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E' lui o non è lui? Ma certo che è lui! Sotto il cerone del clown c

Circo.it inaugura una nuova sezione, curata da Luciano Cantini, un nome una garanzia, non c’è che dire. S’intitola Tendoni d’Italia, e il sottotitolo potrebbe essere: Il piacere di andar per circhi, che fra l’altro era una rubrica che campeggiava anni addietro sulla rivista Circo. Sarà una sorta di viaggio fra le famiglie del circo italiano per raccontare storie, personaggi, tracciare ritratti di uomini e donne, artisti e non, ma anche valori, sapori (proprio così, ci sarà spazio anche per qualche affondo nelle ricette circensi), odori… Sfoglieremo gli album con le fotografie in bianco e nero, magari ingiallite dal tempo, e con quelle a colori, come si fa in famiglia, appunto, davanti ad un caffè.
Una storica fotografia del circo Zavatta

Sarà un racconto a puntate, insomma, di chi il circo lo fa ogni giorno, da generazioni, mettendoci passione, fatica e dedizione. Con un unico protagonista: la gente del circo. E forse non è un caso che tutto questo avvenga nell’anno delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, che il circo ha festeggiato da par suo, dimostrando un forte attaccamento alla bandiera tricolore e ad una storia gloriosa che ha cementato ideali ancora vivissimi. Cominciamo subito, senza perdere tempo, ad introdurci nel tema con questo bellissimo affresco di Alessandro Serena che ci apre le porte del circo… con una particolare chiave.
Seguiteci in questo viaggio, che si arricchirà di giorno in giorno.
Claudio Monti
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“Odore di circo, odore acre di segatura di legno,
di grossi tappeti polverosi, di cavalli, di sudore, di gesso.
Chi l’ha sentito una volta non lo dimentica più.
Odor di circo, odor di avventura “(Orio Vergani)

I Clowns di Fellini

La magia del circo, vista e vissuta dall’interno, diventa magia della quotidianità. Ma il contrasto, invece di risultare stridente, aumenta il fascino di questo mondo. Diventa un simbolo del modo differente di percepire la realtà, senza cadere nella facile retorica del clown triste o dei lustrini che brillano solo illuminati dai riflettori. Non tanto una magia rivelata, ma una magia che diventa quotidiana, scandita dai tempi precisi degli acrobati, dal ritmo della natura dettato dalla presenza di animali di ogni tipo, dalla precisione della logistica (l’organizzazione di un “teatro viaggiante” non è banale), e persino dal suono delle mazze sui picchetti ai quali saranno saldamente legate le cime che tratterranno a terra il gigante di tela. Come si trattasse dei velami di un bastimento dell’immaginazione. E la gente del circo ha un che dei marinai… il viaggio, il lavoro, la microsocietà, la battaglia con le intemperie, e l’uso di corde, tele e “olio di gomito”. Ma mentre i marinai affidano alla fantasia i racconti di animali fantastici, nel circo questi animali sono presenti e diventano parte del quotidiano, non solo per l’importanza che hanno nello spettacolo, ma anche per le cure che richiedono e per i sacrifici continui che impongono… Animali che devono essere nutriti ed accuditi e che hanno il loro periodo di innamoramento, nel quale, come gli umani, sono ad un tempo più vivaci e più nervosi… Animali che dettano il ritmo della vita del circo anche con i loro rumori ed odori. Provate a dormire nella roulotte di un circo per una notte… magari sotto una pioggerellina costante che tambureggia sopra la vostra testa, un filo di vento che scuote leggermente la vostra abitazione, i ruggiti delle tigri, i barriti degli elefanti e magari il battito delle mazze sui picchetti che ricorda quello dei tamburi… vi sembrerà di essere nel mezzo della jungla…
Foto di L. Pellegatta

