di Claudio Monti
I clown? Sono il punto debole del circo italiano. Andar per piazze? E’ diventato praticamente impossibile. Almeno nella cosiddetta prima Repubblica i politici sapevano assumersi le loro responsabilità, anche nei confronti del circo. Nel nostro Paese oggi si chiude un occhio su tutto ma le autorità diventano “tedesche” solo quando la legge da applicare riguarda i circhi. Le stagioni più belle per il circo italiano? I due decenni compresi fra il 60 e l’80, quando a riscaldare i cuori degli italiani ci pensavano domatori, acrobati e clown. Uno spettacolo che allora più che mai era trasversale, si direbbe oggi, faceva felice tutto l’arco costituzionale. Anche le masse di fede comunista. Fu clamoroso l’impatto che ebbe nell’Italia sessantottina lo sbarco del Circo di Mosca: a Bologna arrivavano con i pullman per vederlo, mentre in Sicilia il parroco regalava un chilo di pasta a chi si teneva lontano dalla tentazione. E’ un circense storico a sfogliare l’album dei ricordi e a riflettere su questi ed altri argomenti che toccano da vicino la vita di chi porta in giro chapiteau, artisti e animali: Enis Togni, titolare dell’American Circus. Un marchio di prestigio che ha una storia antica e gloriosa (ha lavorato negli Stati Uniti e in Russia, col tendone piazzato nel bel mezzo della piazza Rossa di Mosca, oltre che in tutta Europa) ma che oggi deve vedersela con lacci e lacciuoli della burocrazia made in Italy, tanto che davanti a piccoli e grandi ostracismi ha deciso prima di lavorare gran parte dell’anno all’estero e poi di tenere aperto lo show in Italia solo per 120 giorni su 365.
La sua è una vera azienda viaggiante, a partire dal tendone a tre piste, un colosso di impronta americana, sul modello del Ringling bros. Barnum and Bailey Circus. Ed è proprio il trattamento che oggi riceve una realtà di questa caratura e dimensioni, che con l’insegna “Americano” ha debuttato a Torino il 23 novembre 1963 (con un giorno di ritardo rispetto alla data stabilita, in segno di lutto per l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy a Dallas), uno dei crucci di Enis Togni, che ricopre anche l’incarico di vicepresidente dell’Ente Nazionale Circhi.
“Se una qualunque impresa di una ventina di addetti incontra dei problemi, sciopera e blocca una autostrada e a quel punto trova ascolto. Se un circo che dà lavoro a cento e più persone incontra sul proprio cammino, come accade ormai spessissimo, una commissione di vigilanza che vuole spaccare il capello in due, non resta altro da fare che soccombere all’ingiustizia”, dice Enis Togni seduto nel caravan ufficio del suo quartier generale di Verona.
Soddisfatto del buon andamento della recente assemblea generale della categoria, riunita all’Agis di Roma (“mi hanno molto colpito il clima positivo e le numerose presenze”, spiega col suo solito stile misurato ma diretto) Togni sposta subito l’attenzione sul “momento difficile che stiamo vivendo in Italia”. Non prima di avere speso qualche parola sul ruolo che ha giocato in questi decenni l’Ente Nazionale Circhi, per oltre mezzo secolo sotto la guida di Egidio Palmiri e dal febbraio 2011 sotto la presidenza di Antonio Buccioni.
“Palmiri ha ottenuto risultati incredibili per i circhi italiani, basti solo pensare al contributo ministeriale e a tante sovvenzioni che in precedenza non esistevano, ecco perché dà fastidio ascoltare qualche critica ingenerosa. Il signor Palmiri ha fatto tantissimo, noi consiglieri abbiamo dato qualche consiglio ma chi ha operato è stato lui e secondo me ha operato benissimo. Certo, la perfezione non fa parte di questo mondo, ma meglio di lui non avrebbe fatto nessuno di noi. Ha sempre creduto in ciò che ha fatto, ha potuto concentrarsi a tempo pieno sull’associazione da quando non ha più avuto un proprio circo,… insomma, ha dato il massimo e di traguardi ne sono stati tagliati parecchi”.
E adesso a suo parere su cosa dovrebbero concentrarsi gli sforzi dell’Ente Nazionale Circhi?
In questo momento il problema principale per i circhi sono gli alti costi per spostamenti, corrente elettrica, carburante, piazze. Ha fatto molto bene il presidente Buccioni a lavorare insieme all’Anesv per il ritorno del forfait per gli allacciamenti alla corrente elettrica delle carovane, è stato un primo obiettivo centrato importantissimo. Il nostro circo a Napoli ha speso più di mille euro al giorno di corrente elettrica, contro i 300 che pagavamo in passato. Le ore di spettacolo sono sei in un giorno, ma ci fanno pagare per 24 ore anche se per 18 ore dovremmo essere considerati una normale abitazione.
