Arnaldo “Nani” Colombaioni al circo ha fatto coppia con Francesco Nene Huesca (di cui ci siamo occupati su Circo agosto-settembre 2013 attraverso l’intervista a Enis Togni) e per molto tempo i due non hanno avuto rivali. Hanno espresso anche carriere individuali di un certo spessore, le loro strade si sono unite e separate, smarrite e ritrovate. Ma chi è stato Nani Colombaioni?
I tratti distintivi del clown appena accennati, poco trucco, il costume da vagabondo con gli abiti strappati e rattoppati, esce da una dinastia che affonda le radici nelle corti e nelle piazze di fine 500. Da quest’albero genealogico spunta anche Carlo Colombaioni (1933 – 2008), che nel cinema ha lasciato una traccia importante accanto a Totò e Fellini e con Alberto Vitali anche in molti teatri del mondo. Un percorso simile anche per Nani (1921 – 1999): “Indubbiamente mio papà e Nene sono stati una coppia davvero riuscita”, dice Leris Colombaioni, a sua volta celebre clown. “Entrambi hanno fatto la gavetta nei circhi di famiglia e poi sono arrivati nei complessi grandi, come i Togni (Americano e Darix) e il Medrano. E l’innesto delle piccole famiglie in quelle più note e strutturate, spesso ha portato linfa vitale ed ha contribuito al successo di queste ultime, come ha riconosciuto lo stesso Enis Togni parlando di Nani e Nene”. Soprattutto nel piccolo circo occorre saper fare ogni cosa e la gavetta aiuta a salire le scale della formazione artistica e della tempra umana.
E fra quelli oggi in attività chi somiglia di più all’impronta comica di Nani o Nene? “Per alcuni aspetti direi Gianni Fumagalli e Davis Vassallo”, aggiunge. Ma secondo Leris, Nani (così come Nene) può essere ascritto a quel filone della clownerie che non deriva la sua impronta solo da qualche simbolo esteriore: “C’è chi crede che basti un naso rosso per essere clown. Non è così. Ci sono certe gag di Stanlio e Ollio che sono clowneria pura, anche se la loro maschera non prevede il naso rosso e il volto colorato. E lo stesso si può dire di Totò e di Chaplin o di Buster Keaton. Il clown non parla solo col trucco e non basta un naso rosso per fare un clown, il quale parla invece con la mimica pur non essendo un mimo, parla soprattutto col corpo, deve essere un cascatore provetto e tanto altro. E tutto questo riesce ancora più difficile quando si è in due, perché devono combinarsi i tempi e le caratteristiche di entrambi, ed ecco perché le grandi coppie sono davvero eccezionali, perché serve un affiatamento incredibile”.
Nani è stato un clown a tutto tondo, che si è messo alla prova in vari circhi italiani e stranieri, nel teatro e nel cinema, cimentandosi anche in una sua scuola nella quale ha formato giovani artisti.
Al centro del suo impegno c’è sempre il clown, e l’insegnamento ricevuto dal padre se lo porta dietro come un archetipo. “Il circo e il clown sono la stessa cosa”, chiarisce, “il clown è il cuore del circo e se si ferma il cuore si ferma il circo, ed è questo che è accaduto negli ultimi decenni. Nei circhi italiani sono sparite le entrate, il bianco, l’augusto, il bagonghi, … al punto che neanche i nostri giovani circensi li conoscono più. Eppure i volti della clownerie tutti insieme avevano una forza enorme. Nel circo purtroppo c’è stato un livellamento verso il basso. A me piace il clown di un tempo ma non quello che oggi va per la maggiore e che mette in ridicolo le persone che sceglie fra il pubblico”.
Da qui a chiedere cosa manca, secondo Leris Colombaioni, al clown di oggi, il passo è breve: “Intanto manca la base, la storia di prima, le radici, il passato”, risponde, “è come se si fosse rotta una catena e perso un anello. Si è interrotta una storia”. E può essere possibile il ritorno alla centralità del clown nel circo dei nostri giorni? “Intanto bisognerà vedere se il circo riuscirà a sopravvivere e questo dipenderà molto dai circensi, ai quali a mio parere è chiesto di aprire gli occhi e di farlo rapidamente, altrimenti avrà ragione Fellini. Morendo il clown che è il cuore del circo muore il circo stesso. E purtroppo non si vedono tentativi di animazione …” Primum vivere, dunque. “Certo. E se il circo sopravvivrà allora bisognerà guardarsi indietro per camminare verso il futuro, capire come eravamo, chi era il clown e cos’era il circo. A mio parere solo questa memoria della tradizione consentirà di ricongiungere la catena che si è spezzata”. Si, perché l’ultimo messaggio nella bottiglia che Leris Colombaioni affida a chi avrà voglia di recuperarlo e leggerlo con la responsabilità di chi è chiamato a salvare un naufrago, è il seguente: circo, riscopri te stesso. “Penso siano fondamentali un esame di coscienza e un’autocritica… Come accadeva nel dopoguerra e fino agli anni 60 in modo particolare, si dovrebbe riscoprire la voglia di fare circo per gli altri, con l’umiltà e la gioia di essere li per il pubblico, anzi per il popolo. E’ questo che ho imparato da mio padre, uomo di poche parole ma vero, che non scendeva a compromessi e che non ha mai pensato per sé ma ha guardato lontano”.
Claudio Monti
Il servizio è stato pubblicato sulla rivista Circo gennaio 2014.
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