E’ di ieri la notizia, diffusa da El Pais e ripresa anche in Italia, secondo cui la Catalogna intende proibire, dal 2014, la presenza degli animali nei circhi.
Ma davvero la Spagna della corrida immagina di cancellare chi gli animali li coccola e li presenta al pubblico con rispetto e attenzione al loro benessere, a differenza di quel che avviene nelle plazas de toros?
In realtà la Spagna sta riflettendo molto approfonditamente se cancellare o meno una tradizione antichissima e con notevoli risvolti culturali, sociali, identitari ed anche economici e turistici. Non a caso, proprio partendo dalla Catalogna, la Federazione della corrida ha portato davanti al Congresso una petizione che ha raccolto 600 mila firme a sostegno della corrida e che ha visto schierarsi personaggi politici, scrittori e Nobel: fra questi il premier Mariano Rajoy, Mario Vargas Llosa e Joaquin Sabina. E ora il Partito popolare è andato oltre proponendone il riconoscimento addirittura come patrimonio culturale immateriale dell’Unesco.
Nella Commissione cultura del Congresso spagnolo agli inizi di ottobre è stata infatti approvata la richiesta di inserire la corrida nella lista del patrimonio Unesco, grazie al voto favorevole di Partito popolare, Upn, e all’astensione di Psoe e Upyd.
Su questi temi, di grande attualità, pubblichiamo nella nuova sezione del nostro sito dedicata alle testimonianze e ai documenti dal mondo a sostegno del circo con animali, il punto di vista di Genis Matabosch, storico, regista e direttore artistico del Festival di Figueres, che è intervenuto al recente convegno che si è tenuto a Mosca in occasione del Festival Idol e di cui ci siamo occupati su Circo.it.
“Quando, a metà degli anni Novanta, si levarono le prime voci contrarie alla presenza degli animali nei circhi, tutti i circhi in Spagna pensarono che non sarebbe mai cambiato nulla, data la presenza delle corride, ove ogni anno si uccidono centinaia di animali di fronte al pubblico”, spiega Matabosch. “Invece la realtà oggi è molto cambiata perché i circhi, dietro alle pressioni degli animalisti, sono ostacolati parecchio in Spagna”.
A suo parere cosa occorre fare per salvare la cultura circense e quella dell’ammaestramento in particolare?
Occorre anzitutto considerare, e non sottovalutare, l’animalismo per ciò che è: la sua forza d’attacco, l’uso delle nuove tecnologie, e mi riferisco alle campagne massive dirette ai leader politici, oltre al metodo di mobilitazione attraverso le reti sociali, le minacce alle imprese che patrocinano i circhi con gli animali, eccetera. Non solo. L’animalismo dispone di una organizzazione sistematica, crea alleanze con le organizzazioni che permettono il conseguimento dei suoi obiettivi, specialmente i partiti politici e le compagnie di nuovo circo, è in contatto costante con i mezzi di comunicazione per conquistare l’opinione pubblica, è formato da una rete di associazioni che riscuotono le quote dai soci e ricevono gli aiuti degli sponsor. Va poi sottolineato il grosso lavoro di lobbying che svolgono verso le formazioni politiche e istituzionali affinché introducano il divieto ad usare animali nei circhi.
Perché pone l’accento anche sulle compagnie di “nuovo circo”?
Perché nel mondo del cosiddetto circo contemporaneo c’è anche chi è disposto ad allearsi con gli animalisti per ragioni di tornaconto. Visto che il circo tradizionale è uno spettacolo di grande successo, nel nouveau cirque c’è chi pensa che se si riuscissero ad eliminare gli animali dal circo, gli artisti del circo contemporaneo guadagnerebbero molti spettatori.
E poi, continuando nella sua analisi, gli animalisti hanno anche metodi d’azione ben definiti, che non lasciano nulla al caso.
Infatti è esattamente così. Fanno uso di un linguaggio studiato: i loro testi e comunicati sono pieni di parole come crudeltà, violenza, maltrattamenti, ecc.
