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Me ne vado al circo, e gironzolo un po’ sul dietro, finché se ne va il guardiano e così posso strisciare sotto il tendone per non pagare l’ingresso. Ho sempre la mia moneta d’oro da venti dollari e qualche altro spiccio, ma è meglio che faccio economia perché chissà, magari mi possono servire presto, lontano come sono da casa, e tra forestieri. Non si è mai abbastanza prudenti a questo mondo.
Io pur di entrare al circo, sono anche disposto a pagare il biglietto quando proprio non se ne può fare a meno, ma siccome se ne può fare a meno e non mi va di sprecare i soldi, mi infilo sotto il tendone. È un circo di quelli coi fiocchi. È la cosa più splendida che ho mai visto, con tutti che entrano in pista a cavallo, a due a due, ogni cavallerizzo con la sua dama accanto, fianco a fianco, gli uomini in mutande e maglia, senza scarpe né speroni, e stanno in sella eleganti e sicuri colle mani appoggiate sulle cosce – ce ne sono almeno una ventina – e tutte le dame con una carnagione così radiosa, e così meravigliosamente belle, e coll’aspetto proprio di regine, e coi tutù che costano milioni di dollari tanto sono sbrilluccicanti di diamanti. E poi una dopo l’altra si drizzano in piedi sulle selle e volteggiano per la pista morbide e graziose, e gli uomini sono cosi dritti e elastici e alti che quasi sfiorano colla testa il cielo del tendone, e i tutù dì seta rosa tenero delle dame si aprono nella corsa che sembrano tanti ombrelloni.
E poi corrono sempre più veloci, tutti a passo di danza, e alzano prima un piede e poi l’altro, e i cavalli si inclinano sempre di più, e il direttore del circo gira intorno al gran palo centrale e fa schioccare la frusta e grida: «Op-là, op-là!» mentre alle sue spalle un pagliaccio fa delle buffonate. Poi, uno dopo l’altro, tutti mollano le redini e ogni dama appoggia le mani sui fianchi e ogni cavaliere incrocia le braccia e i cavalli fanno un ultimo giro velocissimo, e poi dame e cavalieri saltano giù nella pista e col più delizioso inchino che ho mai visto si ritirano di corsa mentre tutti battono le mani come matti e gli urlano bravo.
Beh, durante tutti i numeri che vengono dopo, quel pagliaccio ne combina tante che la gente si sganascia e rotola quasi dai sedili per le risate. Il direttore non riesce a dire due parole che quello, rapido come il lampo, subito spara un fuoco di fila di battute che ti fanno crepare, e ancora mi domando come faceva, in un momento, a pensarne tante, una più buffa dell’altra. A me, se ci provavo, non mi bastava un anno per inventarne una. A un certo punto un grosso ubriaco cerca di entrare in pista e dice che vuole montare a cavallo, e che non c’è nessuno che sa stare in sella come lui. Quelli del circo cercano di persuaderlo a furia di ragionamenti e di allontanarlo, ma l’ubriaco
non ne vuole sapere e così interrompono lo spettacolo. Allora il pubblico chi lo insulta, chi lo prende in giro, chi gli grida di andarsene e lui si incavola tanto che comincia a strapparsi i vestiti e a imprecare, e alla fine molti spettatori perdono davvero la pazienza, saltano sui sedili, si precipitano nella pista e gridano: «Ma che aspettate a prenderlo a cazzotti! Fuori, buttatelo fuori!» e le mogli di quelli si mettono a urlare per trattenerli. Allora il direttore prega il pubblico di mantenere la calma, e dice che se quel tipo prometteva di non far più confusione, lui lo lasciava cavalcare per vedere se gli riusciva di tenersi in sella. Cosi tutti ridono e dicono che sì, vogliono proprio vedere, e l’ubriaco sale sul cavallo. Ma è appena montato che il cavallo comincia a dar strattoni e a impennarsi e a saltare da tutte le parti, mentre due uomini del circo s’attaccano alla briglia e cercano di trattenerlo, e lui s’aggrappa al collo del cavallo e a ogni sgroppata gli schizzano le gambe per aria e i tacchi gli sbattono uno contro l’altro, e la folla zompa sui sedili, e urla e si tiene la pancia dal ridere.
Alla fine, malgrado gli sforzi dei due che lo tengono per le briglie, il cavallo si libera con uno strattone, e parte come un razzo intorno alla pista con l’ubriaco sempre steso sulla groppa, e abbracciato stretto al collo, che sembra che cada da un momento all’altro tanto gli sbatacchiano le gambe prima da una parte e poi dall’altra mentre corre. Tutti si divertono come matti, solo io non riesco a godermi lo spettacolo perché ho troppa paura per quel poveraccio. Poi, a furia di contorcimenti e di sforzi per rimanere in sella, quello a un tratto salta a cavalcioni e poi si penzola a destra e a sinistra per acchiappare le briglie. Un momento dopo schizza in piedi sulla sella, molla
le briglie e ce la fa, ce la fa, capite, a restare in equilibrio su un cavallo che fila come se ha il fuoco al culo! Calmo e tranquillo lui, come uno che non ha mai toccato un goccio d’alcool in vita sua! Poi comincia a togliersi i vestiti e a sparpagliarli in giro. Se ne toglie tanti e così in fretta, diciassette vestiti si toglie, pensate, che l’aria è tutta piena di stracci, e alla fine appare agile e bello e tutto elegante e dà una gran frustrata al cavallo che corre a più non posso, e poi salta giù, con un balzo e fa un inchino e corre verso il suo camerino, mentre gli spettatori urlano per la sorpresa e battono le mani.
Allora il direttore capisce che è stato preso in giro e mi pare che ha l’aria piuttosto seccata. E dire che l’ubriaco era uno dei suoi cavallerizzi e lui non se n’era accorto! Quel bello scherzo l’aveva pensato tutto da solo, e non aveva fiatato con nessuno! Se mi sentivo stupido io per esserci cascato, figuratevi come si doveva sentire il direttore. Chissà, forse ci sono dei circhi ancora più belli di quello, ma io non ne ho mai visto uno così. A me quel circo lì m’è sembrato meraviglioso, e quando lo ritrovo da qualche altra parte state sicuri che ci torno.

Mark Twain, Le avventure di Huckleberry Finn (Trucchi da circo), 1884