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Mimmo Rotella, l’arte strappata dai muri

Pensando a Mimmo Rotella viene naturale immaginarsi immediatamente i celebri manifesti strappati, sua quotata cifra stilistica.
L’artista, nato a Catanzaro nel 1918, sviluppa questa tecnica chiamata décollage (consistente cioè nello “scollamento” di brandelli di manifesti, precedentemente staccati dai muri, riassemblati in uno o più strati) già negli anni ’50, poco prima di vincere la borsa di studio Fullbright Foundation che gli consentirà di fare esperienze artistiche nei fervidi Stati Uniti del periodo, che, tanto per citarne alcuni, vantavano Rauschenberg, Kline, Pollock tra gli artisti attivi.
Sono gli anni delle performance artistiche ma anche del consumismo, delle produzioni industriali di serie, della pubblicità che incita all’acquisto, non importa se di semplici oggetti o di svago a portata di tutti. Le città diventano musei a cielo aperto, se consideriamo il consumismo come una fonte d’ispirazione d’arte popolare. E’ proprio nelle città che Mimmo Rotella cerca “l’illuminazione”, così come ama chiamarla.
Essendosi distaccato dalle tradizionali forme espressive alla ricerca di sperimentazioni fatte di tecniche miste e avendo trovato un suo linguaggio nel binomio sovrapposizione/strappo, Rotella scopre l’arte nella metropoli di tutti i giorni, fa lirismo dello spettacolo pubblicizzato: prende i manifesti e poi, seguendo un proprio impulso artistico, sfoglia (o strappa) brandelli di ciò che era meramente immagine pubblicitaria per renderla icona e opera.
Performance artistica che cela una provocazione leggibile sotto diversi aspetti: dalla labilità dei moderni prodotti che possono essere strappati via in un baleno, all’invettiva che si cela dietro il gesto di uno strappo. Oppure solamente il desiderio di cercare cosa c’è sotto, mostrando come in fondo tutto ritorna e tutto si compenetra.
Non si limita a questi dècollage, ma sperimenterà anche altre tecniche, come il frottage sulle riviste (con particolari solventi i colori tipografici vengono quasi del tutto dissolti rimanendo evanescenti) o come la rivisitazione del dècollage con la quale ricopre di fogli bianchi i manifesti, come a decretare la fine dello “spettacolo” pubblicizzato.
Negli anni ’80 Mimmo Rotella è attivo a Milano, dove rimane fino alla morte avvenuta nel 2006. Mentre nella città di Roma il fil rouge dei suoi strappi è legato al cinema e a Cinecittà, nel capoluogo lombardo si lega alla tematica del circo, in particolare il Circo Orfei che ritorna sovente nei suoi lavori. Scovava e rielaborava i miti e le icone del ‘900, non poteva glissare davanti al circo che ha dato i natali alla stella circense per antonomasia, Moira Orfei. Ma la scelta di Rotella di celebrare l’icona ricade più sul cognome della famiglia, perché infatti i manifesti rivistati sono quelli più tradizionali che raffigurano le tigri, altro leitmotiv insieme alla scelta di un altro mito del ‘900, Marylin Monroe. I lavori relativi al Circo Orfei lo accompagneranno per il resto degli anni trascorsi a Milano: l’ultimo manifesto di ispirazione circense risale a 2004 (due anni prima della sua morte) ed è dedicato a Oscar Orfei. In fondo un altro artista legato alla sempre amata e frequentata tematica circense, come celebri predecessori anche lui esprime stima e passione per quel mondo a parte, ma lo fa adeguandosi allo specchio dei tempi. Senza smettere i panni del performer.
Stefania Ciocca

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