di Claudio Monti
“Il circo è una delle forme artistiche più autentiche che a suo modo esprime una via profonda dell’uomo e del mondo”. Chi parla è Alessandro Kokocinski, uno dei maggiori artisti contemporanei, che ha sparso le sue opere in mezza Europa e in Estremo Oriente, e delle quali Rafael Alberti ha scritto che “quasi goyescamente spaventa, in un mondo nudo che ti mette un nodo alla gola”. Di recente ha realizzato a Milano una mostra dal titolo Cyrk, Circo, manifestando il suo profondo legame, anche fisico come vedremo, con la pista di segatura e i suoi artisti. “Ho visto un russo-argentino-italiano, circense e pittore, scoprire il rito e ridare vita al mito”, ha detto Philippe Daverio parlando di lui. Lo abbiamo intervistato, e forse per la prima volta Alessandro Kokocinski esprime fino in fondo il suo pensiero sull’arte e sulle sue derive, tanto da chiedersi se sia necessario un vento grillino per ripulirla dall’inquinamento del mercato. Ma ci parla anche della bellezza e del suo legame col circo.
Non senza un pizzico di orgoglio proponiamo ai nostri lettori questa lunga ed emozionante conversazione con Alessandro Kokocinski, raro testimone della bellezza che solo l’arte sa evocare e incarnare.
Può raccontarci qualcosa della sua avventurosa esistenza?
Sono nato in Italia, a Porto Recanati, in un campo di profughi. Forse un caso del destino, oppure un segno premonitore, l’essere nato nella terra di Raffaello. Cittadino del mondo da perfetto apolide, oggi italiano per scelta, sono grato al Destino che mi ha fatto vivere con curiosità e meraviglia la straordinaria avventura irripetibile della vita. Ho cercato di realizzare la mia esistenza artistica puntando ad una qualità della vita in funzione del bello, e non avrebbe potuto essere in un altro modo considerando che la terra che mi ospita, l’Italia, ha donato al mondo creatività artistica, letteraria, culturale, il tutto immerso in paesaggi così diversificati e unici.
Lei ha conosciuto molto bene anche l’Europa.
Si. Ricordo ancora l’emozione del mio primo viaggio in Europa: allora la mia conoscenza dell’arte era piuttosto limitata, giacché i miei primi approcci artistici sono stati inizialmente il circo e poi il teatro. A Londra, alla National Gallery, vidi il grandioso dipinto di Amore e Psiche del “Bronzino” (Agnolo di Cosimo di Mariano, nda) fino a quel momento sconosciuto per me: rimasi folgorato. Questo incontro ha segnato profondamente il mio percorso artistico in qualche maniera ispirato alla classicità mediterranea. Mi sono lasciato guidare dalla grande mano del destino, che mi ha portato a Roma. Qui sono entrato in contatto con il mondo culturale degli anni ’70, conobbi Riccardo Tommasi Ferroni, che divenne mio amico fraterno e maestro: mi ha, per così dire, “adottato”, introducendomi alla conoscenza dell’arte e delle tecniche della pittura rinascimentali ricordandomi di non dimenticare che il mio spirito è permeato di quel carattere spagnolesco che deriva dalla lunga permanenza nell’America Latina e che ha già in sé il germe del “trafficare con la morte”.
Che cosa ha guidato la sua ricerca?
Sia nella vita e sia nell’arte, mi sono nutrito d’idee e passione, assorbendo non solo la natura ma anche la storia. Sono figlio di un presente che non nega né amputa il passato perché lo considero la trama e l’ordito della nostra coscienza e risorsa per il rinnovamento. La mia arte è un’auto da fé laica e contemporanea, la passione mistica è un sentire l’arte classica sublimando Sacro e Profano, luce e ombra.
Dopo la parentesi Guaranì, sono cresciuto costantemente in bilico fra il sublime dell’arte circense e la drammaticità di essere testimone della ferocia di un secolo sconvolgente segnato da catastrofi etiche, morali e dal crescente relativismo che ha cambiato il destino di un’epoca. Dopo la guerra, Auschwitz, Hiroshima e Nagasaki, nulla sarà più come prima. I miei genitori, guerrieri in fuga, portando con sé solo l’anima fra i denti, subirono l’ennesima umiliazione nell’Albergo degli Emigranti di Baires, fatto che li fece decidere di andare verso il nord, verso le terre di Missiones alla frontiera con il Brasile, dove avevano notizie di insediamenti di russi. Purtroppo nel percorso non riuscirono a trovare l’insediamento e non sapendo dove andare vennero adottati da una piccola comunità indigena di Guaraní e li iniziò la mia vita.
