di Alessandro Serena
Il Circo Medrano, sin da ancor prima che prendesse questo nome, ha due cuori che pulsano uno dentro l’altro. Uno è la carovana della Signora Wally, esiste da quasi mezzo secolo (47 anni per la precisione) e ovviamente ha conosciuto numerose ristrutturazioni. Qui prendono corpo le decisioni più importanti di questa impresa circense, ma è meglio dire di questa grande famiglia. Sia le scelte storiche che possono cambiare il destino di un’azienda, sia quelle legate alla quotidianità, non meno rilevanti. L’altro cuore è questa stessa Signora del Circo, all’apparenza esile ma forte nella determinazione quanto dolce nell’affetto che riversa sulle persone care.
Questa carovana è il centro nevralgico del circo.
Questa carovana è il mio mondo. All’inizio, quando c’era Leonida (ma è come se fosse ancora con noi) qui ci dormivamo in otto. Ora è diventata una specie di servizio 24 ore sempre aperto per tutti. Molti dei nostri vengono qui a colazione, pranzo, cena e per l’ultimo spuntino dopo lo spettacolo. Per quanto mi riguarda mi basta avere le cose essenziali: luce e acqua. In modo che la carovana possa cominciare a vivere e ospitare tutti i miei cari.
Cosa ricorda della sua infanzia?
Ricordo il numero di mio padre Ugo Togni e mia madre Anna De Bianchi, uno splendido passo a due equestre in stile romano. Ricordo le mie esperienze in pista, dove mandavo un numero di cavallini e scimmiette e mi esibivo alle pertiche. Oltre che nel jockey, tradizione famigliare, e, come tutti, nelle varie coreografie dello spettacolo. Ricordo che i miei fratelli Angly, Cesare, Missi, Oscar e Lidia mi riempivano di attenzioni per via delle mie delicate condizioni di salute. Sono ricordi dolci, ho ricevuto molto amore. In seguito ho cercato di restituirlo a Leonida, ai nostri figli e a tutte le persone care.
Lei è l’anello di congiunzione tra Togni e Casartelli. Come si sono unite queste due grandi famiglie?
Durante la Seconda Guerra mondiale i circensi italiani più o meno si conoscevano tutti. In particolare i miei famigliari con il Circo Nazionale Togni avevano ricevuto l’incarico dall’Opera Nazionale Dopolavoro e dal Comando Generale Gioventù Italiana del Littorio di dare spettacoli propagandistici gratuiti a Roma (poi anche in altre città). Per questo motivo e dovendo rimanere fissi nella capitale alternando gli spettacoli, in quel periodo giravamo molti artisti. In questo modo, per altro, molti circensi riuscirono ad evitare di partire per la guerra. In ogni caso, fra tutti mi colpì Leonida e nacque subito una forte simpatia. Dopo un paio di anni, nel 1943, ne avevo 22, prendemmo la grande decisione e ci sposammo. Anche in quel caso c’entrò in qualche modo la chiamata alla leva. Leonida al tempo aveva perduto il padre e doveva pensare da solo a quattro donne, la mamma, la leggendaria Rosina e le sorelle Jonne, Liliana e Lucina. Con me divennero cinque e così riuscì anche in quel caso a non partire soldato. Devo essere sincera, l’arrivo da mio marito fu traumatico. Il Nazionale Togni era un complesso di una certa grandezza e solidità. Loro invece avevano un circoletto sdrucito e neppure le carovane, si dormiva in qualche modo sotto le gradinate. Ma per amore non si pensava certo a questi problemi, infatti arrivò subito la prima dei nostri sei figli, la Ghisi.
In ogni caso, i rapporti fra le famiglie Togni e Casartelli non si interruppero certo lì. Per molto tempo andammo spesso a lavorare qualche mese all’anno da Cesare con la nostra troupe di ciclisti acrobatici.
Quali sono stati i passi importanti come azienda?
Nei primi anni ’50 mio marito era apprezzato come domatore e cominciava ad essere conosciuto anche all’estero. Nel 1958 prendemmo coraggio e realizzammo un tour di tre anni in Spagna. Ricordo che avevamo una grande compagnia con artisti come Larible, Nicolodi, Niemen, Macaggi, Sforzi. Leonida al termine del primo anno fece costruire un circo intero nuovo con la supervisione di Peppino Anselmi (per molti anni una colonna per il nostro circo). Dal punto di vista degli incassi andò molto bene all’inizio e meno alla fine, però fu il momento in cui acquisimmo consapevolezza delle nostre potenzialità. E di quelle di Leonida come imprenditore. Da quel momento in avanti lui si concentrò molto sugli affari più che sul lavoro in pista. E divenne forse una figura unica da questo punto di vista. Riusciva a gestire più complessi nello stesso tempo. Un anno arrivò ad avere operativi sette circhi sparsi in tutta Europa. In alcuni casi si trattava solo di noleggio di strutture (chapiteau, gradinate) per spettacoli anche non circensi. Ma nella maggior parte dei casi componeva degli spettacoli (spesso di ottimo livello e con molti artisti italiani) che poi giravano per alcuni anni in varie nazioni.
