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Due immagini di una artista sui trampoli alla Giornata mondiale del circo organizzatga dall'Accademia a Forte Gisella (foto Circo.it)
L’espressione “ragionare coi piedi” usata in senso spregiativo è fortemente ingiuriosa per i piedi. Con i piedi si ragiona, eccome, e da quel frequentatore di circo che io sono da epoche remote ho avuro mille occasioni per trovarne conferma. Ma adesso mi aiuta a qualche nuova riflessione su questo tema il reperimento, sul bancone di una libreria, di una edizione di non grande formato datata 1997. L’autore, Tommaso Correale di Santacroce, gli ha dato un titolo ben più sintetico del suo cognome ma che in sé dice tutto: “Trampoli”.
Proprio così, trampoli, e basta la parola per dire come l’uomo sia bravo a facilitarsi la vita anche a costo, talvolta, di complicarsela.
Chi sia stato il primo che abbia avuto l’idea di fabbricarsi una statura ben diversa da quella fornita da madre natura con strumenti di legno nessuno lo saprà mai. Certo è che, se uno avesse potuto in tempi lontani brevettare la sua invenzione, sarebbe diventato rapidamente l’uomo più ricco del mondo. “Nel diciassattesimo secolo”, si legge, “il combattimento generale divenne un appuntamento annuale con una particolare data fissa: il martedi grasso di Namur divenne famoso in tutti i Paesi Bassi e nella prima metà del secolo i partecipanti ai combattimenti raggiungevano il numero di 2000 trampolisti”. Quanto agli esiti, in senso fisico, dei partecipanti, i dati sono discordanti: c’è chi, fra i testimoni dell’epoca, afferma che gli incidenti erano rari grazie all’abilità dei partecipanti e c’è chi, invece, denuncia che coloro i quali avevano la sfortuna di finire a terra facevano spesso una brutta fine sotto i piedi di legno di chi manteneva l’equilibrio. Non è difficile pensare che i pessimisti fossero più vicini al vero degli ottimisti.
Ben altra la sorte di chi, invece, bazzica ancora l’arte di conquistare statura munendosi di quelle gambe di legno. Per chi li incontra oggi è una festa, perchè quello è l’unico messaggio di cui sono portatori i “trampolieri” moderni. Li incontriamo, immancabilmente, quando le città e i paesi esplodono in bene organizzate feste di piazza, ma ancora li incontriamo, talvolta, anche quando assistiamo a spettacoli di circo. Dovrei frugare a lungo fra le mie carte per reperire i nomi, ma certo la mia memoria – ancorchè un po’ confusa per il troppo lavoro a cui l’ho sottposta negli anni – se spremuta a dovere con l’aiuto di documentazione, parlerebbe non soltanto di clown che si presentano sulla pista con le gambe molto allungate per allungare, con questo espediente, la soglia del divertimento, ma di acrobati che dopo essersi esibiti in prove ginniche aggiungono a queste quel tocco in più che non guasta.
E a proposito di quel tocco in più. Il libro, nella prefazione di Giuliano Scabia, insinua qualche sospetto di favolismo che per il vostro scrivente, favolista di lungo corso, è invito a nozze. Il sospetto che la favolistica degli stivali delle sette leghe trovi origine in quella fonte, nell’uso cioè da parte di uomini dei tempi lontani di appendici lignee applicate alle loro gambe per acquisire spazi che sono al tempo stesso conquista del territorio e conquista della mente. La favolistica ha fatto tesoro di questa conquista in numerose occasioni.
Ma il circo a sua volta, durante un lungo lungo cammino, ha incorporato questa preziosa commistione che le consente una identità sua propria, l’imperio della corporalità e la levità della favola raggiunte in un unico spettacolo. In breve sintesi è così che si potrebbero accumulare migliaia di pagine. I trampoli su cui si issano ardimentosi di oggi, in strada e in circo, non sono attrezzi come tanti altri. Sono strumenti di quella musica originaria, di quell’impasto di grevità e stupore, grazie alla quale noi oggi possiamo assistere a un rito continuamente ripetuto e continuamente rinnovato che solo sotto lo chapiteau trova la sua ostinata celebrazione.
Ruggero Leonardi