Cosa ricorda di quel periodo?
Non è facile rendere conto di quei giorni strani e straordinari, pieni di memoria. Mi sembrava che il sole splendesse sempre: avevo la vita davanti a me. Lì in mezzo a quella cattedrale della natura, in quelle terre lontane da Dio e dagli uomini del mondo civilizzato, ho cominciato a fare i miei primi passi, con un piede nella foresta Cequegna e l’altro nel fantastico mondo russo. L’insegnamento Guaraní è fondamentale nella mia formazione: ho imparato a conoscere le leggi della Natura e ad osservarle e ho imparato che chi non ha guardato gli occhi della Natura non conosce il Divino.
I Guarani mi hanno insegnato che siamo ospiti della terra dove tutto è di tutti e dobbiamo convivere in armonia con essa. Con loro ho vissuto un equilibrio perfetto, una simbiosi tra natura e uomini.
Come vede il periodo che stiamo vivendo, segnato dall’economia, dalla globalizzazione, da enormi stravolgimenti?
In questa cupa atmosfera di guerra diffusa nel pianeta, in questo drammatico declino culturale, sociale ed economico del mondo occidentale che ha costruito un sistema di sviluppo insensato che sta distruggendo gran parte dell’etica e dell’umanità, sparpagliando masse migratorie ai quattro punti cardinali del mondo, penso agli uomini che hanno redento e che redimono l’umanità con le loro opere e il loro sacrificio. Penso a quegli uomini che hanno scoperto e scoprono il valore sublime della vita recuperando e rinnovando quello che l’umanità ha perso in questi ultimi decenni, dando una risposta ai problemi dell’esistenza umana incarnando il desiderio di vivere secondo la verità legata alla dottrina di Cristo, che non è quella della Chiesa. Un frutto destinato a dare semi nel futuro.
Lei è stato invitato dallo Stato Vaticano ad esporre nei propri Musei e ad illustrare l’Angelus Dei per l’anno Santo sotto il pontificato di Papa Paolo VI, poi ha incontrato anche Giovanni Paolo II. Che immagine le suscita un evento epocale come quello della rinuncia di Benedetto XVI?
Io sono un laico, non credente, slegato dai dogmi religiosi, ma considero la rinuncia di Papa Benedetto XVI un gesto di straordinaria e lucida umiltà ed allo stesso tempo impotenza di fronte ad una Curia autoreferenziale, potente, cinica, piena di scandali. Un gesto unico nel seno della chiesa cattolica che ha segnato un cambio epocale della nostra storia. Sono convinto che sia un bene conoscere le leggi di Dio e della Natura ma che non basti, sarebbe meglio osservarle. Oggi si prende coscienza dell’intollerabile divario fra ricchi e poveri. Dove i grandi poteri politici, in mano alle multinazionali, fanno orecchie da mercante di fronte a questo trauma planetario. Nessuno può più permettersi di assistere impassibile al fatto che la prosperità di pochi sia la disperazione di tanti popoli della terra. Con il nuovo millennio stanno accadendo cambiamenti veloci ed epocali, vedi il caso del sud America, un paese per molto tempo considerato terzo mondo, mi riferisco in particolare alla Bolivia (ma non è l’unico caso), un paese di grandi contrasti, ma dove oggi è stato inserito nella Carta Costituzionale un articolo dedicato al diritto e alla salvaguardia della natura, il diritto all’acqua e alla terra, alla qualità e dignità della vita. E non credo che sia un caso che in questo fermento etico e morale del Sud America appaia la figura di Papa Francesco.
Tutto questo è in contrasto con la civiltà occidentale che è la civiltà del vapore, dello spettacolo a qualsiasi prezzo. Ci troviamo nell’era dell’orrore, dove tutto è spettacolo mediatico ridotto al consumismo, dove la bellezza è un surrogato delle tendenze e mode basate sulla mercificazione e sotto una falsa idea di sviluppo.
Chi è Dio per lei? L’uomo secolarizzato è più emancipato e libero rispetto all’uomo che viveva in rapporto con la religiosità?
