Da ormai sette anni Milano ospita un’interessante iniziativa di respiro internazionale: il Festival Jeune Thèâtre Europèen. Il Festival JTE è il risultato di una rete di incontri e scambi di giovani attraverso il teatro, ha sede centrale a Grenoble, e si prefigge lo scopo di creare un laboratorio di teatro internazionale che abbia uno sguardo sul mondo alla ricerca di bellezza, pace e solidarietà. Il Festival a Milano, ospitato dall’associazione Studio Novecento (anch’essa inserita nello stesso circuito internazionale) offre la possibilità di vedere spettacoli in lingua provenienti da diversi paesi e di partecipare a workshop tenuti dagli stessi artisti e registi. Nel programma di quest’anno è stato dedicato uno spazio allo spettacolo inglese di clownerie, Sick, del regista Martin Danziger.
Il punto di partenza è l’esperienza personale: “Tre anni fa mi ammalai di cancro e passai molto tempo in ospedale. In quel luogo non hai nessuna possibilità di controllo: sono altri a decidere quando ti devi svegliare, cosa devi mangiare, quando devi farlo, che pillole prendere…”.
Questa apatia imposta si è tradotta sulla scena nella storia di un paziente: nel vero senso della parola, dal momento che la pazienza è dote imprescindibile nelle lunghe ore di degenza trascorse nella stanza di un ospedale.
Non c’è solo la biografia a far da sfondo a Sick (realizzato grazie anche alla collaborazione del National Health Service) ma anche la ricerca su campo: “Questo lavoro nasce dall’esito di tutta una serie di workshop che abbiamo condotto con i pazienti sia in ospedale sia nei gruppi di supporto per i malati cancro”.
Martin Danziger non ha scoperto la clownerie in corsia, la praticava già da tempo insieme alla sua attività di attore. Certo, dopo la malattia, nuove esigenze si sono affacciate sul suo cammino: poter raccontare qualcosa che in genere spaventa, la consapevolezza di potersi e doversi rivolgere alla parte non malata dei pazienti, quella che ha ancora voglia di vivere e soprattutto di ridere liberamente. Perché da questo tipo di attività, fatta per dare un attimo di libertà da oppressioni varie, ognuno può ricavarci ciò che meglio può utilizzare, per esempio distrazione, attenzione, nuovi stimoli, anche relax. Un po’ come succede durante lo spettacolo: è emozionante perché accende e rivela tante emozioni, le più varie, dal riso al pianto, sfruttando così al massimo il mezzo teatrale e la capacità espressiva della clownerie.
Le attività si rivolgono soprattutto ai giovani, più duttili e molto più in grado di mettersi in gioco. Si parte da una città, grande, media o piccola: si coinvolgono i ragazzi e si organizzano delle grandi parate. La città è disposta ad inglobare l’avvenimento, presta le strade, gli spazi e le persone che di solito in essa vivono nascoste (chi più, chi meno).
Questa è la ricetta, all’apparenza semplice, di Circomodo: in realtà racchiude in sé forza, fatica, passione, volontà e divertimento: “Bisogna essere abili nel coinvolgere le persone. Per esempio insegniamo loro a usare i trampoli, a giocolare e a giocare con il fuoco: è pericoloso e quindi ai ragazzi piace!”.
La vera sfida si trova però negli esiti, non nell’organizzazione, perché non basta creare un evento che si risolve in una parata multicolore: quel senso di identità o di appartenenza che scaturisce non deve finire con la conclusione di tutto.
Bisogna che qualcuno sia disposto a continuare il lavoro e a diffonderne il valore.
Poco conta l’aspetto artistico, perché per Martin Danziger bisogna ricercare il lato umano: esattamente come non si rivolge ai malati ma alla loro parte ancora “sana”, così agisce nell’ambito di workshop e parate, ricercando cioè non la bravura tecnica o artistica ma il valore vero dell’individuo che può esprimerla.
Stefania Ciocca