BUSSOLENGO (Verona) — La tomba di Francesco Caroli ha la forma di un grosso ferro di cavallo. A due passi c’è la fotografia di Leonida Casartelli («Il grande capo», c’è scritto sulla lapide), in posa accanto a una tigre. Pochi metri più in là, un’immagine in bianco e nero ritrae un clown in abito di scena. Fiori, lettere, vecchie fotografie scattate all’ombra di tendoni colorati. Il cimitero dei circensi è un caso unico al mondo. Un segreto custodito all’interno del camposanto di Bussolengo, cittadina alle porte di Verona. È nato quasi per caso: dal secolo scorso molti artisti del circo vengono sepolti lì. Il motivo non è chiaro, ma c’è chi dice che gli spettacoli che venivano ospitati in occasione della Fiera di San Valentino abbiano spinto alcuni circensi a comprare casa nella zona, attirando a loro volta altri colleghi in pensione.
Tra le lapidi si scorgono i nomi che hanno fatto grande la tradizione degli spettacoli itineranti. Come quello di Cesare Togni, il patriarca della celebre famiglia di artisti, morto nel 2008. E poi ci sono i Casartelli, a cominciare proprio da Leonida che rilevò il «Medrano» trasformandolo in uno dei più importanti circhi al mondo. E i fratelli Caroli. Il più famoso era Enrico. «Il miglior cavallerizzo di tutti i tempi, non c’è mai stato nessuno come lui e nessuno mai ci sarà», sentenzia Egidio Palmiri, ex acrobata e ora presidente dell’Ente Nazionale Circhi e fondatore dell’Accademia del Circo che ha sede a Verona. Enrico Caroli nel Novecento fece gridare al miracolo per quel salto mortale da cavallo a cavallo, con gli equini lanciati al galoppo. In volo, con un impeccabile ed elegantissimo frac. Nessuno, dopo di lui, ha saputo ripetere quell’esibizione che lasciava a bocca aperta il pubblico. Era un’altra epoca, quando ancora l’arrivo dei tendoni colorati era un evento attesissimo nei paesi, in grado di richiamare centinaia di persone. E ora, custodi dei giorni gloriosi, sono le lapidi di quel cimitero del Veronese.
C’è chi dice siano addirittura 150 gli artisti sepolti a Bussolengo. «Mi sembra esagerato, ma di certo sono svariate decine. E questo rende quel cimitero un caso unico », ammette Palmiri. «Un trapezista quando muore è contento perché sa che in cielo potrà volare senza bisogno di fili», assicura Eugenio Larible, ex clown, ex trapezista, ex presentatore («Ho fatto praticamente di tutto», ricorda). Ancora oggi, a 81 anni, ogni tanto lascia la sua casa a Bussolengo per lavorare come «consulente artistico» per il Medrano. «Quello del circo è il lavoro più bello del mondo, ha reso meravigliosa la mia intera esistenza», spiega mentre si avvicina alle tombe della sua famiglia che dall’Ottocento si esibisce in giro per il mondo.
Da suo nonno in poi, hanno affascinato generazioni di bambini, facendoli ridere e sognare, con i volti all’insù e gli occhi sgranati per lo stupore. Suo figlio David è una vera star internazionale: vincitore del Clown d’Oro, l’equivalente dell’Oscar per un attore, ha uno spettacolo tutto suo e tra i suoi ammiratori figurano divi di Hollywood come Tom Cruise e Jack Nicolson. Per raggiungere le tombe di alcuni degli artisti, si scende una scalinata, arrivando alla sala che ospita le salme dei sacerdoti. Accanto c’è la cappella dei Larible. Sacro e profano in uno strano connubio di abiti talari, volti truccati, croci e nasi rossi. «Qui verrò sepolto anch’io, quando sarà la mia ora. Una volta, a Saint Tropez ho rischiato di finirci prima del tempo: a causa di una folata di vento sono precipitato dal trapezio mentre mi esibivo a un’altezza di nove metri. Me la sono cavata per miracolo…». Di storie ce ne sono un’infinità. Ma una grande foto della cavallerizza Rosina Gerardi, da sopra l’altare avverte i circensi che vanno a pregare sulla sua tomba: «Figli miei venite più tardi possibile».
Andrea Priante
03 settembre 2012