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Ringling: la fine della storia

Tutte le fotografie: ©Ringling Bros. and Barnum & Bailey Circus

Non ce ne vorrà il politologo Francis Fukuyama se abbiamo preso a prestito il titolo del suo famoso libro concepito nel 1992 sull’onda della caduta del muro di Berlino. Ma la chiusura definitiva – annunciata lo scorso gennaio ed attuata puntualmente in maggio – del Ringling Bros. and Barnum & Bailey Circus rappresenta un evento effettivamente epocale che sta influenzando ed influenzerà in modo determinante l’intero panorama mondiale dell’entertainment circense.
Nella notte tra il 14 ed il 15 gennaio di quest’anno – a pochi giorni dall’apertura del 41° Festival di Monte Carlo – giungeva in Europa la notizia ufficiale, inaspettata per tutti, addetti ai lavori compresi, che la Feld Entertainment aveva deciso di chiudere in via definitiva entrambe le unit in tour, la Red con lo show Xtreme (prodotto nel 2015) e la Blue con Out of this World che aveva debuttato la scorsa estate a Fresno. La Gold Unit si era già fermata nel 2013. Le ragioni, esposte chiaramente dalla compagnia senza frasi di circostanza, erano tutte di natura economica e logistica. Di fatto, da lì a pochi mesi l’avventura lunga 146 anni del più emblematico circo della storia si sarebbe conclusa per sempre. Un circo il cui immaginario venne mirabilmente rappresentato, tra gli altri, da Cecile B. De Mille nella leggendaria pellicola del 1952 The Greatest Show on Earth di cui molti appassionati ricordano a memoria le scene topiche, disegnate con la giusta dose di retorica ed una sapiente tendenza agiografica. Rammentiamo che “The Greatest Show on Earth” era – e rimarrà – non solo uno slogan pubblicitario ma un appellativo brevettato che nessun’altra impresa poteva permettersi di utilizzare dall’epoca di Barnum in poi.
Inutile nasconderci quanto scioccante sia stata la notizia perché se ne intuiva immediatamente la portata negativa che si sarebbe riverberata sulle imprese circensi di ogni dove. Nel corso dell’ultima edizione del Festival di Monte Carlo l’argomento è stato naturalmente al centro dell’attenzione e la preoccupazione di tutti gli operatori si è indirizzata oltre che al significato simbolico dell’evento anche alla chiusura di un altro settore di mercato. Infatti, come accennato, fino al 2013 erano ben tre le unit in tour negli USA con l’insegna di Ringling bros. and Barnum & Bailey.
Chiunque abbia visto anche una sola volta una delle produzioni di RBBB ha certamente colto che non si tratta (trattava, ormai) di un circo come gli altri ma del circo per definizione. E questo indipendentemente dal livello qualitativo delle diverse edizioni. L’eccezionalità del prodotto emerge dalle modalità operative nel
senso più ampio: il trasporto attraverso gli Stati Uniti è sempre avvenuto con lunghi treni speciali che costituivano anche l’abitazione dello staff tecnico, della manovalanza e di parte degli artisti; le performance si svolgevano all’interno delle grandi arene sportive e da concerto disseminate sul territorio americano (l’ultimo spettacolo “under the big top” si tenne il 16 luglio del 1956 nella località di Heidelberg Raceway, in Pensilvanya); la gestione dell’intera macchina organizzativa era improntata più su quella delle aziende del grande entertainment americano che non sul modello del circo classico europeo e non. Ogni anno una nuova produzione prendeva vita e per due stagioni percorreva l’intera superficie degli States: le unità Red e Blue erano riservate alle grandi arene mentre la Gold – creata nel 2004 – girava quelle cosiddette minori spostandosi esclusivamente su strada. Non va dimenticato che molti Sport Center negli USA superano i ventimila posti di capienza. Quindi Ringling era davvero un circo che si muoveva in un’altra dimensione rispetto a quella abituale dei nostri standard; grandi dimensioni che hanno significato grandi risultati ma pure crescenti difficoltà culminate nella decisione della chiusura definitiva dopo che nel 2016 si era già rinunciato alla presenza degli elefanti.
La storia di questa insegna è nota: il circo fu fondato dai cinque fratelli di origine tedesca Rungeling – cognome poi semplificato in Ringling, appunto – nel 1884 a Baraboo, in Wisconsin. Ma l’origine del marchio risale a 146 anni or sono grazie all’acquisizione del 1907 e alla successiva fusione del 1919 con l’altro colosso dell’epoca, Barnum & Bailey, nato nel 1871 quando Dan Castello e William Cameron Coup persuasero P.T. Barnum a prestare il suo nome ed a sostenere finanziariamente il circo da loro creato. L’impresa così strutturata proseguì il suo cammino riuscendo a sopravvivere anche alla grande depressione del 1929 e del periodo successivo. Il dopoguerra, per contro, portò un inaspettato contraccolpo negativo fino alla cessione del marchio e del materiale da parte di John Ringling North ad Irvin ed Israel Feld nel 1967: la storica firma del contratto avvenne simbolicamente a Roma, al Colosseo. Da allora, la Feld Entertainment con sede in Florida ha mantenuto il controllo del marchio rendendo l’impresa un colosso assoluto dell’intrattenimento per famiglie: nel 1969 il circo è stato duplicato con la creazione della seconda unit e nel 1980 Feld co-produsse il musical Barnum a Broadway con protagonisti Jim Dale e Glen Close. Nei cinquant’anni della conduzione Feld oltre un miliardo di spettatori ha assistito agli spettacoli di RBBB. Non serve aggiungere altro. Nomi come quelli di Gunther Gebel-Williams, Flavio Togni, Miguel Vasquez, David Larible, Bello Nock fino ad Alex Lacey – per menzionare solo i più recenti – hanno calcato l’arena di Ringling nel ruolo di front-man. E non possiamo dimenticare i preziosi talent manager come Tim Holst e Vinicio Murillo, conosciuti da tutti, instancabili nel girare ogni angolo della terra alla ricerca dell’attrazione giusta per i grandi spazi delle Sport Hall statunitensi.

