Suona come uno sberleffo, una delicata presa in giro verso l’Ente nazionale protezione animali, il commento che si può leggere sull’ultimo numero di Diva e Donna, il settimanale di Cairo Editore, nella rubrica “oltre la notizia” (a pagina 4).
C’è una fotografia a tutta pagina del Papa che tiene su un dito il pappagallo, ormai famoso, che gli è stato consegnato per qualche secondo nella udienza di mercoledì 29 gennaio in piazza San Pietro. Nel riquadro piccolo un’altra foto, quella di una delle due colombe che sono state liberate dallo studio del Papa e che è stata “assalita” da un gabbiano. Diva e Donna scrive nella didascalia alla foto che il pappagallo il Papa l’ha “ricevuto dai rappresentanti dello spettacolo viaggiante di Bergantino”, e in effetti questa fu la prima notizia battuta dalle agenzie, mentre poi si fece avanti il proprietario di “Amore” (questo il nome del pappagallo) che non ha nulla a che fare con lo spettacolo viaggiante.
Ma quel che importa è il testo a corredo della fotografia, eccolo:
Papa Francesco e quei “poveri” animali
Peccato che l’Enpa non ci fosse ai tempi di San Franesco. L’Enpa è quell’Ente nazionale protezione animali che di recente ha inviato a Papa Francesco un appello a non liberare più le colombe dal balcone di piazza San Pietro, come da tradizione i Pontefici fanno durante l’Angelus della domenica, dopo che la settimana scorsa una colomba è diventata preda di un gabbiano. “Gli animali che sono nati in cattività, non essendo animali selvatici, non sono in grado di riconscere i predatori come tali e sono quindi incapaci di fuggire da eventuali situazioni di pericolo”, scrive l’Enpa, ed è giustissimo, non si può che sottoscrivere ogni parola. Peccato soltanto che l’Enpa non ci fosse ai tempi del Poverello di Assisi, al quale fin dal nome si ispira Papa Bergoglio: perché altrimenti avrebbe saputo spiegare che non era il caso di avvicinare quel terribile e feroce lupo che terrorizzava gli abitanti di Gubbio, e tanto meno di “domarlo” convincendolo a non assalire più uomini e animali, perché se è vero che una colomba in cattività rischia a ritrovare la libertà, nessuno si è mai chiesto quale brutta fine abbia fatto il lupo di Gubbio, dopo che la sua natura di predatore fu trasformata dal Santo in quella di un agnellino. Eh sì, peccato che ai tempi di San Francesco non ci fosse ancora l’Enpa.
Angelo Ascoli
Una elegante ironia, insomma. Ma l’intervento dell’Enpa è un anche un clamoroso autogol laddove sostiene che gli animali nati in cattività, non essendo animali selvatici, non sono in grado di riconscere i predatori come tali e sono incapaci di fuggire da eventuali situazioni di pericolo. Esattamente quello che ripetono i circensi da una vita davanti alle assurde richieste di Enpa e soci che vorrebbero liberare gli animali presenti nei circhi, che nel 99% dei casi sono nati in cattività. E che se fossero riportati nel loro habitat naturale non vivrebbero più di un’ora.
Prende spunto dalla pagina di Diva e Donna anche il presidente Enc, Antonio Buccioni, che commenta: “Non è importante sapere chi ha portato il pappagallo in piazza San Pietro, se lo spettacolo viaggiante oppure la persona di cui ha parlato la stampa, ma è opportuno sottolineare l’abisso culturale tra chi la pensa come noi e chi la pensa diversamente. In genere disperati, seriamente pericolosi, squilibrati e fondamentalmente senza Dio, che si permettono di sindacare anche su chi possiede una fede”.