Il cordone ombelicale materno le ha dato la vita, quello paterno un Dna legato al circo. Vera Gemma è più di un’amante della pista di segatura. “Sono legata al circo attraverso mio padre e sin da quando sono nata”, dice lei a Circo.it. L’abbiamo intervistata nella sua casa romana, piena di riferimenti al papà e al circo. E se l’idea di dar vita al Comitato di resistenza democratica a difesa del circo classico con animali, intitolato a Giuliano Gemma, che da qualche giorno ha anche una pagina Facebook, è frutto di un pensiero condiviso col presidente dell’Ente Nazionale Circhi, Antonio Buccioni, i contenuti della battaglia pubblica di Vera Gemma a favore del circo sono tutti farina del suo sacco. Una convinzione profonda, maturata nel tempo a contatto prima col padre e poi cresciuta nella familiarità con la gente del circo.
“Ho iniziato da piccolissima con papà a frequentare i circhi: ogni volta che ne arrivava uno a Roma o, in estate, nei luoghi di vacanza al mare, noi ci andavamo. Circhi grandi e piccoli, mio padre ci portava sempre a me e a mia sorella Giuliana”. E non era una puntatina e via, giusto per vedere lo spettacolo: “Si sapeva a che ora si arrivava al circo e non si sapeva a che ora saremmo andati via. Giornate intere. Non si andava solo per lo spettacolo, quanto per stare con la gente del circo, viverci assieme, lui si esercitava in pista, mangiavamo con loro. Questo mi ha permesso di vivere il circo anche dietro le quinte”. Giuliano Gemma è stato uno del circo ed ha trasmesso questa sua complicità anche alle figlie. Talmente un circense da parlarne anche la “lingua”: “Mio papà parlava il gergo circense e si divertiva a farlo anche insieme a me in occasione di grandi prime cinematografiche, quando poteva scherzosamente prendere in giro qualcuno senza farsi capire grazie a questa sorta di linguaggio in codice. Ricordo che con Neno Zamperla parlava sempre in gergo circense”.
“Neno”, per l’anagrafe Nazzareno, Zamperla, di famiglia circense, è stato il famoso maestro d’armi di una trentina di film con Giuliano Gemma, uno stuntman formatosi alla scuola americana che ha avuto un ruolo di rilievo nel cinema italiano. Fra i due c’è stato un affiatamento profondo, quasi cameratesco. Ricordano le cronache che Neno e Giuliano avevano l’abitudine di tagliarsi i capelli a vicenda. Un’amicizia fraterna e solidissima. Pare che Fellini (che Neno lo volle con sé per la prima volta nel film “La strada”) trasse da quel cognome importante, Zamperla, l’idea del personaggio Zampanò, interpretato da Anthony Quinn. Anni nei quali diversi stuntman provenivano dal circo, oltre a Zamperla, ad esempio, anche Dell’Acqua e Ukmar.
“Mio padre è stato un circense mancato, ha amato il circo più del cinema, anche se poi la vita l’ha portato a fare cinema e a diventare un divo. Il cinema è stata una sua passione, il circo qualcosa di più. Verso la vita sotto allo chapiteau ha avuto una attrazione profonda e totale fino alla fine dei suoi giorni. Non si spiega quello che è stato mio padre anche nel cinema senza il circo”. Parole che rendono bene l’idea dell’innamoramento vissuto da questo gigantesco attore, per il circo, perché quando si dice cinema non si parla di un incidente di percorso per Giuliano Gemma, visto che la filmografia che lo riguarda conteggia una ottantina di pellicole e che la sua popolarità ha raggiunto tutti i confini della terra, fino a farne un idolo del pubblico giapponese, nazione che nei primi anni 80 gli ha dedicato la “Suzuki Gemma”.
Cosa ricordi delle tue giornate al circo con papà? “Una quantità di cose, di incontri, di emozioni, odori, allegria, vita. Una delle esperienze più fresche nella mia memoria riguarda il modo in cui mio papà faceva interagire me e mia sorella con gli animali. Non con le tigri e i leoni ma con tutti gli altri si, ci faceva giocare con loro, li accarezzavamo e lui ci incoraggiava a farlo senza paura”, dice Vera.