Parliamo invece degli spostamenti.
I costi di trasferimento su ferrovia sono diventati esorbitanti. Tre anni fa per andare da Genova a Napoli col nostro circo spendevamo circa 4 mila euro, che in realtà erano troppo pochi, ma le tariffe non le abbiamo certo decise noi. Quest’anno per 25 vagoni circa 30 mila euro. Fra l’altro adesso Trenitalia non vuole più persone d’accompagnamento e animali sul treno, quando invece soprattutto cavalli ed altre specie viaggerebbero molto meglio su ferrovia. Vuol sapere cosa costa ad un circo come il nostro solo passare dalla piazza di Torino a quella di Napoli, come abbiamo fatto prima di Natale?
Dica…
Fra carburante, costo della piazza, pubblicità, e comunque solo spese legate all’arrivo sulla piazza, più di 5 mila euro al giorno, alle quali va aggiunto tutto il resto: paghe, animali, eccetera. All’estero va molto meglio, la nafta costa meno, l’autostrada non la pagano e così via.
Per queste ragioni il circo Americano ha scelto di di lavorare 4-5 mesi e di fermarsi a Verona per il resto dell’anno?
Per un circo grande come il nostro le ragioni della scelta di fermarsi sono dettate dai costi e dall’impossibilità di trovare le piazze. L’unico circo grande che lavora anche in estate in Italia è Moira Orfei perché è un caso a sé, ha un nome particolare… Noi abbiamo presentato una settantina di domande in vari Comuni, quelli che hanno risposto positivamente sono stati due o tre. C’è chi chiede 3 mila euro di cauzione subito, e se poi per un imprevisto indipendente dalla tua volontà non riesci ad andare su quella piazza perdi anche la cauzione.
Come spiega queste ostilità?
Francamente ci sono istituzioni che in Italia il circo non lo vogliono più e sinceramente non ne capisco la ragione. Quali crimini abbiamo commesso? Se si fa un rapporto fra numero di circhi e frequenza degli spostamenti da una parte, e incidenti mortali sul lavoro dall’altra, risulta evidente che parliamo di percentuali inesistenti. Non è da noi che crollano le gradinate (anche perché da generazioni facciamo questo mestiere) e muoiono gli operai. Eppure le commissioni per la sicurezza ci trattano come soggetti pericolosi. Per controllare il circo si presentano in venti, arrivano già prevenuti, in una città ci hanno chiesto anche il disegno del percorso che il pubblico doveva compiere per entrare al circo. Bisogna girare con l’ingegnere a disposizione della commissione, e anche questa è una spesa alta. Sei alla mercé di persone che fanno di tutto per ostacolarti, ti senti continuamente umiliato, anche quando ottieni il permesso sembra sia un “favore” per grazia ricevuta. Pretendono per un circo che si sposta ogni settimana, quella perfezione che non hanno nemmeno imprese stabili.
All’estero invece cosa succede?
In Germania i circhi hanno il “libro di montaggio” del circo, così si presentano due tecnici incaricati (non 23 come mi è accaduto di vedere in una città italiana) guardano questo libro e verificano se tutto è montato bene, in un quarto d’ora e con pochi euro di spesa è tutto finito. In Belgio si presenta un vigile del fuoco a vedere se ci sono gli estintori, tu firmi l’autocertificazione ed è finita. In svizzera le commissioni non vanno proprio…
Se è così per le commissioni, immagino cosa possa accadere per il trasporto degli animali.
Meglio non parlarne infatti. Fra foglio rosa, permessi vari, veterinari, Asl… In qualche importante capoluogo, se hai un 5 per cento di spazio in meno rispetto a quello stabilito dalla normativa per gli elefanti, non ti fanno lavorare. E gli spazi sono sempre proporzionati alle piazze che riusciamo a reperire visto che i Comuni spesso e volentieri sono inadempienti rispetto a quanto prescrive la legge del 1968, che li obbliga a mettere a disposizione le aree pubbliche per i circhi. Ancora una volta, all’estero non esiste questo “fiscalismo”, nessuno si permette di non fare debuttare un circo con oltre cento addetti perché mancano 10 metri per gli elefanti o, ancora peggio, per una presa della corrente da sistemare, è una questione di buonsenso. In alcuni Comuni italiani quando arriva un circo diventano … altro che tedeschi!
E’ paradossale che si chiuda gli occhi su tutto ma non sui tendoni itineranti.
Si, tanto più che il circo viene settimanalmente controllato e come dicevo prima non si sono verificati incidenti che giustifichino un tale accanimento. Ma sa qual è il problema? In Italia l’accanimento si verifica in generale verso chi lavora, le imprese sono le più vessate d’Europa.
