Anticipiamo l’intervista a Rina Bizzarro in uscita sulla rivista Circo di ottobre.
di Maria Vittoria Vittori
Ha una voce un po’ roca, la donna che racconta di sé e della sua vita, una voce che con inconfondibile coloritura siciliana riesce a mettere a fuoco il passato con lucidità e improvvise accensioni di entusiasmo. Rina Bizzarro, in arte Florans, grande artista dalla vita piena e straordinariamente intensa sotto il segno del leone. Sì, perché Rina è stata fra le rare domatrici d’Italia e d’Europa della sua epoca, anche se afferma, ridendo, d’aver affrontato i veri leoni al di fuori della gabbia e all’esterno del circo.
Com’era la sua famiglia?
Intanto, è di tradizioni circensi antiche. Io, che sono la seconda di sei figli, appartengo alla quarta generazione. Una famiglia di carattere siciliano, non posso dire rigido, ma sicuramente severo riguardo l’educazione. Mio padre Fioravante, che è stato un bravissimo clown e un grande cavallerizzo, non voleva nel modo più assoluto che noi facessimo questo mestiere, eppure a noi figli piaceva molto. Io e la mia sorella più giovane, Liliana, che fu eletta Miss Italia a Tunisi subito dopo Claudia Cardinale, abbiamo scelto di diventare cavallerizze, anche se poi abbiamo finito col fare un po’ di tutto, anche le acrobate. Ricordo un numero aereo che era piuttosto pericoloso. Liliana faceva un numero con le colombe, io ho iniziato a lavorare con i leoni.
E qui occorrerà scendere nei particolari: come, quando e perché…
Nel 1952 siamo partiti per una lunga tournée: in dodici anni abbiamo girato tutta l’Africa del Nord e il Medio Oriente. In Egitto venne a vederci il presidente Nasser che fu entusiasta del nostro spettacolo e volle regalarmi una coppia di leoni, Aziza e Atlas. Avevano sei mesi quando me li ha dati, e io che amavo molto gli animali mi accorsi quasi subito di saper intendermi con loro. Io non ho mai adoperato la frusta, ma solo le parole e la dolcezza…
Ma ci sarà pur stato qualcuno a cui ispirarsi, in questa difficile specialità?
C’è stato un domatore che ho visto lavorare con dolcezza, si chiamava Antoine Zerbini ed era un italo francese che faceva con i leoni quegli esercizi che poi io ho ripreso. Mi hanno sempre attirato quegli animali che non si potevano toccare e sono riuscita con la dolcezza a tenerli vicino a me. Passavo giornate intere nella gabbia ed è capitato perfino che qualche sera un leone venisse a dormire con me. Era un leone di appena un anno, è vero, ma era un leone a tutti gli effetti.
Il suo numero di attrazione?
Facevo un numero particolare che attirava molto: mi mettevo una bistecca in bocca e la porgevo alla leonessa. Krone è venuto in Sicilia a vederlo, mi voleva nel suo circo, ma non ho mai voluto lasciare il mio circo, perché ero affezionata alla mia famiglia, al mio papà.
Torniamo appunto al suo circo, che si è trovato ad affrontare nella sua lunga vita alcune delle vicende più drammatiche della nostra storia.
Quando ci fu il terremoto a Messina, nel 1908, mio nonno si trovava proprio lì, in città; non c’era ancora mio padre che sarebbe nato solo due anni dopo. La mia bisnonna morì sotto le macerie e mio nonno mise il suo tendone a disposizione dei terremotati. Per questo, in occasione del centenario, il comune di Messina ha consegnato al Circo Bizzarro una medaglia d’oro.
