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Water for Elephants: il circo fa parte del sogno americano

Anticipiamo la recensione di Maria Vittoria Vittori al film Come l’acqua per gli elefanti, che uscirà sulla rivista Circo di giugno.

Lungamente atteso (fin dal suo primo annuncio) preceduto da un’imponente grancassa massmediatica, finalmente è arrivato. E come tutti gli spettacoli troppo attesi non ha soddisfatto pienamente le aspettative (qualche autorevole critico l’ha stroncato, ma in ogni stroncatura si trova sempre, a ben guardare, qualcosa di forzato e di ingeneroso). Si sta parlando, ovviamente, di Come l’acqua per gli elefanti, il Kolossal prodotto dalla 20th Century Fox con la regia di Francis Lawrence, tratto dal best-seller di Sara Gruen Acqua agli elefanti (Neri Pozza 2007; Beat 2011). Va detto innanzitutto che il libro racconta una storia avvincente e d’ampio respiro, collocando la relazione tra lo studente di veterinaria Jacob e la cavallerizza Marlena all’interno di una messa in scena assai convincente della vita di un circo americano itinerante nei bui anni della Grande Depressione e allacciandola al rapporto di particolare intensità che si instaura tra Jacob e l’elefantessa Rosie. Rappresentazione del mondo circense, amore passionale e rapporti tra creature umane e animali risultano ben bilanciati nel libro, mentre il film si gioca la sua carta migliore sulla storia d’amore. Ma, a dispetto di un trailer invitante e soprattutto di una locandina quanto mai astuta, disseminata in un’ innumerevole quantità di siti, proprio questa carta si è rivelata d’impatto inferiore alle aspettative. Forse Pattinson è più a suo agio nei panni del vampiro, dall’espressività scarsamente modulata, che in quelli di Jacob, timido e tranquillo studente di veterinaria che, colpito da un’improvvisa disgrazia familiare, deve cercare la sua strada in un mondo sconvolto dalla crisi economica.
Questo personaggio che, saltando avventurosamente su un treno di passaggio ad Ithaca, interrompe di colpo la propria prevedibile esistenza per inoltrarsi nel microcosmo finora sconosciuto del circo, richiederebbe modalità espressive più articolate di quelle del suo interprete che conserva per tutto il film un’espressione attonita e legnosa che (forse) è l’unica che possiede. Anche la tempestosa storia con Marlena, ovvero Reese Witherspoon (è stata ironicamente definita una mini star ma la sua corporatura minuta la rende idonea al ruolo che interpreta) risulta danneggiata da questa sua inguaribile monotonia espressiva. Bravissimo, invece, Christoph Waltz (Premio Oscar per il suo ruolo in Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino) che, nei panni del domatore August, direttore del circo e marito di Marlena, alterna in modo estremamente convincente manifestazioni di squisita, beffarda cortesia a incontrollati attacchi di furore.
Il punto di forza di questo film, diseguale ma comunque interessante, risiede nell’elefantessa Rosie, imponente e solenne come un idolo, ma al tempo stesso umana – troppo umana – con il suo liquido sguardo d’ambra; ed è proprio prestandole pazienti ed amorose cure, dopo l’orribile trattamento inflittole da August, che Jacob e Marlena tornano a “riveder le stelle”, per usare l’efficace espressione di Alessandro Serena, autore di un’argomentata recensione del film sul sito di Circo in cui il percorso compiuto dal protagonista all’interno del treno che trasporta il circo è paragonato a un viaggio ultraterreno.
Tra le scene più emozionanti del film, c’è quella in cui August e Jacob, appena conosciutisi, si arrampicano con una sorta di selvaggia euforia sul tetto del treno in corsa, inebriandosi di quel paesaggio che si dilegua a gran velocità; un’altra altrettanto bella riguarda il montaggio del tendone del circo: da un giorno all’altro s’accampa, nella desolazione di luoghi senza storia e senza futuro, la promessa di qualcosa di diverso, di favoloso.
Un’ultima osservazione a margine del film (ma anche del libro): se all’interno del treno vige una rigida gerarchia – dall’inferno in cui sono relegati gli operai, consumatori di un micidiale intruglio alcolico chiamato jake e soggetti al rischio di “vedere rosso” ovvero di poter essere scaraventati dal treno in corsa, fino al piccolo paradiso di legni, velluti ed eleganti costumi di scena che ospita gli artisti – al di fuori si respira, anche in mezzo alle perduranti disparità di condizione e perfino in quegli anni confusi e disperati della Depressione, il grande sogno tipicamente americano di potersi rifare una vita da un giorno all’altro, liberi da ogni condizionamento e da ogni gerarchia. È questa la sorte che nel libro come nel film toccherà, dopo svariate peripezie, a Jacob e Marlena. Di questo grande sogno americano, forse ingenuo ma sicuramente fertile di possibilità, il circo fa parte a tutti gli effetti ed è per questo che appartiene saldamente alla cultura e alla storia di questo paese. Alla nostra cultura, purtroppo ancora no.
Maria Vittoria Vittori