L’essenza delle due discipline è la stessa. Alla base di entrambe c’è il corpo. “Le sensazioni che vengono suscitate non richiedono l’uso della parola”. Marco Martini da anni si occupa di storia dello sport e in particolare del rapporto che lega indissolubilmente l’arte circense e le varie discipline sportive, è socio fondatore dell’Archivio storico dell’atletica italiana ed ha pubblicato saggi e articoli su riviste specializzate. A chi solleva dubbi sulla commistione, ed anzi la parentela stretta, fra questi mondi apparentemente lontani, Martini spiega: “La figura del trapezista si ricollega al sogno di volare, che nello sport ha a che fare con i salti o i tuffi. La figura del giocoliere si ricollega alla destrezza, all’abilità, come per esempio nel tennis tavolo e nel tiro a volo. L’ammaestramento dei felini è quasi un esorcismo contro la paura, un po’ come quegli sport in cui si affrontano elementi diversi da quelli che ci sono naturali, tipo surfing, alpinismo o sport estremi. L’ammaestramento dei cavalli, sia al circo sia nello sport, esalta l’armonia, l’intesa con il diverso. Il giro della morte in motocicletta, il salto del plongeur e altro, sono espressioni di sprezzo del pericolo, come negli sport motoristici o in quelli dove si affrontano discese a precipizio. La possanza fisica di un porteur o di un forzuto del circo, è simile alla esperienza che si vive nel sollevamento pesi o nei lanci”.
Abilità, destrezza, forza, velocità, resistenza, sono tutti attributi del corpo, e agiscono con una loro specificità che sport e circo condividono. Ancora tutto troppo vago? Non c’è problema. In una decina di pagine dense dense, scritte per L’acrobata. Quaderno di studi sulle arti circensi (CUEM), Martini trova similitudini a partire dalla organizzazione dello spazio sportivo e circense, cioè il cerchio.
Si pensi allo stadio o al palazzetto dello sport. E il cerchio di segatura su cui si esibiscono gli artisti del circo viene chiamato pista, come all’interno di uno stadio sportivo. “Il grado di parentela tra le due attività è più forte di quanto non si immagini, e ciò si evidenzia soprattutto nel momento iniziale della storia moderna di circo e sport”, assicura Martini. Non è forse vero che il circo moderno prende forma in quell’anello di 42 piedi di diametro ideato da Philip Astley nel XVIII secolo? Li si svolgevano spettacoli ma anche avvenimenti sportivi veri e propri. “Per nove mesi, nel 1792, Astley scritturò il più forte pugile inglese dell’epoca, Daniel Mendoza. Per dodici sere consecutive si esibì nel suo impianto quello che viene considerato il primo grande podista, l’inglese Foster Powell”. Ma un altro campione scritturato da Astley fu il saltatore Bob Ireland, che nel 1798 proprio nell’anfiteatro del padre del circo saltò in alto 1,93 metri.
Lo sport al circo tocca l’apice nella seconda metà del XIX secolo, per poi scemare per ragioni che Martini individua in modo molto preciso: “Un po’ perché certe prodezze atletiche, viste e riviste, cominciarono a destare via via sempre minor interesse, ma soprattutto perché lo sport si organizzò per conto proprio facendo confluire nel suo ambito esclusivo tutti coloro che vi si volevano dedicare, edificando anche specifici impianti adatti a ospitare i suoi eventi”.
Le strade del circo e dello sport ad un certo punto si dividono, ma l’800 è il secolo che li vede fondersi e convivere in una stessa famiglia. “Gli esempi di ginnasti, schermidori, fantini, cavallerizzi, ciclisti, atleti, pugili, lottatori, che operarono nelle compagnie circensi sono numerosissimi: alcuni vi si trasferirono addirittura in pianta stabile”.
Esempi? “Jules Léotard ed Edoardo Ancillotti, buoni corridori ciclisti (Ancillotti si classificò terzo nella Firenze-Pistoia del 1870), divennero celebrità circensi: Léotard è l’inventore del trapezio volante, Ancillotti dell’applicazione dell’acrobatica da tappeto al biciclo. Basilio Bartoletti, padre della lotta italiana, fu contemporaneamente anche artista e impresario circense, creando anche sue piccole compagnie.
Il pugile inglese Jem Mace, campione del mondo dei pesi massimi, ancora in attività si esibì spesso al Ginnett’s Monstre Circus e, una volta terminata la carriera sportiva, emigrò in Oceania dove agì solo nei circhi”, esemplifica lo storico dello sport.
Sempre nel XIX secolo vennero aperte molte palestre e nacquero diverse società ginnastiche dedite esclusivamente alla formazione di artisti circensi: la Tramagnini a Firenze, la Leotardo (poi Stella Torinese) e la società La Torino nel capoluogo piemontese, la Possenti a Roma. Altre si dedicarono ad entrambi i generi, come la Società Ginnastica Cristoforo Colombo di Genova (da cui uscirono stelle del circo come Bauette e Bezzi), la Società Ginnastica Fratellanza Modena, la Società Ginnastica Forza e Coraggio di Milano (tra i suoi allievi Pavia e Dell’Acqua, poi divenuti in arte «i fratelli Gilbar». Anche il miglior ginnasta italiano di fine Ottocento, Alessandro De Simoni della Forza e Coraggio, svolse un po’ della sua attività nei circhi. Nel Novecento il passaggio da ginnasti ad acrobati è proseguito, anche se si è poi interrotto. “In Italia i fratelli Vittorio, Leone e Bruno Marcantoni, campioncini dell’Unione Ginnastica Trento, abbandonarono lo sport e debuttarono nel circo Simili, per poi approdare dopo la prima guerra mondiale ai grandi circhi (Barnum, Bush, Kludsky, Gleich e altri).
