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Omar López Mato: siamo tutti figli di Barnum

di Claudio Monti

Omar López Mato

Di professione Omar López Mato è medico oculista, direttore dell’Instituto de la Visión di Buenos Aires. Ma questo argentino, classe 1956, ha anche un’altra profonda passione, quella per la ricerca storica e in particolare per temi abbastanza curiosi e comunque d’impatto sull’opinione pubblica. E’ un autore emergente, popolarissimo in Argentina, dove ha pubblicato una decina di libri. Collabora anche con riviste argentine come Todo es Historia, Perfil, Para Tí e Médico Oftalmólogo. Tiene una rubrica sul quotidiano La Prensa, ha condotto il programma radiofonico Hablemos de Historia dal 2006 al 2009 e attualmente è la voce di Tenemos Historia a radio FM La Isla.
E’ diventato un caso editoriale anche in Italia grazie al suo Storia dei Freak. Mostri come noi (Odoya edizioni). Spesso nei suoi approfondimenti incrocia il tema del circo, come fa anche nel volume dedicato ai Freak. L’abbiamo intervistato e nelle sue risposte ci svela la nascita del suo interesse per le “mostruosità” umane, ci parla delle suggestioni per l’arte circense e delle tante mostruosità dell’era dello show business.
Dal punto di vista professionale lei è un oculista e dirige l’Instituto de la Vision di Buenos Aires. Come è nata la sua passione per la storia e in particolare per i freak?
Mentre studiavo medicina, circa 30 anni fa, avevo un professore di patologia, un dottore specialista in teratologia (la scienza che studia le malformazioni presenti fin dalla nascita, ndr). Quando entravo in aula passavo da un corridoio che era pieno di bottiglie contenenti cadaveri di neonati con malformazioni. Sono riuscito a vedere anche un bambino con due teste ed un ciclope tra questi “mostri”. Questa cosa mi colpì molto e riaffiorò in me quando lessi dei libri su mostri e “freaks” come quelli scritti dal Dr. Bondesohn. Decisi allora di fare alcune ricerche e così è nato “Mostri come noi”.
Essere un oftalmologo non ha nulla a che vedere con la mia passione per la storia e l’arte. Fino ad ora ho scritto più di dodici libri che per la maggior parte si occupano di storia argentina, cimiteri (che è uno dei miei argomenti preferiti) e malattie di artisti famosi. Come dottore sono interessato al modo in cui la malattia influisce sul nostro stile di vita, specialmente sulla nostra capacità di “creare”. Alcuni “freaks” hanno fatto di loro stessi uno spettacolo, un modo per attrarre l’attenzione e quindi aumentare il business.
In diversi dei suoi lavori lei fa riferimento al circo: quali legami ha Omar Lopez Mato con l’arte circense e cosa pensa degli influssi del circo sul cinema, sulla letteratura, sull’arte in genere?
Da bambino non ero molto attratto dal circo, e si tratta di una confessione non facile se fatta ad una rivista di circo (sorride Omar López Mato, ndr). Devo dire che ero un po’ spaventato, specialmente dai clown. Mi ricordo solo di aver visitato un paio di circhi da ragazzo e l’unica cosa che riuscì ad impressionarmi fu “the death globe”, le motociclette che giravano ad alta velocità all’interno di una sfera. Col passare delle stagioni mi resi conto che i circhi mostrano il bello e il bizzarro allo stesso tempo: la bella e la bestia, il clown e l’ammaestratore, il gigante ed il nano. Entrambi gli estremi della vita si trovano all’interno del circo: non c’è solo un lato della medaglia, ma tutti e due insieme, come Ying e Yang… e questa è, a mio avviso, la bellezza del circo. Lacrime e sorrisi si incontrano allo stesso tempo, il male ed il bene in uno stesso scenario, il paradiso e l’inferno coincidono nel circo, e anche se c’è il tentativo di mostrare il lato allegro della storia, nel lungo periodo le due parti finiscono per unirsi. Questa è la magia del circo.
Nel suo libro dal titolo “Animalitos de Dio”, lei racconta la storia del domatore di pulci: cosa ha scoperto nelle sue ricerche a questo proposito?
Quale spettacolo più grande del domatore di pulci? Non ne ho mai visto uno dal vivo, solo nei film, ma quando lessi un libro sulle pulci e sulle loro “abitudini”, colpì profondamente la mia immaginazione. C’è molto più che la frode nei domatori di pulci… ed è questo che li rende così speciali. La cosa che mi ha colpito di più è vedere la quantità di libri scritti e pubblicati su questo argomento. Ci crede che alcuni domatori pensavano che pulci di origine polacca fossero più intelligenti di quelle nate in Francia? Queste sono le storie che mi piacciono di più forse perché hanno a che fare con la credenza, perché è come credere in qualcosa che qualcun altro vuole che tu creda appunto, uno dei segreti del successo.

