Skip to content Skip to footer

Sono molto grato al collega e amico Sebastiano Grasso che sul Corriere della Sera di domenica 11 marzo ha usato la parola “circo” senza storcere la bocca come tanti altri badilanti della carta stampata. Preciso subito che non di Togni o di Orfei si è occupato, Grasso, perché le sue attenzioni sono da decenni rivolte a pittori e scultori. Però ne parlo perché l’approccio all’argomento può suonare familiare anche a chi è frequentatore degli chapiteau.
E cominciamo dal titolo, “Mirò al circo della fantasia”, con riferimento d’attualità a mostre e cataloghi che ripropongono l’artista alla attenzione degli italiani. Ma molto mi piace anche l’inizio del testo, con espressioni che non possono non suonare familiari pure ai frequentatori di “Circolando”.
Ecco qua. “Niente di più facile che parlare di una mostra di Joan Mirò (1893-1983). E niente di più difficile, perché c’è il rischio di ripetersi. Il ‘Miròmondo’ è uno dei più straordinari circhi equestri della fantasia che possa immaginarsi: ognuno ritrova la propria fantasia, i sogni rubati, la poesia che cambia colore su un palcoscenico in cui vanno in scena Mozart e Bach, Van Gogh e Cézanne, rivisitati dall’artista catalano. Favole e misteri, canovacci mutevoli e riti, irrealtà e metafore scanditi da linee che paiono germinare e cantare con un ritmo frenetico, capaci di evocare con forza talvolta struggente. Ecco, è qui il vero ‘segreto’ di Mirò: l’infanzia ‘recuperata’ nella maturità. Quindi, con una presa di coscienza. Un’infanzia resa con colori forti (giallo, rosso, blu, nero, verde-mare, bianco assolato) invasa da uccelli con occhi fatti di matasse di lana, pesci volanti, pappagalli, cuori, minerali, comete, vegetali, coriandoli, stelle filanti. Un gioco? Anche, ma non privo di drammaticità. Guardandosi attorno, ci si accorge di stare in bilico su un mondo surreale”.
E qui mi fermo, anche per non essere accusato di appropriazione indebita. Non certo dall’amico Sebastiano ma da chi è affetto dal vizio, così politicamente corretto, di turarsi le orecchie e pure il naso quando sente nominare la parola circo. Però quella forza del gioco, quella colorazione del gioco così ben descritte nell’articolo del Corriere della Sera, evocano sì o no qualcosa anche in chi si diverte senza vergogna agli spettacoli di circo? Hanno sì o no la capacità di mettere in fibrillazione chi alla pista di segatura si accosta per approdare alle più antiche e più remote radici del divertimento? Posso rispondere per me, e la risposta è sì.
Ruggero Leonardi