L’ultimo esempio è quello di Aleksandr Safoshkin, campione europeo agli anelli nel 2006 e stella del Circo di Mosca”. Ma anche quella dei saltatori (da circa mezzo secolo scomparsa dai circhi) fu una categoria condivisa. L’inglese John Higgins, definito giustamente il re dei saltatori, nel 1889, dopo vittoriose sfide locali ed una esibizione di successo nel circo della sua città natale – Blackburn, Gran Bretagna – abbandonò il suo lavoro di filatore in un opificio per dedicarsi interamente e da professionista, ai salti. La casistica è lunga e le storie ormai ingiallite sono davvero avvincenti. “Nelle arene sportive ci si cimentava in vari tipi di salti, da fermo o con rincorsa, in alto o in lungo. Nei varietà e nei circhi si saltavano cavalli, carrozze, tavoli con sopra delle sedie, barili posti l’uno al fianco dell’altro. L’ultimo grande saltatore circense italiano fu Paolo Orfei, padre del famoso domatore Orlando, che nel 1909 saltò addirittura un treno in corsa”.
Ma Marco Martini è riuscito a documentare anche un’altra questione poco nota ai più. Negli spettacoli circensi dell’Ottocento si trovano già ben delineati alcuni dei motivi che diverranno poi prerogativa dello sport, quando questo diventerà fenomeno di più vasta portata. “Uno è il patriottismo: su ogni palcoscenico di varietà ed in ogni pista di circo si potevano trovare degli atleti che usavano la forza bruta per spettacolarizzare le proprie esibizioni. Ciò accadeva anche perché la forza e la possanza fisica erano caratteri tipici del nazionalismo”. Su questo erano imperniati gli ippodrammi militari storici in scena già prima del 1830 al Cirque Olimpique dei Franconi, giusto per citarne uno. “Quando il celebre artista circense romano Basilio Bartoletti sconfisse a Milano in un incontro di lotta, nell’aprile del 1886, il gigante (2 metri di altezza per 115 kg di peso) della Baviera Michael Graff, «scoppiò
sul palcoscenico un fanatismo indescrivibile. La vittoria di Bartoletti era la vittoria dell’Italia; la sconfitta del bavarese era la sconfitta dello straniero», si legge nelle cronache dell’epoca”.
Il secondo elemento è ancora più inatteso: l’emancipazione femminile, che nei circhi arrivò in anticipo insieme all’abbattimento della distanza tra classi sociali. “Quest’ultimo fu quasi un gioco-forza causato dal tipo di strutture che spesso ospitavano i circhi nel XIX secolo: oltre ai primi chapiteaux, spesso gli spettacoli si tenevano in sferisteri, arene, anfiteatri, campi con tribunette improvvisate, tutti luoghi in cui era difficile allestire palchi riservati all’aristocrazia. E se appare ovvio che il popolino potesse amare quel tipo di spettacolo, la lettura delle cronache dell’epoca ci rivela una sorprendente e costante presenza anche di borghesia e aristocrazia”. Duchi, principi, marchesi e ufficiali si mischiavano agli spettacoli con la gente comune.
Si diceva della emancipazione. E in effetti la storia lo conferma. “Molto tempo prima che nell’arengo sportivo le ragazze scoprissero le gambe, le artiste dell’arena circense già vestivano panni da ginnaste moderne. Fu questo, nell’Ottocento, il motivo del maggior successo di cavallerizze e acrobate nei confronti dei colleghi del sesso forte”. L’inglesina miss Zaeo (bravissima ma davvero poco avvenente), mandava in escandescenza i suoi ammiratori anche per le sue ridotte nudità. Ecco un articolo di quei giorni: «Il fanatismo destato nella scorsa stagione al Corea dalle sorelle Vaidis è stato superato ieri sera da quello che accolse all’Alhambra la ginnasta miss Emma Jutau, venuta anch’essa come le Vaidis dall’America. La Jutau è una giovine di aspetto bellissimo, di forme che avrebbero fatto innamorare un Fidia o un Canova, dalla chioma bionda come oro”. E chi era a conoscenza che le prime riunioni di atletica leggera femminile organizzate secondo criteri moderni furono allestite negli anni 1890-91 in Irlanda dal circo Hengler? “Con il loro modo di vestire pratico e ridotto allo stretto necessario, le artiste dell’anello di segatura aprirono una via, poi abbracciata anche dallo sport, che superava le inibizioni sociali”, commenta Martini.
C’è un ultimo minimo comune denominatore fra circo e sport, ed è la grande popolarità e la divinizzazione dei miti sportivi. “Gli artisti del circo si cimentano in esercizi «che li rendono vicini alla Divinità; per questo motivo il circo diviene inconsapevolmente un rituale di massa, e l’enfasi che la stampa ha sempre dato ai più disparati incidenti lo conferma», ha scritto Antonio Giarola sulla rivista Circo. Non è quello che oggi succede agli «Dei degli stadi», che catalizzano l’interesse dei mezzi di comunicazione e di milioni di amanti del calcio? “La storiografia sportiva ha raramente riservato il dovuto spazio al circo nell’approfondire gli elementi che hanno svolto importanti ruoli nella sua genesi”, conclude Martini. “È una lacuna che future approfondite ricerche e accorti lavori di sintesi potranno sicuramente colmare, su qualsiasi piano si voglia indagare: storico, sociologico, ontologico”.