungo docente alla Cattolica di Milano, maneggia la storia del pensiero e la teologia con molta familiarità, e nella piccola Repubblica del Titano (che il prossimo 19 giugno riceverà la visita di Benedetto XVI) presiede una fondazione internazionale sul magistero sociale della chiesa intitolata a Giovanni Paolo II.
Nella scia di conversazioni che ci hanno già portato a dialogare su questi temi con Roger Scruton, mons. Agostino Marchetto, Rocco Buttiglione e Carlo Giovanardi, Circo.it pubblica oggi l’intervista a mons. Negri.
“L’uomo postmoderno, spaventato dagli effetti degradanti di un razionalismo che è diventato tecnoscientismo e che tende a considerare la realtà come oggetto di manipolazione, ha cominciato ad affermare la intangibilità del dato naturale, cadendo però in una sorta di idolatria della natura. Alla volontà di dominio sulla natura viene contrapposta la volontà naturale, ma in questo modo si verifica una esaltazione della natura che finisce per avere non la stessa dignità del soggetto umano, ma addirittura superiore. Perché il soggetto umano si sarebbe macchiato del peccato di aver manipolato la natura”.
E in effetti l’ha anche manipolata con conseguenze nefaste…
“Certo, e l’enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI lo denuncia con chiarezza. Gli eccidi perpetrati ai danni della natura soprattutto in alcune aree del mondo, sono l’espressione di una volontà di dominio assoluto e cieco sulla natura stessa che ha avuto ripercussioni disastrose anche sugli uomini. La risposta non può però essere l’idolatria della natura, un ambientalismo ideologico che in alcune situazioni, anche in Italia, ha ingessato lo sviluppo, impedito la realizzazione di opere pubbliche e di strade che invece avrebbero migliorato la vita delle persone. Così come il rispetto degli animali e la loro protezione quando siano a rischio di estinzione, sono principi indiscutibili, ma non si può subordinare la vita, la dignità e la libertà degli uomini a quella della natura e degli animali. Tutti gli “ismi”, nella fattispecie anche l’animalismo, così come tutte le assolutizzazioni, nascono da un sostanziale squilibrio all’interno dell’uomo.”
In tanti si battono per salvaguardare gli animali mentre cala il silenzio sulla difesa della vita degli uomini.
“Purtroppo è un’evidenza incontrovertibile: oggi si difendono gli animali, ai quali vengono attribuiti diritti che sono propri dell’uomo, e poi si accetta l’aborto, cinque milioni di italiani non nati di cui quasi nessuno sembra darsi pensiero, oppure le manipolazione genetiche…”
Quale ribaltamento di valori è avvenuto per arrivare a tanto?
“La sacralità e la indisponibilità della vita dell’uomo prima di non essere considerate un valore, vengono stizzosamente percepite come qualcosa che appartiene al passato. Mi sembra questo il ribaltamento, direi esistenziale, al quale si assiste. Dentro l’universo naturale e animale che per una diffusa mentalità corrente costituisce ormai una sorta di unità indifferenziata, vengono quasi a scomparire le differenze fra animali e uomini dotati di ragione e di volontà. Ciò che è sancito nei primi due capitoli del libro della Genesi, cioè la superiorità dell’uomo sugli animali e sulla natura, e che da questo punto di vista appartiene davvero alla cultura universale, resta sullo sfondo. La sacralità della vita sembra qualcosa di poco interessante e la ruota della storia sembra girare nel senso di una natura indifferenziata anziché in quello di un universo chiamato a misurarsi con l’uomo, centro del cosmo e della storia”.
Però l’uomo al centro del cosmo ha dato anche segni di dispotismo.
“Adamo è creato perché possa realizzare pienamente la sua personalità nel dialogo con il mistero di Dio e, contemporaneamente, esercitare nei confronti dell’universo un potere non dispotico e distruttivo, ma finalizzato alla piena realizzazione di sé attraverso un uso intelligente della realtà naturale e animale. Per questo Dio consente all’uomo di dare un nome a tutte le creature, e il nome significa l’identità e destinazione”.