Cosa l’ha affascinato del circo? “Lui veniva dallo sport, ha praticato il nuoto, l’equitazione, lo sci, il paracadutismo. Quindi è stato sicuramente affascinato dalle grandi doti atletiche, che per lui erano di vitale importanza, che ha visto negli artisti del circo. Ogni circense è un grande ginnasta e mio papà ha imparato al circo molte delle sue acrobazie, il salto mortale e tanto altro”. Le fotografie e i video che lo ritraggono al circo lo vedono alle prese col trapezio, nel lancio dei coltelli, sul tappeto elastico, mentre giocola palline. “Essendo anche una persona molto umile, al circo ci andava per imparare, per mettersi alla scuola dei circensi”, commenta Vera. “Poi del circo ha amato l’estremo coraggio dei suoi protagonisti nel cimentarsi con numeri rischiosissimi”.
Cosa ti ha invece trasmesso sugli animali? “Ripeteva che gli animali al circo sono una cultura da capire, che sono amati e trattati benissimo, che il circo è la loro casa perché li sono nati, e che stando al di fuori del mondo del circo non si capisce la realtà che lega un uomo ad un animale. E’ stato assolutamente e convintamente a favore degli animali nel circo”.
Vera Gemma il circo non l’ha solo incontrato e lo vive in prima persona, ma nella professione di donna del cinema l’ha anche raccontato. “Tutto è nato con il documentario Giuliano Gemma: un italiano nel mondo”, spiega lei, che ne ha curato la regia insieme al padre. Una serie di personaggi raccontano Giuliano Gemma. Dario Argento, Monica Bellucci, Bud Spencer, Lina Wertmuller, Ennio Morricone, Moira Orfei. La carriera e la vita. I tratti dell’uomo dal cuore grande e dell’attore di successo. E’ stato presentato al Festival di Roma nel 2013 e anche trasmesso dalla Rai. “In questo documentario una parte è dedicata al suo rapporto col circo. Poco prima di morire mi disse che quel ‘capitolo’ era per lui il più bello in assoluto all’interno di un documentario che gli era piaciuto molto. E mi disse: ‘perché non fai un film tutto sul circo?’ Così dopo la sua morte ho cominciato subito a dedicarmi anima e corpo a questo film sul circo”.
S’intitola In love with circus. “Direi che impegnarmi in questo film mi ha salvato la vita, perché lavorando solo col circo ed entrando in contatto solo coi circensi mi sono sentita consolata, ma in modo dignitoso, mi sono sentita a casa, nei vari circhi che ho frequentato si parlava di papà con allegria e grande rispetto”. Le riprese hanno impegnato un intero anno della vita di Vera: “Ho trascorso Natale, Capodanno e Pasqua nelle roulotte, in giro per i circhi, mi sono pure fidanzata con un ammaestratore…. ho trovato tutto al circo”, scherza Vera. Ma il fidanzamento non è uno scherzo: si tratta di Tairo Caroli, giovane e bravo ammaestratore di felini.
Per girare il documentario si è messa sulle tracce di artisti in Italia e all’estero. Con quale criterio li hai scelti? “Non in base al circo ma agli artisti, sia che si trovassero al complesso più importante o in quello più piccolo. Li ho scelti su Facebook e ciattando con loro”. In base a cosa? “Ero alla ricerca di visi cinematografici, giovani, perché volevo parlare del circo fatto dalle nuove generazioni, che credo abbia una grande forza e un grande futuro. E poi in base al talento, che so riconoscere visto che il circo lo conosco, guardando i loro video e sentendo gli altri circensi parlare di loro. Ad esempio, sono andata da David Larible, che non conoscevo personalmente, perché mi sono resa conto che è un punto fermo del circo, stimato da tutti. E così sono andata in Svizzera, perché David si trovava da Knie in quel momento, dove ho incontrato anche i fratelli Errani. Non mi è mai successo di puntare su un artista e di rimanere delusa una volta conosciuto, anzi, la conoscenza diretta è stata sempre superiore alle aspettative”. Seguendo l’istinto e le tracce, Vera Gemma ha realizzato un film-documentario che è una sorta di viaggio fra i giovani belli, talentuosi e promettenti del circo italiano. Un’avventura che lei stessa ha vissuto da protagonista e che l’ha portata anche in gabbia coi leoni. “Devo ringraziare Roberto Caroli, che mi ha dato fiducia e mi ha permesso di fare il numero in gabbia. La rapidità con cui impari al circo è incredibile. Anch’io vengo dallo sport, so andare a cavallo…, so fare tante cose, però nel circo si impara prima, una scuola così non l’ho trovata da nessun’altra parte e da nessun maestro al mondo, nemmeno del Coni. Forse perché le cose più difficili assumono una naturalezza che te le fa apparire come le più semplici del mondo, anche se semplici non sono”. Stare a tu per tu con un leone non è proprio una passeggiata. “Infatti una volta tornata a casa non ho dormito per tre giorni pensando all’esperienza fatta”, sorride.