Dal 2001 la crisi ha cominciato a mordere anche il “più grande spettacolo del mondo”, che ha visto lievitare i costi e diminuire le vendite dei biglietti (che hanno sempre mantenuto prezzi molto popolari per lo standard americano, forse sin troppo rispetto ad altre realtà dell’entertainment); la pressione delle lobby animaliste ha pure contribuito ad offuscare l’immagine del circo com’è accaduto in ogni angolo del mondo occidentale negli ultimi lustri; ma i Feld hanno scelto di combattere strenuamente le campagne spesso ossessive degli attivisti in sede giudiziale e nel campo del marketing ottenendo anche risultati storici (come il risarcimento milionario nel “caso Tom Rider” avanti la Corte di Washington D.C.). Nonostante ciò la gestione del colosso stava divenendo sempre più gravosa sotto il profilo logistico: basti pensare alle difficoltà pratiche per collocare gli animali nelle arene che non disponevano di spazi esterni sufficienti o addirittura non ne avevano affatto (come nel caso del leggendario Madison Square Garden a Manhattan che da qualche anno era stato cancellato dal calendario della tournée) e alla progressiva difficoltà di ottenere l’affitto di altri celebri luoghi dello sport e dell’intrattenimento statunitense come il Boston Garden che molto difficilmente sarebbe stato ancora concesso al circo. Oppure ai costi di gestione delle attrazioni con gli animali: tra salari degli artisti e del personale, spese di trasporto e mantenimento i soli numeri con animali delle due unit sommate – finché ci sono stati gli elefanti – raggiungevano un aggravio del budget vicino ai sette milioni di dollari a stagione. La famiglia Feld ha voluto restare fedele al modello del “Greatest Show on Earth” sino a che è stato ragionevolmente possibile, senza ridurre dimensioni ed impostazione complessiva. Poi ha preso la dolorosa decisione di fermare la storia di Ringling piuttosto che farlo diventare qualcosa di altro da sé, di troppo lontano dai fasti del passato anche recentissimo. Così si è giunti al comunicato ufficiale del 14 gennaio scorso che ha rattristato gli animi di milioni di americani che avevano vissuto proprio al “Greatest Show on Earth” da bambini una delle loro prime elettrizzanti esperienze di spettacolo dal vivo nella loro vita per poi trasmetterla a figli e nipoti e che ha gelato il cuore di artisti, direttori ed appassionati di tutto il globo. Per gli americani e per gli addetti ai lavori è sempre stato “Ringling” mentre in Italia la gente lo individua meglio richiamando il mito di Barnum. Pare che Kenneth Feld abbia affermato che il momento in cui la decisione è stata comunicata ad artisti, collaboratori e staff sia stata “la peggiore mezz’ora della sua vita”.

