E’ a partire dagli anni 90 che si afferma anche in Italia il fenomeno delle scuole di piccolo circo. Le pratiche circensi escono dal ristretto circuito delle famiglie di tradizione ed inizia quella contaminazione artistica che coinvolge un numero sempre maggiore di bambini e ragazzi: secondo un osservatorio importante come quello dell’associazione Giocolieri e Dintorni, oggi in Italia sarebbero circa 30 mila quelli coinvolti in attività che ruotano attorno alle arti circensi. E’ una piccola rivoluzione quella che si afferma, perché sin dall’antichità la trasmissione delle tecniche circensi avviene quasi esclusivamente attraverso insegnamenti tramandati di generazione in generazione all’interno del circo di famiglia.
I primi passi di youth circus si hanno in America, dove il circo amatoriale dà forma a progetti di impronta pedagogica. L’iniziatore è padre Edward Joseph Flanagan (1886 – 1948), sacerdote cattolico irlandese, ma che per i suoi studi si è mosso fra Austria, Italia e Stati Uniti. “Nel 1917 fonda una sorta di villaggio ‘casa famiglia’ a Omaha, in Nebraska, chiamato dal 1921 Boys Town“. Così Francesca De Bernardi nella sua tesi di laurea sul “circo per ragazzi in Italia, tra crescita e formazione”, ricostruisce i primi passi di questo pioniere delle scuole di piccolo circo. Il punto di vista del religioso è molto chiaro: “Non ci sono cattivi ragazzi. Ci sono solo un pessimo ambiente, una pessima formazione, un pessimo esempio, un pessimo modo di pensare!” E per tirare fuori il meglio dai giovani, padre Flanagan dà fondo alle riserve custodite nella secolare tradizione artistica del circo. Le discipline circensi, infatti, non sono altro che una vera e propria metafora della vita: continui ostacoli e difficoltà da superare, obiettivi da raggiungere, capacità di affrontare e controllare ciò che non si è abituati a fare e grande forza di volontà.
In Europa, invece, la prima esperienza è quella del Circus Elleboog, originato da una organizzazione no-profit fondata ad Amsterdam nel 1946 da Ied Last, moglie di un influente politico dell’epoca. La mission, in questo caso, consiste nel salvaguardare e tutelare i bambini che nel secondo dopoguerra non dispongono di risorse per partecipare ad attività sportive e culturali e che quindi rischiano di rimanere ai margini della vita sociale.
In effetti è difficile trovare una disciplina che tenga insieme un così alto numero di fattori formativi: preparazione fisica, sviluppo della stima di sé, autodisciplina, promozione dell’accoglienza di qualsiasi tipo di individuo (a prescindere dalla provenienza sociale o geografica), ma anche la possibilità di far diventare la pratica circense una professione.
Prendiamo l’acrobatica, ad esempio. Modella concentrazione, coordinazione, attenzione e pazienza. Plasma la fiducia, senza la quale il bambino difficilmente riesce a mettersi in gioco totalmente e a relazionarsi con gli altri. Giocoleria ed equilibrismo sono altre discipline importantissime, per non parlare della clownerie che, forse all’ennesima potenza, permette di diventare protagonisti in maniera unica, di sdrammatizzare e ridere di sé, di portare a galla le proprie abilità pur accettando i propri limiti. Debolezze e contraddizioni si esaltano attraverso la comicità. Le vulnerabilità vengono trasformate in potenzialità creative, accrescendo la stima di sé.
“L’arte del clown insegna che sbagliare può essere accettabile e diventare un’abilità, insegna a sdrammatizzare il fiasco e a vedere l’errore come un’esperienza dalla quale imparare”, spiegano gli esperti di clownterapia e circo sociale in una interessante pubblicazione dal titolo Circostanza. E qualcosa di molto simile ha confessato a Circo.it anche un grandissimo mimo e clown di nome Avner.
E’ chiaro che in un approccio al circo in termini ludici, a risultare decisiva non è la durata dei corsi, che infatti variano parecchio a seconda delle scuole: possono andare da una settimana, un mese, un semestre oppure un anno intero, con una frequenza quotidiana, bisettimanale o ritagliata secondo le esigenze dell’utenza.
“Solitamente, pur nella loro diversità, i corsi di piccolo circo in Europa presentano una suddivisione tipica: attività di iniziazione alle arti circensi per i più piccoli e i principianti, corsi di base per i ragazzi un po’ più grandi e, infine, percorsi avanzati e intensivi per chi intende perfezionare le proprie abilità. Gli allievi hanno un’età compresa fra i 2-3 anni e i venti anni”, sostiene Francesca De Bernardi.
Uno sguardo all’Europa. In Francia la totalità delle attività di circo per bambini e ragazzi ruota attorno alla Fédération Française des Ecoles de Cirque (FFEC), nata nel 1988. Prima federazione di questo genere nel vecchio continente, al momento riunisce più di centotrenta realtà e opera in stretta collaborazione con diversi partners: scuole di circo, artisti professionisti e ministeri. La seconda federazione sorta in Europa è finlandese e risale al 1991: si tratta della Finnish Youth Circus Association (FYCA). L’Olanda è la patria di Circomundo, il nucleo originario di una rete di confronto nazionale scaturita nell’alveo di cinque circhi per bambini e ragazzi olandesi.
Un’altra trama di scuole, associazioni e insegnanti, ha generato in Germania l’esperienza di BAG Zirkuspädagogik e in Svizzera la Fédération Suisse des Ecoles de Cirque, creata per la promozione del riconoscimento e dell’insegnamento delle arti della pista.
Ma in questa rapida panoramica, non si può tralasciare un accenno ai paesi sudamericani e africani, dove il piccolo circo assume un accento sociale. Per l’ampia visibilità e quantità di progetti attivati, l’esempio più significativo è Cirque du Monde, un programma del Global Citizen Department del Cirque du Soleil, nato nel 1995, che opera in più di 80 comunità nel mondo. Potendo contare sulla collaborazione dell’Ong Jeunesse du Monde, il perno di questa esperienza è l’utilizzo congiunto di tecniche circensi e interventi educativi per aiutare i giovani in difficoltà.
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Claudio Monti