di Alessandro Serena
BUDAPEST – Oreste e Vittorio Rastelli, dopo quasi dieci anni dal loro ritiro, rientrano in pista al Circo stabile di Budapest. Per gli appassionati e i competenti di arte del clown la decisione è pari a quella di Michail Schumacher che dopo un ritiro di alcuni anni torni a correre in Formula uno. E’ vero che Schumacher rischia la vita, come si fa in altre discipline circensi, ma a parte questo il mestiere del clown richiede concentrazione, talento e la capacità di stare al passo con i tempi. Il pilota perché deve adeguarsi alle nuove tecnologie, il clown perché deve essere in sintonia con il cuore dei propri spettatori. I Rastelli per circa un quarto di secolo, diciamo dalla fine degli anni Sessanta ai primi anni Novanta, sono stati fra i clown musicali migliori del mondo e in assoluto fra i numeri circensi di maggior successo e più richiesti. Con una carriera incredibile e rara per questo tipo di performance.
Oreste e Vittorio sono pronipoti del celebre giocoliere Enrico Rastelli, ma si sono ritagliati una fama personale che non deriva dall’albero genealogico. Negli anni Trenta il nucleo famigliare presentava un’entrata musicale classica ed un buon numero di acrobazia al trampolino elastico. Quindi è da circa ottant’anni che dei Rastelli presentano un’entrata musicale, un record che ora è da augurarsi possa estendersi ulteriormente. Il grande successo li ha baciati negli anni Sessanta quando hanno codificato la loro entrata musicale, poi portata ad un livello tale da essere considerati fra i migliori del loro genere di ogni epoca.
Pedina importante di tale ascesa fu il padre Alfredo, nato nel 1923, bambino prodigio con un talento spiccato per la musica che utilizzava in maniera sublime nel proprio mestiere. Fu lui ad iniziare l’entrata musicale col padre Oreste ed un partner chiamato Chocolate (in onore del celebre clown divenuto famoso con Footit).
Da allora i Rastelli hanno fatto davvero di tutto. Le classiche pantomime natalizie con il Tom Arnold’s Mammoth Circus, spettacoli sul ghiaccio e ovviamente i circhi più importanti, come Schumann, Knie, Hagenbeck, Scott, Blackpool Tower Circus e il nostro Circo Americano di Enis Togni.
La formazione è cambiata varie volte negli anni ma la più conosciuta e duratura è stata quella con il padre Alfredo, i figli Vittorio e Oreste e la moglie di quest’ultimo, Francesca, nel ruolo di garbato clown bianco.
Sono stati i creatori di un’estetica molto peculiare formata da un grande talento musicale (indimenticabili i pezzi di Alfredo con due trombe contemporaneamente) ed una serie di gag molto brevi, surreali, senza nessuna relazione drammaturgica o di atmosfera. Una comicità, si potrebbe dire, in stile futurista.
Nel gennaio del 2000 partecipano al Festival Internazionale del Circo di Monte Carlo. Si rivede così, nella pista più importante d’Europa, l’entrata che ha fatto maggiormente divertire negli ultimi trent’anni di circo italiano. La giuria, presieduta dal Principe Ranieri, decide di tributare ad Alfredo una menzione d’onore, unico italiano al quale sia stata riconosciuta. Alfredo poi scompare nel 2005.
Li abbiamo incontrati allo stabile di Budapest e come sempre è il più loquace Oreste a parlare: “Da quando era scomparso papà avevamo deciso di ritirarci dalle scene. Ora ci siamo rimessi in gioco. I primi tempi sono stati molto duri. Prima di tutto perché Papà, anche quando era avanti con gli anni, era notevole nel dettare i tempi. Poi perché è difficile recuperare il contatto con il pubblico. Ma devo dire che dopo un periodo di rodaggio ora ci sentiamo a nostro agio.”
L’anno scorso siete stati per una breve apparizione da Scott in Svezia. “Sì, ma davvero una permanenza brevissima. Ora siamo contenti di essere stati ingaggiati qui allo stabile perché ci sono proprio le condizioni per riprendere bene. Un contratto lungo cinque mesi ma non troppo faticoso, con otto spettacoli alla settimana. Un pubblico competente ma entusiasta, che ama molto il circo. Spesso anche quando siamo in borghese e in giro per il centro la gente ci riconosce e ci saluta con affetto.”
Da quando vi eravate ritirati avete tentato delle strade alternative? “Sì, avevamo tentato di percorrere dei cammini differenti. Avevamo cercato di sensibilizzare il comune di Bergamo per rimettere in piedi il Festival dei Giocolieri, ma dopo un paio di anni di fatiche abbiamo deciso di lasciare perdere perché il comune non mostrava mai di voler investire seriamente. Un anno abbiamo creato il Circo Rastelli (in società con Vanes Rossante) ma non aveva avuto successo. Abbiamo anche pensato di realizzare delle produzioni sul ghiaccio, vista la lunga esperienza con Holiday on Ice e con altri spettacoli del genere, ma anche lì non abbiamo avuto fortuna. Evidentemente rendiamo al meglio quando facciamo quello che ci ha portato al successo da tanti anni.”
Il contratto più bello? “Di certo quello più lungo è stato con Holiday on Ice: un’avventura incredibile. In realtà abbiamo fatto due periodi diversi. Il primo negli anni ‘50 e ‘60 soprattutto in Europa. Il secondo negli anni ’80 e ’90 che ci ha portato in tutto il mondo. Ci ha permesso di portare l’arte italiana del clown in giro per tutto il mondo.”
Poi però non più molto. “A distanza di tempo devo dire che paradossalmente il lungo contratto con Holiday on Ice ci ha un po’ messo in una gabbia dorata. Abbiamo perso il contatto con la realtà circense pragmatica ed immediata e quando abbiamo finito con il ghiaccio ci siamo trovati un po’ fuori dai giri.”
Progetti per il futuro? “Siamo tornati a capire quanto è bello il nostro mestiere e non abbiamo intenzione di smettere tanto presto. Ad una certa età è come restare in forma. Se non ti tieni in costante allenamento poi è molto dura.”
Oreste è modesto: “Siamo contenti di essere tornati ad esprimerci a buoni livelli e vogliamo tornare ai nostri standard di un tempo.”
In realtà il talento pare non passare con gli anni e c’è da augurarsi che la nuova carriera dei Rastelli possa durare almeno quanto la prima.