Pur essendo un laico, vivo un conflitto contraddittorio con il mondo religioso. Più vado in su con gli anni e più come uomo mi allontano dall’idea di Dio, ma non come artista: vivo lo spirito che innalza la coscienza verso pensieri più alti, agli ideali, agli slanci e alle lotte.
Forse c’è l’idea di Dio in noi, e l’artista nel rappresentarlo nella tradizione dell’arte esprime l’estetismo dell’angoscia che limita l’anima e la vita; forse l’arte è una ininterrotta esperienza mistica che coinvolge e travolge l’uomo.
Ma guardando il sistema perverso odierno che ha portato alla follia e alla barbarie una parte della nostra società, basata su una falsa idea di sviluppo con la perdita della memoria e l’impoverimento della conoscenza, mi domando: dove è finita l’anima, l’identità degli uomini come spirito?
Cos’è la bellezza?
La bellezza è la profondità spirituale che ha caratterizzato in ogni tempo l’arte nelle sue più nobili forme espressive di fronte alla sacralità della vita e dell’essere umano. La bellezza è il richiamo al mistero e al trascendente; grazie a questa, l’umanità dopo ogni declino potrà riprendere il suo cammino, e come è stato detto con profonda intuizione, la bellezza salverà il mondo.
L’Italia è sinonimo di bellezza, anzi della bellezza per eccellenza. Un patrimonio dell’umanità non solo per la natura e il paesaggio ma soprattutto per ciò che l’uomo e la sua storia hanno creato.
L’autentica patria è quella che rende culto alla bellezza.
Come è avvenuto il suo incontro col circo?
Finita, purtroppo per me, l’esperienza di vita Guaraní, dopo un viaggio lungo e doloroso io e la mia famiglia siamo approdati a Baires e per la prima volta ho visto e sentito la violenza dell’uomo sull’uomo, ma allo stesso tempo questo orrore mi dava la forza di sopravvivere. Come vuole la storia, vidi un piccolo circo davanti a me e grazie alla saggezza dei miei genitori, sotto il loro triste sguardo, partii fanciullo con il circo. Era logico, il circo era un micro mondo autosufficiente basato su regole e obbligato ad osservarle. In un certo senso c’era un’analogia con i principi di vita della comunità indigena e questa esperienza consolidò ulteriormente i miei principi di vita arricchendo il mio voluminoso bagaglio fra il mondo della natura, il mondo del circo e la conoscenza del fantastico mondo russo. Malgrado questo, ero considerato un analfabeta colto. Dopo due anni il circo bruciò e siamo riamasti per strada. All’infuori di cameriere e marinaio ho svolto tutti i mestieri. Nell’anno successivo sono entrato in contatto con il circo di Mosca, ho cominciato a collaborare con loro conoscendo degli straordinari e grandi artisti, dal clown Popov ai funamboli della storica famiglia Voljianski, i cui nipoti oggi lavorano al Cirque du Soleil.
Lei ha detto che nel circo non si può bluffare come nell’arte contemporanea, dove uno si alza e può dirsi artista.
L’atto circense nasce dal sacro: sfidando la natura e la morte. Nella ancestrale storia della disciplina circense si crea l’ideale tensione tra artista e pubblico: il rigore del cerchio e l’emozione in un grande unico spettacolo. L’apprendistato circense è stato per me un assorbimento famigliare diviso tra le severissime lezioni mattutine con i “vecchi” sulla pista, fra l’osservazione quasi inconscia degli spettacoli e la vita dietro le quinte. Il rigore e la disciplina sono l’unico modo per imparare il circo. Il circo è un mondo interdisciplinare specchio dello spirito umano. Un mondo diverso da quello normale, un mondo dominato da leggi speciali dove il privilegio dell’artista si accompagna necessariamente all’umiltà del servizio “fuori scena”, dove ti converti in un tecnico, manovale e facchino. Il circense attraversa il mondo con la sola ricchezza costituita dal proprio talento, con faticoso impegno e grandi sacrifici. Il circo è una delle forme variegate dell’arte che continua ad evolvere con alti e bassi ma senza allontanarsi da se stesso.
E perché lei contrappone circo e arte contemporanea?
Il circense è un artista che basa la sua creatività sul rigore e la disciplina con una conoscenza assoluta della tecnica e la memoria stratificata dell’arte circense. Ovviamente c’è evoluzione, ma basata sempre sulla qualità. Nell’arte contemporanea, invece, osserviamo spesso tutto e il contrario di tutto.
