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Royal Brothers: il successo costruito mano a mano


Nonostante fosse la loro prima volta a Monte Carlo, i fratelli Davis e Ronny Dell’Acqua, in arte “Royal Brothers”, si sono guadagnati il Clown di Bronzo, classificandosi con il numero di equilibrismo “mano a mano” sul terzo gradino del podio monegasco.
Una vittoria più che meritata, e che anzi non avrebbe sfigurato in un posto più alto della classifica. A Circo.it i due fratelli siciliani si raccontano (attraverso le parole di Davis) in questa intervista raccolta sotto allo Chapiteau di Fontvielle. Come hanno preparato, costruito e perfezionato la loro esibizione per un anno intero. Ma anche i loro maestri, le speranze che li animano e cosa li attende dopo l’exploit di Monte Carlo.
“Lo scorso marzo abbiamo cominciato ad allenarci, ad impostare un’idea di numero, a rifinire quello che non era mai perfetto”, così Davis spiega gli inizi loro training. Undici mesi di impegno, di concentrazione e di costanza. E il risultato è stato ottimo.
Provenite da una famiglia di circensi, com’è iniziato il vostro percorso di artisti?
“In maniera separata, non insieme, almeno all’inizio. Nel 1988 ha aperto l’Accademia di Verona ed io sono stato uno dei primi allievi ad arrivare lì, partendo da molto lontano, dalla Sicilia. Ho seguito una specie di chiamata ed è stato un percorso difficile da affrontare anche perché l’Accademia era ancora agli inizi. Poi nel 1992 è arrivato anche mio fratello”.
E avete fatto subito squadra?
“Inizialmente lavoravamo separati, perché io, che ero già in Accademia da quattro anni, stavo sviluppando un numero di verticali, mentre mio fratello era alle basi, sia di acrobatica che di preparazione fisica. Poi, quasi per gioco, abbiamo provato ad inserire Ronny e da lì è iniziata la nostra collaborazione. Nell’inverno dello stesso anno, dopo che io avevo terminato l’Accademia e mio fratello aveva deciso di seguirmi, presso il nostro circo, il Royal Circus, abbiamo dato vita ad una sfida con noi stessi”.
E come è andata questa sfida?
“Lavorare in coppia non è sempre stato facile, perché a volte si vuole avere ragione sull’altro, soprattutto quando non si ha un maestro che ti dice dove e chi sbaglia. Essere fratelli da una parte è stato positivo perché ha creato più sintonia tra noi, ma allo stesso tempo ha fatto sì che gli errori nati in pista venissero poi trascinati anche nella vita. Ma con il tempo, la maturità e l’intelligenza, siamo riusciti a superare questo scoglio. Da soli, con tanta fatica ed impegno, abbiamo iniziato ad ottenere i primi risultati, le prime soddisfazioni, tant’è che abbiamo deciso di tornare un altro anno a Verona; mio fratello perché doveva terminare il percorso intrapreso, ed io per nostalgia”.
Chi vi ha seguiti in Accademia?
“Da principio Lucio Nicolodi, poi sotto la guida di Aguanito Merzari abbiamo iniziato ad apprendere i trucchi, i segreti e le tecniche, e in soli sette mesi il direttore dell’Accademia, Egidio Palmiri, ha deciso di portarci al Première Rampe a Monte Carlo, un festival dedicato solo ai giovani. Non conoscevamo neppure l’esistenza di questo festival, siamo arrivati con un numero organizzato in un mese, ma inaspettatamente abbiamo stupito tutti, vincendo il Key d’Argento. Quell’esperienza ha fatto nascere in noi sicurezza e fiducia e ci siamo ripromessi in quell’occasione che saremmo tornati a Monte Carlo per partecipare al Festival dei grandi, ed ora ci siamo riusciti”.
Nella vostra disciplina servono forza, concentrazione e soprattutto tecnica. Come vi preparate e quante ore al giorno dedicate al vostro training?
“Ora che siamo professionisti facciamo prove solo su ciò che non funziona perfettamente, perché con il tempo abbiamo imparato ad eliminare quei grossi difetti che poi in pista si trasformano in errori. Ai tempi dell’Accademia ci allenavamo almeno quattro ore al giorno, poi imparando i trucchi si cerca solo di ripulire gli esercizi e di perfezionarli. Una volta imparati gli esercizi di base, non c’è più nulla da imparare, si cerca solo di migliorare. Il nostro è numero basato molto sulla perfezione e non sull’exploit, esistono numeri di mano a mano basati su esercizi molto semplici, ma a livello estetico perfetti. La forza dev’essere pari all’estetica, il tutto dev’essere fatto in maniera plastica, senza tentennamenti, altrimenti si rovina un po’ la magia dell’esercizio”.
Se non foste diventati equilibristi, a quale altra disciplina circense vi sareste dedicati?
“Sinceramente non lo so. Sono un giocoliere negato, acrobata da poco, non credo avrei combinato qualcosa di buono in pista. Io seguo una mia piccola regola: se devi fare una cosa, la devi fare bene, altrimenti è meglio non farla soprattutto quando si parla di pista. Nel circo ci sono tanti altri mestieri: pubblicità, montaggio, smontaggio. Sicuramente sarei rimasto nell’ambiente, ma non in pista probabilmente”.
Cos’è per voi il circo e quali emozioni provate ogni volta che vi esibite?
“Il circo è un mondo. Qualcuno disse che il circo è una religione, con cui nasci e ci muori. Lo spettacolo è una piccola parte di quello che è il circo. Il circo è un mondo a sé e anche chi ne esce, ovvero chi decide di non fare più questo mestiere, ne rimane comunque molto legato. Chi invece vuole entrare a far parte di questa realtà fatica ad adeguarsi alla mentalità circense, proprio perché è una piccola città, con le sue regole ed i suoi modi di fare”.
E le emozioni?
“Durante le esibizioni la sicurezza deve esserci, anche se bisogna entrare in un meccanismo mentale per cui in qualsiasi contesto, piccoli o grandi circhi, devi sempre dare il cento per cento, perché non dando il massimo non esprimi te stesso e la gente di questo se ne accorge. Ho imparato a concedermi quei dieci minuti prima di entrare in pista per concentrarmi completamente su quello che devo fare, anche se non sempre si riesce, perché a volte si hanno dei pensieri che non permettono di essere totalmente lucidi in pista. Ma da professionisti si deve tentare di dare sempre il 110 non solo il 100 per cento”.
Vi è mai capitato durante uno spettacolo di dimenticarvi un numero?
“La fortuna del lavoro di coppia è che se uno si dimentica una cosa, l’altro gliela ricorda. Ogni tanto capita di distrarsi, ma quando è successo si è trattato solo di aver dimenticato una piccola sequenza dell’esibizione, non ci è mai capitato di aver dimenticato per intero un numero”.
I costumi che indossate sono molto particolari: appariscenti, ma eleganti al tempo stesso.
Chi si occupa della vostra immagine?