Barnum con il piccolo generale Tom Thumb

Lei descrive l’inventore del business dei “mostri umani” esibiti, Phineas Taylor Barnum, come un imbonitore che ha sfruttato per scopi commerciali le disgrazie altrui, ma anche come l’inventore dell’intrattenimento di massa: non tutto il male viene per nuocere? E in che senso Barnum è stato l’inventore del show business?
Phineas Taylor Barnum non può essere considerato l’inventore dello show business, specialmente di quello, chiamiamolo così, “bizzarro”. Molti altri imprenditori hanno fatto cose simili a lui. Barnum però fu il primo a mettere questa idea nero su bianco, spiegando come, perché e quando farlo e ha anche dato una giustificazione morale al suo business, a volte in modo molto cinico (“ogni minuto nasce un idiota”), a volte giustificandolo su base filantropica. Alcuni mostri che hanno lavorato con lui, Tom Tumb per esempio, fecero fortuna semplicemente mostrandosi in pubblico. La cosa che fa eccellere Barnum però è stata la sua capacità di stabilire una relazione con i media. Diceva: “Non mi interessa cosa dicono i giornali di me, l’unica cosa che voglio è che scrivano il mio nome correttamente”. E se ci pensiamo bene, la maggior parte di queste regole regnano sovrane nello show business anche oggi. Basta guardare la tv e pensare a Barnum. Ma sono convinto che molti di coloro mettono in pratica le sue idee non sappiano che appartengono proprio a Barnum, un precursore nello sfruttare le potenzialità del mondo moderno in termini di comunicazione, giornali, pubblicità … ogni nuova tecnologia riusciva ad usarla a suo favore.

Xi Shun e He Pingping, l'uomo più alto e quello più basso del mondo, allo Show dei record su Canale 5

Anche oggi le diversità vengono esibite e ostentate, e non nei carrozzoni delle mostruosità ma in televisione (penso ad esempio allo “Show dei record” sulla tv italiana), quindi senza bisogno di pagare il biglietto: cos’è cambiato dai tempi di Barnum? “I freak come fenomeno circense sono arrivati al tramonto”, lei scrive nel suo libro, ma l’esibizione delle diversità è più sviluppata oggi che ai tempi di Barnum: perché?
L’unica differenza credo sia che al giorno d’oggi c’è una preoccupazione morale maggiore rispetto al XIX secolo. In nome della discriminazione c’è la tendenza a limitare questo tipo di esibizioni, ma ci sono anche molte eccezioni a questo riguardo.
Un tempo i freak si guadagnavano da vivere sfruttando la loro unicità, il loro lavoro era quello di freak. Ora la fama di questi personaggi dura quei famosi cinque minuti di cui parlava Andy Warhol, si tratta cioè di una fama effimera.
Perché l’esibizione dei mostri non ha attecchito in passato (oggi anche questa distinzione è caduta) nei paesi di più forte impronta cattolica?
Evidentemente per una questione religiosa. I cattolici vedono il freak come risultato del peccato, mentre i protestanti come un volere di Dio e lo accettano come loro destino e sentono il dovere di provare ad essere i migliori nella loro condizione di freak, e quindi anche a guadagnare soldi attraverso questa condizione speciale, che è dono di Dio. Penso sia questo il motivo per il quale i freak show furono così comuni nel mondo anglosassone. La svolta è arrivata con la scoperta che le mostruosità si potevano creare anche a livello industriale, con droghe come il talidomide. Questo fece la grande differenza: i figli o le figlie di tutti sarebbero potuti diventare dei mostri. Si può trovare buffo e divertente vedere qualcun altro con due teste o quattro gambe, ma ad una condizione, che non sia il proprio figlio.

