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Non ogni Saltimbanco ha diritto di fregiarsi dell’antica definizione

E’ incominciata la stagione più adatta alle esibizioni all’aria aperta e non c’è giorno, si può dire, che non si legga sui giornali o sulle affissioni nelle strade l’annuncio di qualche spettacolo che ha nome Saltimbanco. Parola storicamente inoppugnabile, per carità, che però nel mondo d’oggi si presta a qualche equivoco. Ricordo una lunga conversazione con Nandino Togni, uomo che “sussurrava ai cavalli” ben prima che questa definizione si traducesse in successo cinematografico. Non si riconosceva, nella definizione derivante da una lunga lunga storia, per una ragione che – come suol dirsi – tagliava la testa al toro. Il saltimbanco, detto anche cantambanco, era uno che con le sue esibizioni attirava l’attenzione del pubblico al fine di concentrarla sull’acquisto di prodotti di varia natura e ottenerne lo smercio. Ben altra figura rispetto all’artista di oggi il quale concentra ogni sua esibizione al fine, unico ed esclusivo, di ottenere il consenso e l’applauso. Senza questa divaricazione non sarebbe mai nato il circo equestre, non sarebbe mai nato quel florilegio di ricerca in una pluralità di diramazioni grazie alla quale noi oggi possiamo entrare sotto uno chapiteau e vedere uno spettacolo più o meno bello, più o meno convincente, ma comunque con le carte in regola per definirsi spettacolo. Dunque, niente da dire quando l’esibizione di strada si esprime come spettacolo degno di questa parola. Altro è il discorso quando il glorioso vocabolo – come purtroppo talvolta accade di vedere – è presentato come storico usbergo a esibizioni di poca (se non pochissima) sostanza. Ci sono casi in cui chi si esibisce farebbe bene a presentarsi per ciò che è lasciando l’antica definizione nel guardaroba delle glorie sepolte.
Ruggero Leonardi