“Nessuno in particolare. Purtroppo non esistono dei professionisti specializzati in questo. Ci sono bravi sarti che tentano di riprodurre quello che un artista vuole. La nascita dei nostri costumi, con cui volevamo riprodurre un’atmosfera robotica, meccanica, è stata un’idea condivisa da me e mio fratello e con il colore argento volevamo ricordare il “Key d’Argento” di Monte Carlo che abbiamo vinto nel 1995. La musica, tratta dalla colonna sonora del film “Transformer”, ci ha aiutati in questo”.

Davis e Ronny sotto l'occhio vigile di Cristina Chiabotto

Avete vinto anche un Argento al Festival di Wuqiao, in Cina. Che cosa ha rappresentato per voi?
“Una grande esperienza. Non ci credevamo molto, è stato un tentativo. Al Festival di Wuqiao avevano già partecipato altri artisti italiani molto bravi, eppure senza successo. Il nostro numero, basato molto sull’impatto musicale e l’effetto visivo è piaciuto molto ai cinesi, per cui è stato un successo davvero impensato. In Cina ci sono molte scuole di circo indigene, davvero forti, eppure ce l’abbiamo fatta”.
Il Festival di Monte Carlo rappresenta una delle tappe più importanti per la carriera di un artista circense, essendo la più grande manifestazione del settore. Come avete vissuto la vostra prima partecipazione nel Principato?
“Psicologicamente è un anno che siamo preparati, dato che abbiamo ricevuto la proposta quasi un anno fa. Solo il pensiero di venire a Monte Carlo, almeno per i primi giorni, non ci ha fatto dormire tranquilli la notte, poi piano piano si elabora, comincia a salire l’adrenalina e ti rendi conto che lì hai una sola possibilità di fare bene e noi abbiamo cercato di fare il meglio possibile. Abbiamo iniziato ad allenarci a marzo dello scorso anno, mantenendo sempre viva la concentrazione. In pista siamo arrivati pronti, carichi, e abbiamo superato la preoccupazione perché ci sentivamo preparati e soprattutto convinti di quello che facevamo. In termini emotivi abbiamo sentito di più la seconda serata perché sapevamo che il numero era piaciuto molto e volevamo solo replicare quello che era stato fatto”.
Al termine del vostro numero avete ricevuto ben due standing ovations da parte del pubblico. E’ più importante piazzarvi, e dunque vincere una medaglia, o ricevere il calore e l’affetto del pubblico che vi segue?
“Si dà per scontato che la risposta del pubblico sia il più grande premio che un artista possa ricevere, ma bisogna però tenere presente che la gente tende a dimenticare quello che è successo qui a Monte Carlo, mentre un emblema, un ricordo, rimane sempre nel cuore. Si dovrebbe vincere meritatamente, in base alla risposta del pubblico e non in base al solo voto della giuria, ma non sempre questo accade”.
I fratelli Pellegrini, che recentemente si sono esibiti davanti al Papa, possono essere considerati vostri “rivali”, dato che eseguono anche loro numeri di equilibrismo “mano a mano”. Quali sono i loro punti di forza?
“I fratelli Pellegrini hanno una carriera artistica più che ventennale. Anche loro hanno subito dei “torti”, ad esempio a Monte Carlo non hanno vinto nulla, ora invece sono maturati, sono tecnicamente perfetti. Avrebbero dovuto essere premiati perché hanno portato avanti una sfida infinita, una vera sfida”.
Cosa avete provato quando siete stati premiati col Clown di Bronzo a Monte Carlo?
“Avremmo firmato per avere un Clown di Bronzo, siamo contentissimi”.
E cosa vi augurate ora per la vostra carriera?
“Adesso prendiamo in considerazione tante cose, abbiamo avuto ottime proposte di lavoro, ma terremo conto di tutto, a cominciare dalla nostra famiglia che ci ha sostenuto e supportato in tutti questi anni, perché senza di loro sicuramente non avremmo raggiunto questi risultati”.
Valentina Ripa (le fotografie sono di Charly Gallo tratte dal sito internet del Festival di Monte Carlo)

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