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Si è spento il sole. E’ scomparso Oleg Kostantinovitch Popov

Oleg Popov sulla pista di Master (fotografia di Kristian Kristof)

Oleg Popov sulla pista di Master (fotografia di Kristian Kristof)

E’ di ieri sera la notizia della dipartita del grande clown russo Oleg Popov.
Nato il 31 luglio 1930, è stato con ogni probabilità l’artista russo che ha avuto maggior fortuna critica all’estero, dove la critica lo ha considerato a lungo il migliore clown del dopo guerra e dove ha avuto un impatto di portata difficilmente calcolabile.
Fra i pochi ad avere avuto nell’ex Unione Sovietica una carriera fulminea: nel 1950, lo stesso anno in cui si diploma alla Scuola del Circo di Mosca, viene insignito dell’importante titolo di Artista del Popolo dell’URSS. Dapprincipio è allievo di Karandash, poi si afferma come solista creando il personaggio di un ragazzo allegro, attento all’umorismo moderno ma con precisi riferimenti ai protagonisti delle favole popolari russe, come Ivan lo sciocco. Viene definito un clown “solare” fino ad essere chiamato il “Sole di Mosca”.
Come ha scritto Massimo Locuratolo su Circo, nella sua carrellata sulle anime del clown, “il modello remoto su cui Popov aveva realizzato il personaggio che sarebbe poi divenuto un marchio di fabbrica era stato Chaplin, come per Zavatta e Rivel, d’altronde, e per molti altri grandi clown moderni”.
clown-oleg-popovDi certo contribuisce ad affermare la figura del “clown poetico” che alterna una comicità esilarante a momenti di struggente malinconia. La sua maschera ha un trucco leggero ed il classico naso rosso. Il costume, in contrasto con l’allegria che scaturisce dai suoi numeri, è basato su toni bicromatici: giacca nera di velluto, camicia bianca con un fiocco al posto della cravatta, berretto a quadretti bianchi e neri, pantaloni stretti a righe, scarpe a punta. Unica nota di colore vistoso sono i calzini. Popov è in possesso di solide tecniche circensi di base, soprattutto di acrobatica, giocoleria e funambolismo, che introduce nei propri inediti numeri comici ai quali riesce a donare buona organicità anche perché aiutato da veri e propri drammaturghi nella concezione delle nuove creazioni. Queste sono soprattutto veloci intermezzi da porre fra un numero e l’altro dello spettacolo, a volte a tema, al quale partecipa. In seguito diviene regista ed allestisce in patria pantomime circensi, come La storia del Pope e del suo servitore Balda ispirata ad una favola di Puskin.
“Popov si è esibito in occidente solo dal 1955, iniziando con Varsavia per poi passare in Francia, in Belgio e Gran Bretagna. Nel 1957 è stato ospite, ripreso con le telecamere da Mosca, della televisione statunitense, e in America ha successivamente compiuto due tour, col Circo di Mosca, nel 1963 e nel 1972”, scrive Locuratolo.
oleg-popov-archivio-cedacNumerosissime le tournée all’estero. Nel 1981 gli viene conferito il Clown d’Oro al Festival di Monte Carlo. Agli inizi degli anni ‘90 si trasferisce in Germania dove gestisce un proprio complesso itinerante ospitante per lo più suoi connazionali. Molte le opere di divulgazione scritte, fra le quali un’autobiografia. La Principessa Stephanie, coadiuvata da Urs Pilz, lo aveva voluto invitare alle edizioni celebrative del Festival di Monte Carlo per i 30 e per i 40 anni della grande kermesse, dove l’artista era stato accolto come il veterano dei grandi clown. Sempre pronto a confrontarsi in maniera generosa con le nuove generazioni e a riconoscere ed incoraggiare i talenti promettenti, era molto amato fra colleghi ed appassionati del genere.
Nel 2016 aveva ricevuto il premio Master come “Leggenda del circo russo” a Sochi, rientrando nella propria nazione per la prima volta dopo lustri, accolto come un eroe della patria sia dagli spettatori entusiasti che dalle istituzioni.