Davanti all’arte contemporanea, in molti casi, eventi e opere arrivano ad offendere l’intelligenza. Un certo tipo di arte contemporanea, che trova un largo entusiasmo e sostegno nei media, talvolta è evento, talvolta è spettacolo, talvolta è concetto, ed alla fine non si capisce chiaramente che cosa è… Di certo è diventata, grazie forse ad una lobby “culturale” senza scrupoli, qualcosa di unilaterale che taglia spazi ad altri linguaggi artistici. L’arte contemporanea è difficile da capire ma facile da fare e la possono fare tutti.
Faccio un esempio provocatorio: pensiamo ad un evento traumatico che distrugga una ipotetica città dei nostri giorni con tutte le sue case, i suoi monumenti e i suoi musei e pensiamo agli archeologi del futuro che dovranno decifrare le tracce degli abitanti di questa città. Non hanno conoscenze dettagliate di questa epoca perché non dispongono delle macchine in grado di leggere i testi conservati nei cd. Questi archeologi si metteranno a scavare e troveranno i resti di uno squalo, cumuli di ossa animali, piatti e scodelle con resti di cibo, magari un pitale. Forse penseranno di essere di fronte ad opere d’arte? E che tipo di cultura può aver espresso ciò?
Mi domando: ci serviranno anche qui i grillini per fare pulizia? In questa nostra epoca lacerata, la cultura artistica vive nell’effimero, nella superficialità ubriacata di mercato. Inoltre la cultura odierna si basa sugli strumenti della ragione e soprattutto del concetto, dimenticando che esistono altri strumenti di conoscenza come l’intuizione e l’emozione, con l’uso di un linguaggio tecnico che si esprime attraverso il “saper fare”.
Qual è la figura artistica del circo che le piace di più? Clown, giocoliere, acrobata, domatore… e perché?
Il clown, il funambolo e gli acrobati, sono i personaggi che più mi meravigliano perché sintetizzano il virtuosismo interdisciplinare dell’arte circense: sono artisti completi o, come si dice oggi, a tutto tondo. Esprimono un surrealismo poetico formidabile perché loro hanno incorporato il mondo in un genere legittimo di drammaturgia.
Il funambolo è un intreccio, un inno all’audacia e alla perfezione, rispecchiandosi nell’infinito con un raggio luminoso nello spazio, tra realtà e sogno.
Il clown è l’immagine dell’uomo che riconosce la sua tragedia, cosciente dei suoi limiti, però allo stesso tempo ride di ciò.
Il circo è una delle forme artistiche più autentiche che a suo modo esprime una via profonda dell’uomo e del mondo.
Lei vede delle distinzioni fra il circo tradizionale, classico, e quello cosiddetto contemporaneo (modello Soleil?)
Il circo è un linguaggio artistico universale, popolare nel suo significato più nobile. E’ un’arte in costante cambiamento ed evoluzione ma senza allontanarsi dalla sua memoria storica, tradizionale, è un’arte dove con la conoscenza del passato si vive il futuro. E’ il risultato magico per eccellenza dello sforzo della famiglia umana circense nelle diverse forme dell’arte. Questo essere unici, questa diversità, accomuna tutti nel nomadismo, il confronto costante con il resto del mondo, la capacità di sognare attraverso una meravigliosa fantasia nella quale le radici ti permettono di crescere nella fertile terra dell’arte.
Il circo è sempre rimasto lo spettacolo a 360 gradi, come la sua pista. Sia il circo classico tradizionale e sia quello innovatore contemporaneo del Cirque du Soleil. Sapere che ancora esiste il circo mi dà pace e mi rasserena. Fra il circo classico e quello contemporaneo che differenza c’è… è come pensare al tango classico e a quello di Astor Piazzolla: sempre tango è ma nel secondo c’è l’evoluzione colta contemporanea, che non è vacua sperimentazione ma che si muove avendo come base una perfetta conoscenza della tecnica che sublima con il talento e l’intuizione, non si allontana dal linguaggio tradizionale che usa bensì come humus tanto che il codice del tango due per quattro è riconosciuto a distanza di tempo e spazio.
Perché ha sentito l’esigenza di riunire i suoi disegni dedicati al circo in una mostra a Milano? C’è un messaggio che vuole lanciare con questi suoi lavori?