Dall’annuncio della chiusura le vendite dei biglietti hanno subito un’impennata che ha determinato diversi sold out in ogni angolo d’America, una nota che aggiunge forse ancora più amarezza a quella originaria perché dice chiaramente quanto il pubblico statunitense sia legato al mito di Ringling-Barnum.
La fine della storia si è consumata in due tappe, rendendo inevitabilmente ancora più triste il rito del passaggio. A Providence – piacevole capoluogo dello Stato del Rhode Island nel New England – il 7 maggio si è celebrato il Farewell Show della Red Unit con la produzione Xtreme. Non è mancato neppure questa volta il rito del “pre-show”, un’altra delle caratteristiche di Ringling (creato proprio da Feld nel 1997), che ha richiamato nell’arena oltre un migliaio di spettatori gioiosamente coinvolti nell’animazione con gli artisti. Poi è iniziato l’ultimo spettacolo delle 19.00, col Dunkin’ Donuts Center gremito: subito dopo l’immancabile esecuzione dell’inno nazionale, Kenneth Feld ha voluto salutare personalmente il pubblico intervenuto e ringraziare simbolicamente tutti gli spettatori americani che in cinquant’anni hanno sostenuto con la loro presenza il Ringling Bros. and Barnum & Bailey Circus sotto la direzione della Feld Entertainment. Lasciando da parte il suo proverbiale autocontrollo, Feld ha tradito la commozione del momento mentre la moglie e le figlie Nicole e Juliette (Alana era assente causa la recentissima maternità) lo accompagnavano nell’arena tenendosi per mano. A quel punto, anche il più distratto tra il pubblico ha compreso l’assoluta unicità del momento che stava vivendo. Poi lo show ha seguito il suo corso quasi ordinario arricchito, comunque, da un pathos particolare.
Per dovere di cronaca sono da segnalare l’ottima troupe di funamboli al filo alto guidata da un artista di razza come Mustafa Danguir, i Mongolian Marvels (già visti a Monte Carlo e ben valorizzati nello spettacolo), i comici-animatori della rappresentazione Alex Emelin (vecchia conoscenza del circo russo) e l’energetica Irina, la “Cannon Girl” Gemma Kirby col suo impressionante volo sparata dall’obice e il potente diplay di chiusura con un vorticoso succedersi di salti mortali delle tre troupe impiegate nel fast track, nel wall-trampoline e con le bici bmx. Una menzione a parte per il domatore cileno Tabayara Maluenda, per tutti Taba, che ha condotto gran parte della sua perfomance con le dodici tigri colorate cercando di soffocare la crescente commozione al microfono, invitando il pubblico ad alzarsi mentre presentava prima la figlia che l’ha assistito nel corso degli anni e poi uno ad uno i suoi animali; dopo tredici stagioni di contratto con Ringling ha pure voluto pronunciare uno speciale ringraziamento per “Papà Feld” che aveva permesso ai suoi sogni di avverarsi; poi, terminato il numero, ha salito le scale della tribuna per raggiungere Kenneth e la famiglia Feld abbracciando tutti. Nel finale, agli artisti si sono aggiunti tutto lo staff ed il personale in un rito collettivo di addio che ha toccato anche le anime meno sensibili. Eccellente il contributo di Kristen Michelle Wilson, la prima ringmaster al femminile della storia di RBBB su un totale di trentanove (e anche l’ultima, ahinoi), che ha condotto con grinta tutto lo spettacolo imponendo la sua figura deliziosamente possente. La ragazza, laureata alla Florida State University e già attrice in una compagnia teatrale di cui faceva parte anche Jim Ragona (uno dei più celebri ringmaster del passato) ha esibito un ottimo controllo emotivo quando ha tenuto il final speech ringraziando tutti – ma proprio tutti – i componenti della Red Unit. Al momento dell’apice del turbinio delle emozioni, Kristen ha intonato la celebre canzone tradizionale scozzese Auld Lang Syne dedicata ai tempi passati e all’amicizia che resiste mentre il pubblico ondeggiava a file alternate. Poi il sipario della Red Unit si è chiuso per sempre.

Johanatan Lee Iverson

Due settimane più tardi si è celebrato davvero l’ultimissimo atto di 146 anni di storia, il più intenso. Al Nassau Veterans Memorial Coliseum di Uniondale (Long Island, New York) è andato in scena “the last show ever”, la rappresentazione di chiusura della Blue Unit, Out of this World: una riuscita produzione sul ghiaccio che si è avvalsa del grande Alex Lacey, del nostro Davis Vassallo e dell’energetico Paulo dos Santos nel settore della comicità, della suggestiva attrazione aerea dei Simets in apertura di spettacolo, della forte troupe di cavallerizzi djghiti di Kanat e Tatiana Tchalabaev, del doppio trapezio volante con una notevolissima troupe multinazionale (l’agile Ammed Tuniziani ha realizzato il quadruplo al Barclays Center di Brooklyn lo scorso 3 marzo), dei Torres al globo della morte, di una riedizione dei King Charles col basket al monociclo, della troupe cinese della provincia di Heilongjiang. Diversi artisti facevano già parte della scorsa produzione Blue, Legends. A guidare la serata – trasmessa in streaming su Facebook e sul sito ufficiale del circo – ci ha pensato il carismatico ringmaster Johanatan Lee Iverson, capace di cavalcare con la sua forte personalità l’evento e la potente onda delle emozioni. Ora Ringling ha chiuso i battenti definitivamente. Il circo più famoso del mondo non esiste più ed è verosimile pensare che – ai tempi attuali – anche un brand così radicato nel tessuto sociale degli Stati Uniti venga presto dimenticato, salvo sorprese ad oggi davvero poco ipotizzabili. E allora non ci resta che coltivarne il ricordo e fare tesoro di quanto questo marchio abbia dato al pubblico americano e all’immaginario universale del circo e non solo. Ci mancherà indubbiamente… e molto. Ma il mondo del Circo continua la sua strada, che sicuramente sarà diversa, sicuramente con meno posto per i grandi sogni e le esperienze sensoriali elettrizzanti che solo questo spettacolo sapeva costruire.
God bless Ringling Bros. and Barnum & Bailey Circus…God bless“The Greatest Show on Earth”!

Francesco Mocellin

L’articolo è contenuto nel mensile “Circo” maggio 2017.


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