Lei ha parlato di idolatria della natura e degli animali, cosa intende esattamente?
“La forma più diffusa di idolatria, ma anche la più comica, alla quale stiamo assistendo nel terzo millennio, è quella verso la natura e gli animali. Dopo l’idolatria per le ideologie, per le grandi idee e progettualità socio-politiche, ha preso il sopravvento quella naturalista e animalista. Il pensiero debole che costituisce il pane quotidiano della nostra società, non è quello che mette un crisi la metafisica o la scienza, ma è l’adorazione degli animali in natura, delle spiagge da sogno, dei fondali marini e così via. Oggi non ci si scandalizza se un bambino viene gettato nella spazzatura, ma ci si irrita e ci si mobilita per gli animali degli zoo e dei circhi, per i cani abbandonati, per il destino dei pesci e così via. Ma se l’uomo è solo una variabile all’interno del grande orizzonte della natura, siamo davanti alla soppressione della idea fondamentale della metafisica, che cioè tocca all’uomo rivelare l’essere, il mondo, e portarlo al suo senso, al suo destino e utilità ultimi”.
Un ritorno indietro di qualche millennio nella storia del pensiero occidentale?
“A prima dei presocratici e di Aristotele, ma direi meglio a prima del mito, che è la prima forma di intelligenza e afferma la distinzione fra la realtà e l’uomo. Siamo a quella sorta di indistinzione metafisica e fisica fra uomo e natura che caratterizza il buddismo. Jacques Maritain all’inizio del secolo scorso diceva che il buddismo è una forma di pensiero debolissimo e quando l’occidente lo avesse scoperto e gli avesse attribuito un valore fondamentale, quello sarebbe stato il segno della crisi dell’occidente. Mi sembra sia stato un buon profeta. L’embrione della civiltà si forma quando l’uomo prende in qualche modo coscienza di essere di più della realtà naturale ed animale e perciò inizia a non vivere più come un animale. La civiltà comincia quando l’uomo non accetta più un’esistenza raminga nelle caverne, al pari dell’animale, non accetta di morire per le strade ed essere lasciato all’incuria della natura e degli altri animali, ma quando fissa una dimora stabile e quando incomincia ad inumare coloro che sono morti. Questo è il piccolo ma inesorabile passo che indica dice l’uomo supera infinitamente il contesto naturale ed animale”.
Anche l’ammaestramento degli animali è visto come una rottura dello stato di natura e come tale da condannare. Perché?
“Perché alla base c’è un’idea di intoccabilità della natura, considerata come qualcosa di definitivamente compiuto e perciò di divino (nel senso in cui l’ha inteso la filosofia greca). Ma che la natura sia già compiuta è una aberrazione, perché se non si potesse toccarla e usarla, non solo morirebbe l’uomo ma la natura stessa e si estinguerebbero anche gli animali, i quali esistono per una forma di dialettica, a volte anche pesante, visto che quelli più forti divorano i più deboli. Il naturalismo ad oltranza è irrealistico, così come tutti i termini mitologici”.
Roger Scruton sostiene che il pensiero animalista-naturalista dei giorni nostri affonda le sue radici nel secolarismo. Cosa ne pensa?
“Concordo, nel senso che il secolarismo taglia le radici con qualsiasi questione di carattere meta-storico e meta-naturale, provocando una ‘mutilazione’ nell’uomo. Il quale mantiene un’esigenza spirituale profonda, che è quella di superare il finito per trovare nell’assoluto la ragion d’essere del contingente. Un uomo così amputato ha ancora l’esigenza dell’assoluto, che rimane e non può essere sradicata. E siccome questa esigenza ha bisogno di esprimersi, l’idolatria della natura e degli animali diventa un modo per ‘scaricare’ la dimensione religiosa, anche se in modo irragionevole e assolutamente inadeguato. E’ quell’irrazionalismo postmoderno che si contrappone specularmente, come per un movimento del pendolo, all’iper-razionalismo scientista e tecnologico”.

