di Claudio Monti
Nella prima parte dell’intervista a Livio Togni, pubblicata ieri, fra i temi trattati anche quelli che riguardano nuove regole per i circhi italiani. Riprendiamo proprio da qui, da un argomento che Livio Togni ha affrontato da vicino durante la sua esperienza parlamentare, quando è stato promotore di un disegno di legge sul circo.
“Ritengo che il circo in Italia abbia urgentemente bisogno di dotarsi di una nuova normativa, e da questo punto di vista uno dei capisaldi dovrebbe essere una netta differenziazione tra i modi di fare circo, tenendo conto del ruolo storico, dell’apporto culturale, della originalità dei progetti ed altro. Per questo avevo proposto nella tredicesima legislatura un disegno di legge che prevedesse quattro categorie: i circhi equestri di tradizione, i circhi di interesse nazionale, i circhi di ricerca e sperimentazione e i circhi regionali.
Cosa pensa della legge quadro per lo spettacolo da vivo così come risulta dall’ultimo testo unificato delle diverse proposte di legge, che recepisce anche le sue proposte?
Penso sia un buon punto d’approdo. L’ipotesi iniziale, che prevedeva “agevolazioni fiscali in favore delle compagnie e delle attività circensi che non prevedono la partecipazione e l’esibizione di animali, nonché per la trasformazione dei circhi equestri in circhi senza animali”, era semplicemente inaccettabile e giustamente è stata cancellata.
Il futuro del circo in italia è dunque sinonimo di circo tradizionale?
Il futuro sta in una diversificazione ma io credo che il circo tradizionale vedrà la fine del Cirque du Soleil. Il circo tradizionale è qualcosa di fuori dal tempo, esprime valori, suggestioni, identità uniche, un tipo di unità produttiva familiare che non si trova più altrove. E in questo contesto gli animali sono determinanti: gli esperimenti fatti in Italia da parte di circhi che hanno tentato qualcosa di diverso sono stati negativi. Se si tolgono gli animali non è più la stessa cosa, il circo perde qualcosa di essenziale. Le novità vanno bene e a volte sono utili, ma la tradizione correttamente intesa è innovazione e la nostra carta vincente è essere sempre uguali per essere davvero diversi da tutto il resto. Questo però non deve significare l’omologazione al ribasso.
E in che modo il rischio può essere evitato?
Puntando sulle identità. Ogni circo dovrebbe avere la sua personalità, non possiamo permetterci di diventare uguali l’uno all’altro e per una ragione molto semplice: i circhi non passano nelle città una volta ogni tre o quattro anni, ma ogni due mesi e dunque se sono tutti uguali è finita.
E i circhi piccoli, quelli a gestione familiare, che prospettiva hanno?
Il circo piccolo può avere uno spazio di manovra immenso, molto più di quelli grandi, a patto però che decida di non scimmiottare i grandi ed anzi scelga la strada della modestia, dello spettacolo piccolo ma dignitoso, facendo emergere la peculiarità della singola famiglia. A me piace parlare dei “circhi giostrine” che, così concepiti, avrebbero un futuro e potrebbero vivere dignitosamente. Sicuramente i complessi piccoli che usano tattiche da grandi, che promettono ciò che non possono mantenere, magari nell’immediato possono trarne un beneficio, ma a lungo andare danneggiano loro stessi e tutta la categoria.
Come la mettiamo con gli animalisti? Ritiene percorribile la strada di continuare col muro contro muro?
L’obiettivo del circo deve essere quello di sfondare il muro e, mi creda, non occorre nessuna forzatura, basterebbe portare allo scoperto i loro bilanci, ormai miliardari, i loro statuti… Si scoprirebbe in diversi casi che la cura degli animali non rientra nelle loro finalità se non in modo marginalissimo.
Sembrerebbe un clamoroso paradosso.
Eppure è così, da anni raccolgo materiale e documentazione al riguardo. L’animalismo organizzato è diventata una lobby potentissima, che gestisce montagne di denaro, che condiziona la politica e i mezzi di informazione. In America la verità sta venendo a galla perché giornali non influenzati dalla lobby animalista si sono messi a indagare. E’ così emerso sul New York Post che la Peta, una delle maggiori organizzazioni animaliste del mondo e che gestisce milioni di dollari ogni anno, avrebbe ucciso il 95 per cento dei cani e dei gatti che ospitava nel suo rifugio per animali di Norfolk, in Virginia. Il New Yor Post ha ribattezzato Peta “People Eradicating Thousands of Animals”, cioè persone che eliminano migliaia di animali.
Non è curioso che le fila dell’animalismo in parlamento siano cresciute tantissimo nell’area del centrodestra?
Non mi stupisco più di tanto. La classe politica è ormai sensibile solo ai voti e purtroppo quella italiana non brilla, anzi registro un impoverimento preoccupante: la priorità è diventata quella di perpetuare il proprio potere e non di affermare dei valori e una visione positivi per la società italiana a costo di andare controcorrente.
Durante la sua esperienza di senatore, eletto con Rifondazione comunista e poi passato al Grupo misto, le sarà capitato di parlare del circo con i suoi colleghi: che giudizi ha raccolto?
Quasi nessuno sa cosa sia il circo, tutti si stupiscono di come faccia a sopravvivere. Ai politici il circo non sta antipatico ma per loro è ininfluente, del resto non muove masse di voti.
Eppure Fausto Bertinotti l’ha messa in lista, è normale immaginare che l’abbia fatto pensando anche ai voti che Livio Togni avrebbe raccolto anche nel mondo del circo.
Di Bertinotti conservo un ottimo giudizio, è una persona coerente e rispettosa, un galantuomo, ma il circo era l’ultimo dei suoi pensieri. Sono stato candidato in un collegio nel quale il partito raccoglieva pochi consensi mentre io ho fatto manbassa, sono stato il senatore di Rifondazione più votato d’Italia: 12.326 preferenze, mettendo insieme quasi il doppio dei consensi che il Prc aveva in precedenza nel collegio 12.
I senatori coi quali ha familiarizzato di più sui temi del circo?
Col senatore Gianni Agnelli ho parlato spesso di circo, era molto curioso di conoscere i segreti dell’ammaestramento, la vita degli animali e del circo in generale. Così come con Giulio Andreotti il rapporto è stato ottimo. Ho una sua lettera di saluto che mi scrisse al termine del mio mandato, che conservo con molto affetto. Mi diceva: “Ci mancherai…”
Fra meno di un anno si tornerà a votare, non è che sta pensando ad un ritorno?
Per il momento ho altro a cui pensare, mandare avanti Darix Togni e Florilegio è qualcosa che impegna le mie giornate 24 ore su 24.
Non mi dica che non ha ricevuto nessun abboccamento…
In effetti qualcosa sì… ma niente di definitivo. Non le nascondo che davanti ad una proposta seria la valuterei.
2-Fine