Scusi ma mentre parla sto pensando alle dimensioni del vostro circo, il più grande in assoluto in Italia, con tre piste: non sarebbe più facile spostarsi con un tendone più piccolo e ridurre tutto in proporzione?
Guardi, ci abbiamo pensato ma noi non siamo capaci. Siamo cresciuti lavorando in un certo modo, col circo che abbiamo, e siamo diventati grandi perché un tempo in Italia il circo incontrava simpatia, accoglienza… ti spalancavano le porte delle città. Da anni non è più così e oggi chi riesce a sopravvivere sono i circhi piccoli, quelli grandi incontrano ostacoli spesso insormontabili. Ecco perché sempre più circhi, soprattutto di medie e grandi dimensioni, emigrano per diversi mesi all’estero. In Francia, in Belgio, Germania, Svizzera, Slovenia, i circhi lavorano bene, sono accolti meglio e il pubblico è numeroso.
Fino a questo momento lei ha elencato cause esterne che mettono in difficoltà i circhi, ma non ci sono anche ragioni interne? I circhi non devono farsi un esame di coscienza su niente?
Il fatto che le spese siano diventate altissime provoca anche la conseguenza che gli investimenti per gli spettacoli sono un po’ più ridotti, ed è normale che sia così. Poi il fatto che ci siano oltre cento circhi in attività, molti dei quali familiari, fa si che non sempre siano all’altezza di ciò che promettono nella loro pubblicità. L’alto numero di complessi è infatti l’altro problema: l’anno scorso a Verona, da Natale al 19 gennaio, c’errammo sette circhi compreso il nostro: abbiamo fatto un calcolo approssimativo constatando che complessivamente hanno raccolto almeno 26 mila persone, che sono tantissime, ma suddivise per sette circhi non sono tante.
L’esplosione dei circhi piccoli, dotati di strutture e mezzi da grandi (anche come impatto della pubblicità), non ha di certo aiutato.
La forza dell’Ente Nazionale Circhi negli anni passati è stata anche quella di aver stretto buone relazioni con la politica e con i governi. Oggi questo è un punto debole?
Più che di Ente Circhi parlerei della capacità di chi l’ha guidato di stringere amicizie e rapporti di stima con la classe politica del passato: così hanno fatto Ercole Togni, Orlando Orfei ed Egidio Palmiri. Ma direi anche le diverse figure storiche del circo italiano hanno saputo curare questo aspetto. Nel 1965 eravamo col circo a Merano, si allagò la ferrovia e ci trovammo in piena emergenza. Mio papà (Ferdinando Togni, ndr) aveva conosciuto il ministro Andreotti quando trascorreva qualche periodo di vacanza a Montecatini, nel 1956. Poi in occasione delle elezioni del 1958 aveva affittato il nostro circo alla Dc che ci teneva i comizi, aperti da brevi spettacoli, e anche in quella occasione i rapporti con Andreotti divennero molto cordiali. Così da Merano pensammo di chiedere aiuto a lui e ci mandò 25 camion militari per portare il circo fino a Trento.
E ai giorni nostri casi di politici italiani attenti al circo non ce ne sono più?
Qualcuno c’è, ma se devo andare con la memoria a casi analoghi a quello di Merano non posso fare altro che pescare in episodi avvenuti all’estero.
Del tipo?
Due anni fa eravamo in Francia, a Valenciennes, e l’ultimo giorno è caduta tanta neve da bloccare tutto, era domenica e dovevamo caricare il treno per partire ma i trattori slittavano, non ce la facevamo proprio… Abbiamo interpellato il sindaco che non ha esitato un attimo a farci mandare due spazzaneve che sono stati a nostra disposizione dalle 3 del pomeriggio fino alle 6 del mattino successivo. Sempre a Valenciennes una mattina al nostro circo viene un signore che scarica dei sacchi di sale: “Immagino abbiate dei problemi”, ha detto. Gli è stato chiesto chi fosse… era il sindaco. Siccome non aveva persone disponibili, era venuto lui a portarci il sale. Lei pensi se oggi in Italia un sindaco farebbe una cosa del genere.
All’estero nei confronti del circo perdura l’atteggiamento di rispetto da parte delle istituzioni che in Italia abbiamo avuto fino agli anni Ottanta, ma che oggi è quasi solo un ricordo.
Fino a che periodo si è lavorato bene col circo in Italia?
Molto bene direi dagli anni 60 all’inizio degli anni 80. Non avevamo problemi di logistica, le piazze c’erano sempre, eravamo apprezzati e ovunque andavi facevi il pieno. Ricordo ancora che con il circo Americano il primo anno che abbiamo fatto Torino e Milano abbiamo dovuto mandare indietro tanta gente perché non ce ne stava più.