“Le mie trovate migliori sono ispirate dai bambini”

Quelli che seguono sono alcuni brani tratti dalla autobiografia (nella traduzione francese) di Popov Ma vie de clown.

clown-popovRivedo i miei vecchi numeri e mi impegno per aumentare il loro carattere espressivo, aggiungendovi nuovi dettagli, nuovi meccanismi, laddove credo che la pantomima sia più importante. Mi apparve, allora, che dovevo conservare gli effetti più riusciti, senza ripeterli continuamente tali e quali in pista. Un buon effetto è come un essere umano: nasce, matura e muore di morte naturale. Il dovere dell’attore circense è quello di comprendere appieno le possibilità che il suo numero offre, e permettergli poi di evolvere aggiungendovi effetti nuovi più interessanti, più sottili, più forti. Si deve imparare a recitare un numero nella misura in cui esprime la personalità dell’interprete, in quanto è lui che gli dona sia la voce, che la vita stessa.
Prendiamo ad esempio il numero di pantomima intitolato “Il fischietto”. Iniziava con un effetto vecchissimo: Monsieur Loyal mi impediva di suonare gli strumenti. Me li confiscava uno dopo l’altro, fino a che non me ne restava uno solo, quel semplice fischietto. Io lo ingoiavo improvvisamente, per paura. A quel punto in pista non restava che un uomo che non poteva parlare, ma solamente fischiare. Tutto ciò che cercavo di dire si trasformava in fischi, i quali della parola non mantenevano che un’intonazione. Ma l’intonazione diceva tutto.
Fischiavo, ad esempio, che non era colpa mia. Soffrivo per un’ingiustizia di cui ero la vittima. Mi indignavo, poi ridevo e piangevo di dolore, perché qualcuno aveva camminato sui miei piedi. Una volta trovato un linguaggio convincente, quello di un cane, lasciavo la pista latrando e lamentandomi. Mi sembrava che questa scena, se l’avessi proseguita, poteva umanizzare qualsiasi essere non dotato della parola, arrivando sino al punto di creare un personaggio vivo, e non più muto.

popov-moscaA prima vista, si potrebbe credere che le maschere buffonesche dei clown contribuiscano in maniera efficace alla rappresentazione delle qualità umane: qualità che, invece, essi sminuiscono. Si potrebbe credere che, nel migliore dei casi, i clown facciano ridere in quanto sono ridicoli e basta, e si trovano lì per distendere l’atmosfera subito dopo il numero principale del programma. Questa è la prima impressione, ed è stato così sin dalle origini del circo. Ma va detto che a quei tempi la comicità al circo non era un’arte, nel senso che oggi attribuiamo a questo termine. Non è che, con lo sviluppo dei generi del circo, la presenza del clown abbia smesso di essere un mezzo per riempire le pause tra i numeri, e diventare un genere artistico definito, indipendente, che ha creato un personaggio valido come quelli degli altri numeri in programma. Ma, eccetto questa rassomiglianza tra l’arte del clown e gli altri generi del circo, si trova pure una differenza essenziale. Generati dal circo, i clown sono immediatamente ricorsi a una delle loro qualità principali: l’eccentricità. E mentre i rappresentanti dei generi fisici utilizzavano l’eccentricità per creare un personaggio positivo, eroico, i clown se ne servivano per produrre un personaggio comico.
Questa qualità, che caratterizza il circo nella sua entità, è divenuta per i clown un’arma brillante e ben affilata. Non parlo solamente di un’arma per far ridere. I clown che se ne sono armati sono diventati attori drammatici, e hanno introdotto in pista un vero e proprio conflitto scenico. Questa possibilità di creare un conflitto, abbastanza breve va detto in quanto composto appena da una decina di repliche, fa dello spettacolo circense, che è puramente visivo, uno spettacolo drammatico.

Popov col Circo di Stato russo a Londra nel 1969

Popov col Circo di Stato russo a Londra nel 1969

Nell’analizzare il mio stile, alcuni giornalisti, giudicando il carattere del mio personaggio “infantile”, hanno cercato di focalizzare i miei legami coi bambini. Questi legami esistono, in effetti. All’inizio della nostra tournée europea ho dichiarato in un’intervista che studio i bambini, e che le mie trovate migliori nascono dal mio contatto con loro. “Tutti i miei nuovi effetti” dicevo “sono presentati per la prima volta nel corso dello spettacolo pomeridiano. E se piacciono ai bambini, posso stare sicuro che gli adulti li ameranno allo stesso modo”.

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