Animali a Milano: devo ritornare sull’argomento, a pochi giorni di distanza dall’aver parlato di una deliziosa invasione di elefanti di pietra nella mia città, perchè in questo caso si tratta di animali vivi. La mattina di sabato 1 ottobre, 700 pecore hanno fatto la loro comparsa davanti al Duomo suscitando la curiosità di passanti di tre generazioni. Tutto calcolato, però. Si trattava delle riprese conclusive di un documentario di Mario Bonfanti intitolato L’ultimo pastore e dedicato a un personaggio realmente esistente. Si chiama Renato Zucchelli ed è l’ultimo pastore nomade rimasto a Milano, nelle cui strade si muove abitualmente con il suo gregge alla ricerca dell’ultimo verde da pascolo ancora reperibile fra una metropolitana e un grattacielo, fra un condominio di 12 piani e una ditta di esportazioni. Idea troppo bella per non ottenere non solo il via libera ma anche il patrocinio di enti importanti come il WWF, bloccando sul nascere anche il superzoofilo sempre pronto a un arricciar di naso quando si parla di iniziative con animali. Qualche arricciamento si è invece verificato, in questi stessi giorni, fra le quinte del Teatro alla Scala dove si preparava l’allestimento del Rosenkavalier che prevedeva la presenza in scena di animali. Si è svolto, con il coinvolgimento delle autorità comunali, un battibecco piuttosto grottesco: “Animali no…Animali sì però impagliati…Animali veri però però però…” Alla fine, è stato dato il via libera a un paio di levrieri adulti e pronti, a quanto pare, a sostenere il trauma del palcoscenico.
Non posso fare a meno, a questo punto, di evocare un episodio scaligero risalente a più di 100 anni fa, e per la precisione nel 1886, in cui furono coinvolti anche esponenti della mia famiglia. Ho ricostruito questo episodio nel mio libro Quando Milano faceva faville edito da Mursia. La pregiata ditta Manzotti-Marenco, che già si era coperta di gloria alla Scala nel 1881 allestendo il “Gran Ballo Excelsior” che ancora talvolta si vede sulle nostre scene, aveva tentato il colpo con un altro kolossal intitolato “Amor”. Dell’enorme cast faceva parte anche il mio bisonno Cesare Coppini, mimo coreografo del Teatro alla Scala, nel ruolo dell’imperatore Cesare. Le cronache dell’epoca, in attesa che il maxispettacolo andasse in scena, ricevettero una scossa improvvisa con l’arrivo a Milano di un elefante di nome Bosco destinato a partecipare alla rappresentazione. Si azzardava sui giornali, con molta fantasia, che si trattasse di un pachiderma donato dal Re d’Etiopia in persona alla città di Milano. La realtà era molto più semplice. L’elefante era stato acquistato ad Amburgo, al prezzo di 6500 lire (che allora non erano poca cosa), presso lo zoo di Karl Hagenbeck, rimasto nella storia del circo come uno dei più profondi intenditori di elefanti e di animali in genere. Il problema più serio, per gli operatori della Scala, era che l’animale, solitamente docile e tranquillo, non incappasse nella presenza di topi, non infrequenti fra le strutture di un colossale palcoscenico quale è quello della Scala. Ma andò tutto bene. I topi disertarono lo spettacolo e Bosco fece le sue apparizioni in scena in perfetta obbedienza ai dettati della regia.
Da allora sono passati più di 100 anni. Tanti studi sono stati fatti nel tempo sul comportamento degli animali e tanti altri se ne faranno, utili a favorire un sempre migliore comportamento fra loro e noi. Non mi piacerebbe, però, se questo pecorso ancora lungo da fare fosse immancabilmente accompagnato da un piagnisteo animalista. Non sarebbe una brutta cosa se gli animali, che ci hanno accompagnato in tanti aspetti della nostra storia, smettessero di colpo di accendere qualche faro in più nel grande cammino della creatività umana?
Ruggero Leonardi