E la comunicazione. La lingua del circo è una specie di esperanto esotico, con elementi di vero e proprio gergo circense misto a rom, vocaboli stranieri italianizzati, termini italiani storpiati dagli stranieri, termini tecnici diventati d’uso comune, parolacce marocchine, bestemmie spagnole e intercalari in dialetto veneto.
Ma esistono altri linguaggi, nel senso di trasmissione di significati. Alcune delle più importanti discipline del circo hanno acquisito negli anni forti connotazioni: la paura, il ritmo, lo stupore, il riso, l’esotismo, ecc. Esiste quindi quasi un “codice delle emozioni” circensi che lo spettatore è abituato a riconoscere. E ovviamente, di conseguenza, molti dei personaggi circensi vengono subito collegati a delle immagini: il trapezista e il sogno di volare, il giocoliere e il ritmo e la velocità, l’ammaestratore e lo sprezzo del pericolo, la ballerina a cavallo e la grazia, ecc.. Figure che sono diventate quasi delle maschere, come nella Commedia dell’Arte, e che si sono alimentate di eventi reali, anche se talmente singolari da essere subito assorbiti dalla narrativa e dal cinema. Il domatore sbranato dal leone, il trapezista caduto con o senza rete, la partner del lanciatore di coltelli, l’uomo proiettile sparato troppo forte… una sorta di martirologia del circo che ha però esercitato un magnetismo tale da attirare l’attenzione di intellettuali ed uomini di cultura… non solo Chaplin o Fellini, ma anche Cocteau e Picasso, Genet e Stanislavski, Schlemmer o Marinetti…
Ma all’interno del mondo del circo sono altre le sensazioni che si provano. Alcune sono assolutamente peculiari di questo microcosmo interessante e anomalo. Le leggi che regolano la “società” circense sono altro da quelle che regolano la società “normale”. I valori riconosciuti sono leggermente sfasati… grande importanza alla famiglia, ma allo stesso tempo una spiccata tendenza alla polverizzazione della stessa con componenti sparsi per tutto il mondo. Un concetto del nomadismo che è a metà tra quello degli zingari e quello della gente dello spettacolo. Con una abitudine alla precarietà che si riscontra difficilmente altrove. Per un circense è ancora una meraviglia arrivare in una piazza e poter avere immediatamente l’energia elettrica o l’acqua corrente. Allo stesso tempo la necessità di relazionarsi con gente di ogni nazione e di ogni estrazione sociale, non solo in quanto persone ma anche in quanto pubblico con una sensibilità sempre diversa a seconda della latitudine e della longitudine…
Il clown Romualdo Simili

Il circo arriva in una città e si inserisce nella sua architettura, si innesta nelle sue strade, nelle sue piazze. Ma allo stesso tempo possiede una propria architettura ben definita, con il tendone al centro dell’universo e tutt’intorno gli alloggiamenti degli animali, i camerini, gli uffici, le officine, la biglietteria, ed infine le roulotte degli artisti. Si tratta di un “modello urbano” unico nel suo genere la cui composizione può forse dire di questo mondo più di quanto non si possa immaginare. Una specie di disegno magico, un mandala nel quale, dal centro verso l’esterno, si sistemano gli elementi più importanti. E anche la microarchitettura è curiosa. Molti degli attrezzi utilizzati, se estratti dal loro contesto, trasmettono delle emozioni lontane da quelle che ci si può aspettare. Pensate alla suggestione di una gabbia che non contiene nulla, di un trapezio che oscilla solo dopo lo spettacolo, di una scaletta di corda a pioli di legno per salire in cupola…
E poi in realtà l’estrema semplicità della gente del circo, il piacere di stare insieme, la gioia di incontrare, dall’altra parte del mondo, vecchi amici o compagni di lavoro, la goliardia. C’è uno scherzo abbastanza ricorrente che coinvolge gli esterni. Quasi un piccolo e faceto rito di iniziazione. Quando arriva al circo un esterno, un “gaggio” o un “contrasto”, come vengono chiamati, uno dei responsabili gli chiede di “…andare da quel tale e farsi consegnare le chiavi dello chapiteau”. Il malcapitato rischia di girare per tutto il circo anche per una o due settimane, mandato di porta in porta, di roulotte in roulotte, di scuderia in magazzino, prima di trovare qualcuno che, impietosito, gli rivela la verità … e in fondo gli indica una via. Non servono le chiavi per entrare nello chapiteau, e del resto neppure con le chiavi si può entrare nello chapiteau…uno sorta di zen circense inconsapevole!
Alessandro Serena