Da ragazzo quando lavoravo nel circo, facevo i disegni dei miei compagni di viaggio, in maniera spontanea e libera, senza sapere che un giorno mi sarei trovato a seguire la vocazione dell’arte pittorica. Oggi mi riavvicino al circo con questi disegni, lo faccio con grande pudore e umiltà ma cercando di esaltare quel mondo che mi ha dato tanto nella vita e nell’arte. Lo sto facendo in punta di piedi, riprendendo pian piano la memoria di quel mondo fantastico con il quale ho condiviso lacrime, sudore, sorrisi. Forse oggi, nella pienezza della mia vocazione pittorica, rendo omaggio e realizzo uno scambio di vita e di arte con questi semplici ma sentiti disegni che scaturiscono dal profondo del mio inconscio evocando un filo di fantasia fra il cielo e la terra sotto l’universo di un tendone.
“Chaplin cerca di fare nei suoi film quello che io cerco di fare con la mia pittura”, ha detto Chagall. Lei ha qualche personaggio che predilige, magari del cinema, legato al circo?
In assoluto Charlie Chaplin, un uomo, un vero artista circense, e non solo.
Chi è Alessadro Kokocinski
Nei primi anni ’60, a Buenos Aires entra a far parte del fantastico mondo del circo come acrobata con i cavalli e inizia a viaggiare per l’America Latina conoscendo i più grandi artisti circensi tra cui Popov. Tornato a Buenos Aires, arricchisce la sua arte lavorando come scenografo teatrale, ma la persecuzione militare argentina lo costringe a rifugiarsi a Santiago del Cile (1969), dove espone disegni di chiara denuncia politica (le sue opere si trovano presso il Museo d’Arte Moderna di Santiago).
Alla caduta del governo Allende, Kokocinski si trova già in Europa, a Roma, dove è accolto da intellettuali come Rafael Alberti, Alberto Moravia, Carlo Levi e altri. Prima di lasciare Roma per Anticoli Corrado, partecipa alla X Quadriennale d’Arte Nazionale di Roma ed è invitato dallo Stato Vaticano ad esporre nei propri Musei e ad illustrare l’Angelus Dei per l’anno Santo sotto il pontificato di Papa Paolo VI. Nel 1977 viene allestita una sua personale al Palazzo dei Diamanti di Ferrara, nella quale l’artista continua a denunciare, attraverso la pittura, la crudele realtà sociale del Sud America, in cui è soggetto al vigile controllo della dittatura militare dell’Argentina.
Dopo circa due anni si trasferisce a Labro, un paesino medievale dell’Umbria. Nel 1986 soggiorna per alcuni mesi in Estremo Oriente, tra la Thailandia e la Cina. A Hong Kong è allestita una sua grande personale patrocinata dal Ministero degli Esteri, che inaugurerà l’Hong Kong Art Festival Centre. Di ritorno dall’Oriente si ferma in Germania, dove tiene nel 1991 delle mostre personali: all’Akademie der Kunste di Berlino e al Museo Leonhardi di Dresda.
Nel 1992 è accolta a Praga nel Palazzo Lobrovicky un’altra personale. Continui i suoi viaggi fra Germania, Roma e Buenos Aires che lo ha ospitato di recente con una grande retrospettiva nel Museo Nazionale di Belle Arti patrocinata dal Ministero degli Esteri e dalla Fundaciòn J.L. Borges. Borges rimase particolarmente toccato dall’opera di Kokocinski.
La sua pittura, d’un realismo visionario e accattivante, assomma il mondo fantastico russo, la passione e il realismo sudamericano e il fascino luministico secentesco italiano. Forse proprio da questo caleidoscopio di culture e di vocazioni etico-sentimentali è nata la prospettiva fantastica, insieme allucinata e sapiente, la pittura tutta fuga e tutta compendiata energia che ormai da tempo la critica ammira senza riserve; ma che piace, per la misteriosa tensione che sorprende e coinvolge, anche ai non addetti ai lavori. Da poco è tornato a lavorare in teatro. Ha ideato e realizzato assieme all’attrice Lina Sastri lo spettacolo “Cuore mio”, dove la sua pittura si è fusa con la drammaticità e la musicalità napoletana.
(Dal sito internet della Fondazione Kokocinski)