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Un manuale per portare la Gioia in strada

“Trent’anni di percorso teatrale son volati. Ciò che so e che ricordo è il quadro di un unico grande spettacolo, dove ho visto la gente ridere e ridere tanto, mentre io sudando, godevo e soffrivo, per creare gioia”. E’ l’incipit di Teatro di liberazione. Quasi un manuale sulle arti di strada (edizioni La Meridiana, 2011), l’ultimo libro di Renato Curci, “laureato in lettere moderne, cattolico, professionista iscritto come attore all’albo dal 1981, autore (iscritto Siae), comico e regista”, così si legge nel suo curriculum decisamente puntiglioso e improntato alla trasparenza. E di esperienze ne ha fatte Renato Curci, nel cinema (Io non ho la testa, prodotto da Ermanno Olmi), nel cortometraggio, nel teatro soprattutto. E’ però nel 2003 che arriva la chiamata. E’ quella di Hugo Suàrez, ed esercita un tale fascino su Renato da farlo decidere a trasferirsi in Perù. Inizia un lavoro artistico in luoghi e con persone che si direbbero a tutto disposte tranne che al teatro: a Huancavelica, 4 mila metri sulla cordigliera delle Ande, dà vita ad un progetto di sviluppo e promozione sociale attraverso la scena coinvolgendo le donne povere e vittime di violenza familiare. L’anno dopo a Lima, insieme a Ana Santa e Hugo Suàrez, fonda la compagnia La santa Rodilla, con la quale produce Manologias, uno spettacolo non verbale che fonde il mimo con il teatro di figura e la comicità del teatro d’arte italiano. Ma sono solo alcuni dei tanti lavori di questo vulcano di idee e creatività che lavora senza sosta in varie parti del mondo.

Renato Curci

Torniamo al libro, un vero e proprio manuale di teatro visuale e sulle arti di strada, scritto con questa filosofia: “la strada come banco di prova della teatralità”. Della serie: se può funzionare in strada, senza attrezzature, catturando, mantenendo e soddisfando l’attenzione del passante, allora può funzionare ovunque. E’ un “teatro” essenziale che “parla col linguaggio della parola, del mimo e della figura”. E soprattutto un teatro come strumento di liberazione. Sembra un linguaggio d’altri tempi o confinato a quei Paesi che della lotta di liberazione hanno fatto una bandiera? Meglio non farsi ingannare dalle apparenze. L’arte di strada, e in particolare il lavoro dei comici – spiega Renato Curci – “è imparentato a quello dei medici. Curano anime, anime che molto spesso sono scisse, zoppicanti”. L’arte di strada deve “trasmettere Gioia” (lo scrive proprio così, con la maiuscola). “Per questo ci battono le mani, e non perché siamo degli dei: noi restituiamo Gioia e voglia di vivere alla gente”. Si legge con piacere questo manuale, forse perché tocca corde legate in profondità dentro tutti, non solo negli artisti di strada.
Non è troppo “confessionale” questo approccio all’arte di strada? Lo abbiamo chiesto a Renato, ed ecco la sua risposta: “E’ chiaro che il mio essere cattolico va più in là del fatto che faccio teatro, così come per Brecht l’ideologia e la costruzione di una società fraterna e comunista era più importante del teatro ed è stata alla base anche del suo teatro e della sua struttura di interpretazione dell’attore, eccetera. Ma non era mia intenzione associare la scena a Cristo (che è il mio Maestro). Anche l’assonanza fra il titolo Teatro di Liberazione e la teologia della liberazione è puramente casuale. Il mio lavoro completa il lavoro di Boal e di altri autori, che rappresentano il passo in avanti dopo Brecht sulla scena mondiale (scusami la presunzione). Il testo svela ATTRAVERSO LA STORIA un modello perfetto (ma perfettibile) di spettacolo di strada per un gruppo o per un singolo attore, verbale e non verbale (qualsiasi tecnica si utilizzi). Poi svela anche un metodo di drammaturgia di teatro di figura: la costruzione di piccoli numeri o storie di “titeres corporales”, in italiano burattini corporali. Si tratta di una tecnica inventata da Hugo Suarez e sua moglie Ines Pasic che crea storie e personaggi fatti da un oggetto e una parte del corpo di un animatore-mimo-burattinaio … Quindi è un manuale di teatro di strada e di drammaturgia. E’ un teatro di liberazione perché insegno qualcosa che ci dà concretamente la possibilità di costruire uno spettacolo da soli o in compagnia, che possa essere rappresentato ovunque e che ci procuri un guadagno. Infatti non basta padroneggiare una tecnica o linguaggio scenico perfettamente (mimo, titeres, giocoleria, eccetera): abbiamo bisogno di conoscere i segreti di una struttura di spettacolo e altro in cui convogliare le nostre abilità tecniche PER ANDARE DIRETTAMENTE verso il pubblico, senza le mediazioni umane e umilianti che conosciamo, che ci obbligano a passare sotto il giogo di qualcuno che la sa più di noi, o che possieda un teatro. Per questo parlo di Teatro di Liberazione. Come si dice in un testo sacro indiano (non ricordo dove): “E’ meglio fare il proprio dovere, anche se imperfettamente, che fare anche bene il dovere di un altro”. Buon Teatro e buona Strada a tutti”. Ora è più chiaro chi è Renato Curci e cos’è il teatro di liberazione?

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