Un clown sopra uno sgabello sullo sfondo di un circo. Inverno 1943. Un funambolo di cui si distinguono solo le gambe sul filo, con in primo piano gli spettatori di spalle, e un Arlecchino che riposa, disteso sopra un letto.
Queste le prime tre immagini che accolgono i visitatori nella sezione dedicata alla fotografia del padiglione Italia alla Biennale Arte di Venezia edizione numero 54, fino al 27 novembre 2011.
L’artista è il milanese Paolo Ventura, classe 1968, che espone anche presso la Photografica Fine Arts di Lugano, da lunedì 27 ottobre al 30 dicembre 2011, il suo ultimo lavoro Behind the walls (Dietro le mura).
Le fotografie di Ventura in mostra alla Biennale, scelte da Italo Zannier per il padiglione curato da Vittorio Sgarbi, fanno parte della raccolta intitolata Winter stories (Racconti d’inverno). Chi le guarda è catapultato in un “non luogo”, indefinito e surreale, ed è costretto ad indugiare sui dettagli per capire se le scene fotografate siano reali. Non lo sono, perché Ventura ricrea un mondo immaginario scaturito dalla sua fantasia, costruisce e decostruisce ogni volta un piccolo set, e lo immortala per un istante. Un laborioso assemblaggio di figurine in miniatura, pupazzi, oggetti, che prima disegna e poi realizza a mano, spesso cucendo gli abiti e dipingendo i muri. Il tutto illuminato dal lampadario di casa.
Dall’Accademia di Belle Arti di Brera al padiglione Italia la strada è lunga. Ventura si trasferisce fin da giovane a New York come fotografo di moda. In un giorno di pioggia, così come impone una storia bohemien che si rispetti, entra con i suoi lavori sotto braccio nella galleria Hasted Kraeutler di Chelsea, a Manhattan, dove, forse più per l’aspetto fradicio che per l’effettiva abitudine di guardare i lavori di chiunque entri proponendosi, la lungimirante gallerista si dedica all’artista meneghino. Da quell’episodio scaturisce subito una personale a New York, War Souvenir, che segna l’esordio del Ventura “bricoleur”.
La sua carriera da allora è in ascesa e non conosce battute d’arresto, come dimostrano le due mostre attualmente in contemporanea a Venezia e Lugano.
Dopo dieci anni in America, Ventura decide di tornare in Italia, dove si trova la sua famiglia. Figlio di un celebre illustratore di libri per bambini, Piero, Paolo è cresciuto respirando un’atmosfera intrisa d’arte; forse non è un caso che i suoi due fratelli, Marco e Andrea, siano entrambi artisti, illustratori come il padre. Le opere di Ventura sono, infatti, sempre animate da una visione fiabesca che evoca mondi lontani e reminiscenze d’infanzia, la prima fonte della sua ispirazione artistica e creativa, poi contaminata visibilmente dal realismo magico dei pittori Antonio Donghi e Giorgio de Chirico.
Il suo è un lavoro artigianale e al tempo stesso autorale, che spinge a riflettere sul ruolo stesso del mezzo fotografico, considerato fin dalle sue origini uno strumento di riproduzione fedele della realtà, e impiegato in questo caso dall’artista, che ne fa un uso non convenzionale, per ritrarre scene che reali non sono.
Estrapolando la definizione dal contesto storico di ribellione anti-estetica che caratterizza la corrente artistica di inizio Novecento, Ventura sarebbe un “Dadaista” dei nostri giorni.
Alessandra Borella