Il ministro Brambilla, promotrice del manifesto sulla coscienza degli animali

Eppure ci sono anche sacerdoti che firmano manifesti sulla coscienza degli animali.
“Non hanno letto la Bibbia o hanno smarrito l’antropologia cattolica, ma direi l’antropologia naturale, che vede nell’uomo il soggetto adeguato di comprensione e di uso di una realtà diversa da lui e alla quale non può essere ridotto. Mi sembra che siano in crisi non solo la metafisica e la teologia, ma anche quel buonsenso che è il primo alleato di una retta ragione e di una retta fede. Il senso comune capisce che un cammello non è un uomo, che non ha la coscienza di un essere umano. Già San Tommaso parlava di una capacità cogitativa, di ordinamento delle sensazioni, di interiorizzazione del pericolo da parte degli animali, ma la coscienza è altro, è ciò che consente il trascendimento del dato naturale nella sua comprensione definitiva”.
E si può parlare di diritto alla vita per gli animali, così come fa appunto il “manifesto sulla coscienza degli animali”?
“Utilizzare il termine diritto per un animale significa equipararlo al soggetto umano, mentre la natura è governata da una legge che afferma il diritto globale della natura ad essere se stessa e in questo diritto è contenuto anche l’ordine del rapporto fra le varie realtà che fanno parte della natura. Non si può scorporare un diritto degli animali e farlo valere come prioritario”.
Eppure è questo che sta avvenendo.
“Certo, ma perché siamo in presenza di una antropologia animale. Ma questo conferma la perdita totale anche del buonsenso di cui parlavo prima”.
Lei è stato chiamato a far parte del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Cosa pensa degli sbarchi che stanno interessando le coste italiane come mai si era verificato in precedenza?
“La Chiesa è provocata dai fatti drammatici ai quali stiamo assistendo, a considerare questi fratelli innanzitutto come interlocutori, soggetti di una rinnovata evangelizzazione. L’ingresso di popolazioni diverse come formazione, etnia, cultura, tradizione religiosa, costituisce una sfida all’occidente ma in particolare alla Chiesa cattolica”.
Ma gli immigrati sono una minaccia o una ricchezza?
“Devono essere sentiti anzitutto dalla Chiesa come una grande e inedita possibilità di evangelizzazione. A questi uomini che giungono a migliaia nel nostro contesto culturale, la Chiesa deve offrire ciò che ha di più caro, che custodisce con fedeltà assoluta e che comunica con una dedizione totale: il mistero di Cristo morto e risorto, redentore dell’uomo e centro del cosmo e della storia. Ma perché questa evangelizzazione sia possibile deve calarsi in un contesto di accoglienza umana nella quale i diritti fondamentali della persona e il rispetto della dignità siano riconosciuti ed attuati. La Chiesa però non esaurisce il suo compito quando gli immigrati e gli itineranti sono stati accolti in maniera umanamente e fisicamente adeguata, ma allorquando sia possibile aprire con essi un dialogo sul loro destino. Io credo che a questa evangelizzazione debba seguire un momento di formazione e maturazione culturale della coscienza personale e sociale, che li renda soggetti vivi e interattivi dentro la vita della società in cui sono entrati, quindi capaci di difendere i propri diritti nel rispetto delle legge e degli ordinamenti della società che li ha accolti”.
C’è il rischio che la Chiesa si confini solo in un ambito di “soccorso” ai bisogni concreti e materiali?
“Questo rischio si corre sempre, ma la Chiesa non è un’agenzia di carattere socio-politico, che si occupa dei diritti delle maggioranze o delle minoranze, ma ha una funzione di evangelizzazione. Se si riuscirà a fare avvertire nella Chiesa e nella società questo nuovo itinerario, credo che si sarà fatto molto sia per la pastorale dei migranti e sia per i migranti stessi”.
Claudio Monti

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