E quest’anno com’è andata la stagione dell’Americano?
Il nostro spettacolo è andato bene, è piaciuto molto… i numeri di animali sono sempre di alto livello, e anche per quelli acrobatici sono stati scritturati buoni numeri.
La situazione degli spettacoli in Italia è in genere quella di avere buoni numeri di animali e acrobatici, appunto, ma a difettare un po’ non è la parte comica?
In effetti è così, ma non è facile trovare clown italiani innovativi e di forte presa sul pubblico, oppure ci sono clown bravi ma non adatti alle platee del circo. Alcuni sono infatti molto bravi ma per un pubblico diverso da quello di bambini e famiglie. David Larible è bravissimo e farebbe la differenza, ma è un clown impagabile da ogni punto di vista (sorride Enis Togni, ndr) e molto impegnato. Non è nemmeno che si possa dire, beh, allora ce li formiamo! O sei o non sei clown, devi nascere con certe caratteristiche, David ad esempio è spiritoso ed ha una comicità naturale.
E in passato invece la piazza offriva più scelta?
Sicuramente si, penso solo ad alcuni che hanno lavorato con noi: i Salvadori, i Rastelli, Rudy Llata… In particolare ricordo ancora con grande piacere l’entrata dei Salvadori coi loro personaggi di Braccio di Ferro. Li abbiamo ingaggiati alla fine del 62, hanno lavorato da noi per sei mesi e poi sono andati a lavorare a Las Vegas dopo essere stati anche in Rai.
Lei ha portato in Italia anche il Circo di Mosca, vuole ricordarci quell’esperienza?
Fu Dante Cardarelli ad andare in Russia e ad ottenere quel risultato. Il Circo di Mosca sarebbe dovuto venire in Italia nel 68 ma a seguito della rivolta di Praga il ministero dell’Interno ci sconsigliò di realizzare il progetto temendo qualche disordine. Così portammo il Circo di Mosca da fine agosto al 6 gennaio del 1969, in collaborazione con l’ambasciata russa.
E che accoglienza ebbe?
La prima città fu Genova, e non bastarono i 5 mila posti del circo. Sempre strapieno. Poi Milano e anche lì andò bene, anche se la media settimanale non fece riempire il tendone, ma il sabato e la domenica tutto esaurito. A Bologna fu un trionfo: la gente arrivava da tutta la regione con i pullman, dormivano li dentro per assicurarsi i posti. Bene anche a Torino, ma quando siamo scesi verso sud l’aria è cominciata a cambiare. Bisogna ricordare che giravamo con uno chapiteau grande, 54 metri, tutto rosso e con le bandiere dell’Unione Sovietica. I russi avevano tre camion di attrezzi…
Quindi un bel colpo d’occhio per anni come quelli…
Diciamo che non passavamo inosservati… Scendemmo a Bari e lavorammo poco. Avevamo programmato una lunga tournée in Sicilia, dove avremmo dovuto trascorrere anche il Natale, e anche se qualcuno ci sconsigliò eravamo sicuri che avremmo lavorato bene….
E invece?
Arrivati a Catania non abbiamo fatto niente, deserto, tanto che dopo tre giorni ce ne siamo andati. Anzitutto ci obbligarono a togliere le bandiere rosse, poi il parroco diceva ai fedeli: “Se non andate al Circo di Mosca vi regalo un chilo di pasta”. Il clima era questo nell’Italia di quegli anni.
E fuggiti dalla Sicilia, per così dire, dove avete riparato?
Ad Ancona e anche li abbiamo lavorato poco, poi a Forlì e Modena. Stranamente anche nella rossa Forlì (dove abbiamo trascorso il Natale) non sono arrivate le folle, mentre a Modena è andata molto bene: nonostante il nevone, il 31 dicembre il circo era stracolmo di gente.
Un ultimo argomento è quello dei Festival: in passato ci sono state varie esperienze, più o meno positive in Italia. Oggi come Festival vero e proprio c’è solo quello di Latina. Cosa ne pensa?
Latina è un festival di buona qualità, solo che si svolge in una città che non lo valorizza adeguatamente. Se lo stesso evento si tenesse a Roma credo potrebbe decollare. E poi l’altro aspetto importante per il buon esito di un festival è l’abbinata con la televisione, che a Latina manca… Infine se ci si vuole porre la questione della utilità di un festival, credo che uno fatto in Italia dovrebbe avere artisti di casa nostra e non tutti o quasi stranieri.
A Verona, dove ha sede l’Accademia d’Arte Circense e la famiglia Togni, un festival di circo potrebbe avere successo?
Potrebbe averlo, ma occorrono le risorse adeguate per farlo, altrimenti nemmeno tentare.