Dobbiamo riprendere il viaggio. Vorremmo fermarci, commiserarci, forse disperarci, ma dobbiamo riprendere il viaggio. Per amore e rispetto di tutte quelle persone che hanno dedicato la propria esistenza di lavoro al servizio del circo e dello spettacolo viaggiante, per amore del nostro lavoro, per riproporci quale componente morale, sociale, culturale, artistica di una società in evoluzione (o involuzione?) ed in cerca di un approdo di tranquillità nel bel mezzo di un maremoto a forza nove, dobbiamo riprendere il viaggio.
L’agosto che ci sta lasciando non lo potremo e non lo dovremo mai dimenticare, per tutte le ragioni del mondo, ma una su tutte: perché non debba essere più neanche marginalmente rivissuto.
Lasciamo sul campo due vite, vittime dell’assurdità dei tempi.
La prima, Werner “Dudi”, martire della potenza distruttiva, accecante, dell’odio, della complessiva e colpevole incapacità di tutti noi di prevenire, di uno sviluppo tecnologico, che come in tempi assolutamente non sospetti aveva preconizzato Pier Paolo Pasolini, non concreta progresso bensì sviluppo generante astio, rancore, morte. Forse anche per questa ed altre sue capacità di leggere spietatamente il futuro, Pasolini è stato fatto tacere per sempre in una notte di inzio novembre del 1975. Ciò nonostante ci ha insegnato abbastanza, anche se sono risolutamente convinto che avrebbe potuto orientare negli anni successivi verso autentici valori una società, ed in particolare una gioventù, non in declino ma sull’orlo del precipizio.
Werner ci lascia due gemme, le sue bambine, con la signora Pinheiro e la sua famiglia esempio di dignità e di compostezza nel dolore. E la sua immagine di ragazzo buono, semplice, amante della vita e di valori senza tempo.
Alessandro era partito poco più che bambino, carico di speranza, alla ricerca di una terra e forse di un mondo migliore e più giusto. Una ferocia inaudita, insignificante ai nostri occhi la matrice ideologica e religiosa, ovvero legata a vicende professionali del carnefice, ce lo restituisce chiuso in una bara, indisponibile persino a ricevere un’ultima carezza. Sembra in certo senso di rivivere il tristissimo itinerario alla ricerca di un minimo di benessere che lega da secoli nostri connazionali, dai dispersi nel corso delle traversate transoceaniche agli sventurati minatori di Marcinelle. Genitori rapiti del frutto rigoglioso del loro seme, fiori tranciati nel loro pieno sbocciare.
E in tutto questo devastanti moti di una terra improvvisamente ostile che strappa alla nostra famiglia la giovanissima vita di un angelo rosa, figlia di un nostro serio, competente ed affezionato alla nostra gente, interlocutore ministeriale. E ciò anche ed incredibilmente in un delirio di follia che induce qualcuno, sporadico in verità, a sentenziare da ottiche vegane o fondamentaliste in termini di karma e di castigo di Allah. E per completare, ma di fronte a tutto ciò è necessariamente poca cosa, tende che bruciano, infortuni che si verificano, popoli d’Europa ben oltre i confini dei circhi che con la miseria coesistono ormai da troppo e senza luce all’orizzonte.
Potremmo a questo punto affermare: “Allora sbaracchiamo!”. No, no, fortissimamente no! Recuperiamo da subito e con immenso impegno le risorse morali che prezzo non hanno ma valore sì: la consapevolezza dell’essere comunità, della condivisione della scelta di vita artistica ed itinerante, la bellezza di essere diversi nella razza e nel colore della pelle, nella lingua, nella religione, ma uni nella volontà, nel desiderio, nella soddisfazione di regalare quotidianamente un sorriso al popolo dei nostri spettatori paganti che ci ha amato, che ci ama e che ci amerà sempre.
Amici, ragazzi e meno, forse siamo tornati, non certo noi soli, ai tempi della pentola comune che riservi un boccone per ciascuno. I derivati della tecnologia, del benessere senza freni, dello sviluppo senza progresso, possono, debbono attendere – forse per lungo tempo – nuove stagioni di prosperità. E non è detto che sia un male.
Antonio Buccioni