Quindi Leonida era spesso in giro?
Sì. Viaggiava e lavorava davvero molto. Tutto per la famiglia. All’inizio mi diceva: Wally, prepara la valigia che andiamo qualche giorno in Spagna. Ma ben presto smisi di seguirlo perché mi resi conto che non potevo lasciare i nostri figli da soli. E allora girava da solo. Avvertivo molto la sua mancanza. Quando sapevo che quel giorno doveva rientrare, appena sentivo i suoi passi sulla veranda cominciavo ad urlare festosamente e accorrevano tutti i figli.
Non che fossi contenta della sua assenza. Una volta litigammo duramente. Lui propose di mettere in una scatola di cartone tutti i tagliandi dei voli che faceva per farmi capire quanto viaggiasse per lavoro. In un anno accumulò 320 carte di imbarco. Era sempre in aereo. Oggi, in assenza di Leonida riverso dolcezza e amore sui miei figli e sui miei nipoti. Soprattutto sui più piccoli. Ma con i grandi, se mi fanno arrabbiare, ogni tanto faccio volare una ciabatta.
Poi purtroppo venne il momento dell’ultimo viaggio. Io e tutti i miei cari lo ricordiamo come fosse oggi. I giorni più tristi della nostra vita. Leonida era partito per andare a montare un circo a Jesolo. Il giorno dopo sarebbe dovuto partire per il Portogallo. Noi eravamo a Perugia. L’incidente avvenne all’altezza di Quarto D’Altino, l’auto che guidava finì contro un palo e nel giardino di una signora che lo accudì per gli ultimi secondi. La polizia chiamò Bussolengo e loro chiamarono il circo. Per caso lì vicino c’era il circo Rinaldo Orfei con il caro Peppino Anselmi (che aveva lavorato a lungo per noi) e anche lui si mise subito in comunicazione con i miei figli.
In principio a me non fu detta la verità, ma solo che dovevamo andare a Bussolengo perché Leonida aveva avuto un incidente. Lì trovammo mia cognata Liliana e suo marito Wioris Togni. A lui chiesi la verità. Mi abbracciò forte e mi disse: tuo marito non c’è più. Io ebbi un mancamento e da allora ho dei disturbi al cuore. Devo dire che in quel momento sono stati più i miei figli a sostenere me di quanto io non sia riuscita a sostenere loro. Pensate che dopo il funerale da 35 anni non sono mai più stata al cimitero a salutare Leonida. Mi si spaccherebbe il cuore.
È stato il momento più duro della mia vita e di conseguenza della nostra impresa. Stavamo pensando di chiudere. Ma la famiglia di Enis Togni ci spinse a continuare e ci diede il giro della ex Jugoslavia. Così la testa andava al lavoro. Ci fossimo fermati anche solo un po’ forse non saremmo più ripartiti. Ma per tre anni non siamo mai quasi neppure usciti dai cancelli. Anche Egidio Palmiri in quel momento ci diede molto conforto e aiuto anche nelle strategie aziendali.
Lei ha sempre inciso molto sulle decisioni di Leonida prima e dei suoi figli oggi.
Io mi sono sempre solo permessa, con molto riguardo ma anche con molta determinazione, di segnalare quelli che vedo come difetti nello spettacolo, negli allestimenti e così via. Devo dire che forse per affetto, forse per stima, mi accontentano, mi seguono, e alla fine mi danno ragione.
Anche per quanto riguarda la composizione dei nuovi numeri. A questo proposito devo confessare di essere stata sempre in ansia per i miei figli. Quando cominciammo ad avere un considerevole parco zoo ero preoccupata. Ad un certo punto Davio disse che sarebbe stato il caso di comprare un gruppo di tigri che avrebbe potuto presentare il più grande, Eros. Io gli dissi che non andava bene, avevo troppa paura. Allora mi venne proposto Elio. Ma io dissi che anche così non sarei stata tranquilla. Allora Davio si propose lui stesso. Ma anche quella soluzione non mi piaceva. Allora – disse Davio – lo facciamo fare a Bertino? Intendeva Alberto Sforzi, grande giocoliere e marito di Ghisi. Risposi che Bertino andava bene. Lo dicevo sorridendo, ma davvero ho sempre temuto per i miei cari, anche per Bertino. E infatti alla fine nessuno si mise a lavorare in gabbia. Quando Davio fece quel bellissimo numero con tigre ed elefante, lo venni a sapere dopo parecchio tempo. E la sera quando Davio venne a salutarmi in carovana gli tirai contro una ciabatta.