Vera ripercorre quei giorni con un pizzico d’orgoglio, oltre che di adrenalina. E rivela qual è stata la molla che l’ha spinta fin dentro quella gabbia: “E’ stata anche una sfida, fare qualcosa che mio padre, coraggiosissimo, non avrebbe mai fatto. Lui che non ha mai voluto una controfigura al cinema, e che ha fatto cose al limite, veramente pazzesche, nella gabbia coi felini si è sempre rifiutato di entrarci”. Per quale motivo? “Una volta glielo chiesi: ci entreresti nella gabbia con leoni e tigri? Mi rispose: mai nella vita, perché sono imprevedibili, nessuno ti può garantire che non ti faranno niente, nemmeno il domatore. Glielo propose anche Walter Nones di entrare in gabbia con lui ma non accettò”.
Vera Gemma ci ha condotti per mano, passo dopo passo, a varcare la soglia di un grande, mediatico e ideologico quesito: come vivono gli animali nel circo? Sono vittime di carnefici senza scrupoli o creature che esprimono un legame indissolubile con l’ammaestratore? Lei che non parla il linguaggio dell’ideologia, e che il circo lo ha varcato come la più familiare delle sue dimore, non ha dubbi: “Gli ammaestratori sono quasi dipendenti dai loro animali, vivono per loro, sacrificano tutto della loro esistenza per quegli esseri fieri e pieni di fascino che fra le braccia dell’ammaestratore si trasformano in coccoloni. Ecco perché gli animalisti non hanno proprio capito nulla del circo, tanto più oggi che le giovani generazioni praticano l’ammaestramento in dolcezza”. Non è una teoria, ma nomi e cognomi: “Tairo, Emanuele Farina, Perla Bertolussi, Giordano Caveagna, Redy Montico, solo per dirne qualcuno. Hanno un rapporto meraviglioso con gli animali. Il primo pensiero di Tairo appena si sveglia sono i suoi animali, e loro lo aspettano, gli fanno le feste, ho visto coi miei occhi scene commoventi. E’ vergognoso che qualcuno dall’esterno si permetta di parlare di animali maltrattati e schiavizzati. Sono esseri felici di vivere con l’uomo, e chi si prende cura di loro lo fa in un rapporto quotidiano di sacrificio e di dedizione totale, non conoscono riposo e ferie e nemmeno le cercano per non allontanarsi dai loro animali. Secondo gli animalisti i numeri con gli animali sarebbero addirittura diseducativi perché trasmetterebbero violenza e sopraffazione. E’ assurdo, quello che trasmettono è una dolcezza assoluta, un rispetto che al di fuori del circo non ho mai visto altrove”.
Da tutto questo scaturisce anche l’impegno di Vera Gemma a difesa del circo con animali, che ha preso forma nel Comitato che ha voluto dedicare al padre. “Il circo non è un mondo perfetto, che in terra non esiste, fatto di angeli del paradiso. E’ una realtà con tantissimi pregi e qualche difetto, un microcosmo prezioso, farlo morire sarebbe un delitto imperdonabile e una perdita incalcolabile in fatto di identità, cultura, arte, stile di vita. Nessun’altra forma di spettacolo ha queste caratteristiche”.
I tuoi colleghi cosa dicono della tua passione per il circo? “Molti la condividono e altri non la capiscono. Ma con tanti amici e colleghi dello spettacolo parlo spesso del circo e sto cercando di concretizzare un’idea alla quale tengo molto: dare voce ad una serie di testimonial che il circo lo amano e che sono pronti a metterci la faccia. E’ un progetto nato insieme all’Ente Nazionale Circhi, che sta prendendo forma e che spero di poter realizzare quanto prima”. Ci sarà modo per tornare a parlarne dopo che sarà pienamente maturato.
“Togliere gli animali dai circhi, in nome di un animalismo fasullo ed ipocrita, significherebbe sequestrarli e metterli nelle condizioni di vivere peggio. Finirebbero i loro giorni nel peggiore dei modi, sradicati da quello che hanno sempre fatto nella loro vita, nel dolore e nella solitudine. Lo Stato italiano non credo si possa assumere la responsabilità di far pagare il prezzo dell’animalismo agli animali dei circhi, magari a suon di sovvenzioni e contributi pubblici elargiti a chi non ne ha davvero bisogno”.
Claudio Monti