Spesso diffondono dati inesatti, approfittando della disinformazione sul tema, ad esempio sui paesi stranieri dove sarebbero stati introdotti i divieti. E lo stesso vale per le città che avrebbero vietato i circhi con animali, il cui numero viene volutamente gonfiato.
Attaccano i settori più deboli economicamente e meno strutturati: non si azzardano ad attaccare il settore ippico o quello delle imprese di macellazione perché sono troppo forti economicamente e pertanto sono anche strutture organizzate che possono difendersi, mettere in campo avvocati e altro. Viceversa, non hanno nessun problema ad attaccare i circhi perché sanno che questi non intraprenderanno azioni legali, non dispongono di particolari risorse e spesso non hanno nemmeno il tempo per occuparsene.
Vengono messi in circolazione video alterati di maltrattamenti degli animali e altro ancora.
I circensi non hanno un po’ di responsabilità nell’avere in qualche modo favorito i successi delle organizzazioni animaliste?
Sicuramente sì, tanto che in Spagna, Paese della corrida, si è arrivati al paradosso di vietare i circhi con animali. Gli errori principali commessi dai circhi spagnoli, a mio parere sono diversi.
Mancanza di organizzazione del settore circense: non esiste un’associazione d’imprese circensi forte e attiva.
Scarsa presenza nei mass media: i circhi non hanno a disposizione persone specializzate in comunicazione che sappiano intrattenere relazioni permanenti con i giornali.
Mancanza di visibilità rispetto agli studi fatti da veterinari esperti del comportamento degli animali selvatici in cattività. L’unità dei circhi spagnoli permetterebbe di contrattaccare gli animalisti, anche partendo da informazioni oggettive, e dunque bisognerebbe chiedere relazioni scientifiche ai veterinari affinché spieghino come vive un animale nel circo.
Occorre poi migliorare costantemente le strutture permanenti e mobili. E’ ovvio che gli animalisti giochino sul fatto di generalizzare il mondo del circo, facendo di tutta l’erba un fascio. Tutti sappiamo che qualche mela marcia esiste ovunque e in ogni categoria lavorativa. Penso che si dovrebbe fare uno sforzo globale per migliorare le strutture che ospitano gli animali, in modo che abbiano ampio spazio per vivere, che siano sempre alla luce del giorno e così via.
Ritiene siano utili iniziative come quelle che ormai hanno cominciato a diffondersi anche grazie alla Giornata Mondiale del Circo, cioè di avvicinare il pubblico in una sorta di operazione trasparenza?
E’ utilissimo organizzare periodicamente delle giornate a “porte aperte” per il pubblico e la stampa in modo che possano vedere come si svolgono la vita e l’addestramento degli animali. Gli animalisti giocano a confondere l’opinione pubblica e tendono a creare sospetti sul comportamento dei domatori. Ecco perché il domatore deve essere qualcuno che è molto vicino allo spettatore e deve mostrare la sua relazione con l’animale: gli animalisti non spiegheranno mai quanto soffre un domatore se l’animale si ammala o tutto il tempo che trascorre accanto a lui, come fosse un componente della sua famiglia. Spetta al circo mostrare tutto questo.
Lei è ottimista o pessimista circa la battaglia per salvare il circo di tradizione?
Penso che si tratti di una sfida interessante e tutta da giocare, quantomeno se da parte dei circhi ci sarà una mobilitazione adeguata.
Viviamo in una società sempre più critica e umanamente ipocrita, che piange per una tigre che salta da uno sgabello ad un altro, che è ben nutrita, ben curata e che è nata in cattività, ma che non fa nulla o quasi per la mattanza delle foche, dei delfini, lo sterminio degli elefanti o la sparizione delle tigri dal loro habitat naturale.
Il politico che a Barcellona firmò il divieto di usare gli animali nel circo era il presidente dello zoo dove continuavano a realizzare spettacoli con delfini, mentre nella città continuavano a fare le corride.
Sono questi i paradossi di un mondo che stupidamente crede di evolvere e crescere mentre invece regredisce.