L’alluvione di Firenze l’ho vissuta anch’io. Mi ricordo che il 4 novembre 1966 dovevamo debuttare a Firenze e siccome pioveva tanto ci siamo fermati a Scandicci e poi ci siamo rimasti per più di un mese. Non c’era il cibo per nessuno e dunque nemmeno per gli animali, e dopo otto giorni che non mangiavano carne due leoni scapparono dalla gabbia e uno di questi era proprio la leonessa con cui facevo il numero della bistecca. Riusciamo quasi subito a riprendere il maschio, e vedo la leonessa che entra nello scantinato di un palazzo. Di notte, alla luce di un faro installato dai miei fratelli, viene montato il tunnel: io, coraggiosa e incosciente, entro da sola in questo scantinato con un bastoncino in mano. Chiamo per nome la leonessa e quando sente la mia voce, viene fuori; io le allungo il pezzetto di carne che pendeva dal bastoncino e la faccio entrare nel tunnel. L’indomani, titoli a caratteri cubitali su tutti i giornali.
E poi, che cosa è successo?
Il circo era stato distrutto dall’alluvione e ci siamo dovuti rifugiare a Roma; ci hanno molto aiutato il presidente della Croce Rossa, con delle sottoscrizioni, e il sindaco. Ed è per questo che, la sera del debutto, abbiamo deciso di chiamarci “Circo Città di Roma”. E da allora ha conservato questo nome; col tempo si è ingrandito molto fino ad arrivare a tre piste. Ma ora è fermo, perché lo stiamo ristrutturando. È rimasto in attività l’altro circo di famiglia, il Circo Bizzarro.
Avete avviato anche una singolare collaborazione con Claudio Villa.
Ora le racconto come è andata: mio fratello, che aveva allora tredici anni, è stato ferito da un leone e ha dovuto subire ben diciassette interventi per risistemare il braccio. Al penultimo intervento, che era particolarmente delicato, piangeva disperato e voleva farsi addormentare dalla voce di Claudio Villa. Quando Claudio lo venne a sapere, gli mandò alcuni dischi. Poi, un giorno venne a cantare a Bagheria, mio fratello volle andare a ringraziarlo e lo invitò al nostro circo, che allora si trovava a Palermo. E da lì è nata non solo una collaborazione artistica ma anche l’amore tra lui e mia sorella Liliana.
In che cosa consisteva questa collaborazione?
La prima parte dello spettacolo era composta dai numeri circensi, mentre la seconda parte era dedicata solo a lui e alle sue canzoni. Ma anche Rita Pavone e Teddy Reno hanno lavorato con noi, e abbiamo fatto spettacoli anche con il mago Silvan. Questa formula aveva molto successo, tant’è vero che negli ultimi tempi abbiamo cercato di riproporla. La figlia di Claudio, Manuela, è di casa da noi.
Qual è stato l’episodio più memorabile della sua vita di domatrice?
Facevo un numero in cui abbracciavo forte un leone maschio. All’improvviso, salta la luce e non solo, salta contemporaneamente anche il gruppo elettrogeno. Io sono rimasta abbracciata a lui, immobile. Per fortuna quella sera, avendo i capelli sporchi, mi ero messa una parrucca e quella è stata la mia fortuna. Torna la luce e si vede il leone con la mia parrucca in bocca. E la cosa buffa era che la gente rideva perché pensava che fosse uno scherzo, ma io posso dire che quella parrucca mi ha salvato la vita.
Lei da domatrice è diventata amministratrice.
Lo ero già da prima; anche quando facevo la domatrice gestivo il circo di famiglia: preparavo le tournée, ingaggiavo gli artisti. A me risulta che ci siano state all’epoca due sole donne che gestivano un’impresa di spettacolo: Loredana Nones, che mandava avanti lo spettacolo sul ghiaccio e io, con il Circo Bizzarro. Ho lasciato i miei leoni dopo trentacinque anni, ma dico sempre che mi sono ritirata dalla pista davanti al pubblico, ma dietro al pubblico sono ancora e sempre in pista.
C’è qualcuno a cui ha passato il testimone?
Sì, c’è una mia nipote, Elisabetta Bizzarro, che ora fa un numero con quattro leoni. Mi ha sempre seguito perché diceva che le piaceva quello che facevo.
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