Fra tutti i numeri che abbiamo realizzato il mio preferito è tuttora quello di 12 frisoni neri mandati da Eros con un frak bianco. I cavalli erano stati acquistati da Leonida, il numero era cresciuto da noi e piaceva molto alla gente. Ma ancora oggi seguo con attenzione i fatti dello spettacolo. Ogni giorno Davio viene a prendermi e mi porta a vedere il pomeridiano. Se ritarda di pochi minuti lo rimprovero, se tarda molto parte la ciabatta.
Siete fra le poche famiglie al mondo ad aver vinto due volte il massimo riconoscimento per un circense: il Clown d’Oro al Festival di Monte Carlo.
Quante emozioni si rincorrono se penso al Festival. In effetti i primi due o tre anni, nonostante avessimo ricevuto l’invito dagli organizzatori, alla fine Leonida aveva avuto qualche imprevisto di lavoro che aveva reso impossibile il viaggio. Io c’ero rimasta un po’ male. Si sentiva già parlare molto della manifestazione e ci tenevo. Nel 1978 avevamo organizzato tutto e lui fu portato via da quel terribile incidente. Qualche tempo dopo, nel 1981, con i miei figli decidemmo proprio in sua memoria. Mi è piaciuto molto e da quella volta in avanti abbiamo sempre preso il palco. I primi anni ero io a offrirlo ai miei famigliari, come avrebbe fatto mio marito. Poi abbiamo anche voluto prendere parte al Festival nel 1987, l’anno in cui Massimiliano Nones ha vinto un meritatissimo Clown d’Oro sia per la performance in pista che per il modo in cui erano tenuti gli animali. Eravamo molto felici per lui e io personalmente gli ho fatto i miei complimenti sinceri. Però allo stesso tempo eravamo rimasti male perché ci sembrava che i nostri numeri fossero buoni. Probabilmente qualche componente della giuria non la pensava allo stesso modo, eppure quella volta c’era anche Nando Orfei fra i giudicanti, che forse avrebbe potuto difendere di più i colori italiani. Anche perche avevamo presentato un grande numero di elefanti in stile romano per il quale molti operatori, fra i quali Freddy Knie senior, ci fecero grandi complimenti. Nel 1996 decidemmo poi di tornare e ponemmo tutto l’impegno possibile nella cura dei numeri. Conquistammo il Clown d’Oro con “La festa del cavallo”. Quella vittoria cancellò qualsiasi amarezza. Nel 2007 ci chiesero di tornare. Avevamo il circo diviso in più parti e sparso per l’Europa, ma decidemmo di riprovarci. Arrivò un altro Clown d’Oro, anche grazie all’exploit di Braian e Ingrid che decisero di presentare l’esercizio finale del passo a due senza longia. Subito dopo lo spettacolo dissi loro: “Siete due narvali. Però siete anche bravi”. Anche in quell’occasione ricevetti molti complimenti. Ci siamo tornati in pratica ogni dieci anni. Adesso mi toccherà aspettarne altri quattro per provare le stesse grandi emozioni. Comunque in tutti e due i casi le vittorie sono state dedicate a Leonida. È lui, non mi stancherò mai di dirlo, che ha costruito tutto questo.
Molti dei vostri ragazzi hanno frequentato l’Accademia del Circo fondata da Egidio Palmiri.
Anche l’esercizio che ha reso unico il passo a due di Braian e Ingrid a Monte Carlo, quello della punta sulla testa è nato all’Accademia. Infatti i due figli di Eros avevano provato con Lucio Nicolodi un numero di mano a mano che comprendeva questo esercizio presentato però sulla scala, che poi è stato adattato per il gran finale del numero equestre.
In realtà io non ero contenta che tutti i nostri piccoli andassero all’Accademia. Per un fatto molto semplice: per me era uno strazio vederli partire tutti con il furgoncino e sapere che sarebbero stati per un periodo lontani da me. Loro poi lo sapevano e facevano quasi apposta ad insistere con me, mi ricordo Steve come mi si attaccava alla gonna per chiedermi di non andare. Poi però a distanza di tempo ho capito che è stato davvero importante per loro. I risultati ottenuti sono stati straordinari, i premi vinti a Monte Carlo sono arrivati anche per quello. E non solo per i nostri ma per tanti altri allievi.
Come vede il circo del futuro?
Bisogna sempre guardare avanti e io lo dico ogni giorno ai miei figli. Eppure, lasciatemelo dire, io ricordo con nostalgia il piccolo Circo Aurora, quando c’era meno frenesia, più allegria, più tempo per stare insieme in armonia. E soprattutto c’era mio marito. Darei ogni cosa per tornare a quei momenti. E mi conforta vivere in questo mio mondo, questa carovana dove ancora risuona la voce e la presenza di Leonida.
L’intervista è stata pubblicata sulla rivista Circo, novembre 2013
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