La celebre foto di gruppo per il congresso dei freak scattata da Edward J. Kelty

Perché i freak continuano ad esercitare tanto fascino sull’uomo?
L’eccezione è sempre affascinante e la curiosità è la caratteristica più comune nel regno animale. La diversità è un’attrazione vera e propria, l’uomo ha ancora una malvagità primitiva, innata. Provi a pensare alle barzellette, la maggior parte sono crudeli. Ridiamo di persone con degli handicap. Il nostro umorismo è crudele.
Nel suo libro lei sembra sostenere che siamo un po’ tutti dei mostri e, soprattutto, quelli peggiori non sono frutto di qualche molecola impazzita, ma piuttosto della volontà di potenza dell’uomo del ‘900, che si esprime attraverso la medicina, la guerra (“le bombe di Hiroshima e Nagasaki hanno riempito il Giappone di mostruosità”), le centrali nucleari (basti pensare a malformazioni genetiche collegate a Chernobyl). Può spiegarci il suo pensiero?
Tutti noi abbiamo una condizione eccezionale, anche se sembra poco importante. Molti dottori collezionano casi strani, eccezioni alle regole della medicina. Esistono musei che presentano questi esempi particolari, per il maggior numero patologici, come le ho detto prima. Nessuno di noi è libero di essere un fenomeno dal punto di vista medico, ma i congressi medici a volte diventano dei freak show, dove si esibiscono casi rari collezionando unicità e particolarità. Mostruosità e normalità distano a volte solo pochi nanometri.

L'uomo zebra, Horace Ridler

Nella nostra società l’interesse si è spostato dai born freaks ai made freaks, cioè non verso chi nasce con delle malformazioni ma chi sceglie di trasformare il proprio corpo, come nel caso del tatuaggio. Perché a suo parere ha preso piede questa moda dilagante, anch’essa nata come fenomeno da circo?
Ci sono molti aspetti che riguardano questa domanda, da un lato l’eccezionalità: un tatuaggio sul corpo è una cosa unica. Dall’altra parte ti fa appartenere ad un gruppo particolare, ad una tribù urbana se vogliamo. Il tuatuaggio o il piercing ti fanno entrare in un’unica famiglia, assai peculiare. Nella nostra società specialmente i giovani vogliono appartenere ad un gruppo e a volte questo marchio sul corpo ti fa sentire parte di uno specifico gruppo. Poi c’è l’aspetto dell’emulazione, se il membro dominante di un determinato gruppo ha determinate caratteristiche, come quella del tatuaggio, gli altri tendono ad imitare il suo “design personale”. Il mondo tende ad una certa uniformità ma, d’altro canto, la gente vuole dimostrare la propria diversità e tatuarsi è un modo particolare per fare questo. Essere uguali e diversi allo stesso tempo è una specie di rassicurazione, come se si dicesse: ”Eccomi qui, sono un mostro, ma un ragazzo normale, sono entrambe le cose”. I concerti rock, ad esempio, mostrano una tendenza bizzarra e mostruosa allo stesso tempo e gruppi come i Kiss ne sono un esempio. Tuatuandosi le persone vogliono imitare i propri idoli, come i cristiani usavano flagellarsi per mostrare l’amore e la paura di Dio.
(Traduzione Sarah Palese)

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