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Le famiglie di circo classico negli anni della guerra

di Alessandra Litta Modignani

Alessandra Litta Modignani è un’attenta ricercatrice che ha raccolto le testimonianze di diversi esponenti delle più importanti famiglie circensi italiane. Qui riporta le storie di queste dinastie legate ai tempi bellici. Non solo del secondo conflitto mondiale, ma anche della Grande Guerra e risalenti persino al periodo precedente. Dimostrando che da sempre i circensi portano avanti la loro arte anche nei momenti più bui, uscendone vincitori.

Canestrelli Oreste foto famiglia. 1922

Nel 2010 ebbi l’occasione di fare una crociera sul Dnepr in Ucraina, partendo da Kiev, visitando vari paesi e villaggi lungo il fiume, passando anche dalla Crimea (Sebastopoli e Jalta), arrivando infine a Odessa. Durante la vista guidata nel centro storico di Kiev la nostra guida ci raccontò: “La barbarie qui da noi è iniziata con Gengis Kahn (che rase al suolo la città nel XII secolo) ed è finita nel 1989 con il crollo del muro di Berlino”. Non poteva certo immaginare che la “barbarie” sarebbe ben presto ritornata, in forme ancora peggiori. Oggi nel 2022 la guerra è in Ucraina, alle porte dell’Europa; tutti i giorni vediamo reportage in diretta che ci raccontano cosa sta accadendo. Diversi paesi e villaggi che ho visitato durante quella crociera sono stati distrutti; immagini terribili che ricordano gli orrori delle due guerre mondiali durante le quali anche famiglie circensi italiane si sono trovate ad affrontare enormi difficoltà. Durante i miei anni di ricerca “sul campo”, come molti sanno, il mio principale obiettivo era la ricostruzione degli alberi genealogici, ma naturalmente durante le interviste diverse persone più anziane mi hanno raccontato come hanno vissuto la guerra. A questo proposito è opportuno ricordare come la maggior parte delle famiglie circensi si siano formate alla fine dell’Ottocento e di conseguenza abbiano subito diversi eventi bellici, non soltanto le due guerre mondiali. In questo senso il ricordo forse più antico dell’esperienza bellica riguarda Giovanni De Banchi (1834-1932) piemontese di nascita. Nel 1858 si arruola a Cuneo nei Cacciatori delle Alpi come caporale (brigata di volontari, agli ordini di Giuseppe Garibaldi, che combatté una campagna di liberazione nella Lombardia settentrionale nel corso della Seconda guerra d’indipendenza italiana contro l’esercito imperiale austriaco). Un’esperienza traumatica che non ha impedito a Giovanni di aprire (diciassette anni dopo) il Circo Torinese. Molte famiglie dopo la Prima o la Seconda guerra mondiale emigrano all’estero in cerca di fortuna, non solo in Europa, anche in America: alcune vi rimasero definitivamente, altre rientrarono in Italia. Ho notizia di due artisti, meno fortunati, che sono morti durante la Seconda guerra mondiale a seguito di un bombardamento: Brunone Bogino a Torino e Gaetano Onorato deceduto nel 1942 a Cosenza dove lavorava presso il Circo Travaglia; Amelia Travaglia e il nipote Riccardo Pussi Zoppis rimasero feriti. Quello che mi ha profondamente colpito è l’intraprendenza di alcuni personaggi, sia donne che uomini, che ricominciarono la propria attività di artisti, di imprenditori, di genitori, durante e dopo grandi avversità. Anche la pandemia da Covid-19 non ancora finita ha “costretto” molti circensi a scelte drastiche, come ad esempio chiudere il circo e cambiare totalmente attività. Nell’economia del presente articolo non è possibile raccontare in maniera esaustiva le storie di tutti; ci limiteremo quindi ad un sintetico elenco dei fatti più significativi venuti alla luce durante le mie interviste assieme ad altri desunti dai racconti di Fiorenza Colombo, Gilberto Zavatta ed Egidio Palmiri per la serie cinematografica Il circo della memoria


Famiglia Arata. Il Circo Tea Arata riesce miracolosamente a rimanere attivo fino al 1943, poi tutta la famiglia è costretta a fermarsi. A conflitto finito il circo riapre, ma per breve tempo. Una parte della famiglia (Guido e i suoi figli Anna, Vittorio e Francesco Billy) vengono ingaggiati in America, dove vivono ancor oggi i discendenti.

Famiglia Canestrelli. Oreste Canestrelli, già attivo con il suo circo in Sud Italia, durante la Seconda guerra mondiale si ferma, dal momento che diversi uomini vengono richiamati alle armi. Il nipote Gino che era andato in America con il suo numero di washington torna prima del secondo conflitto mondiale. A guerra finita non riaprono il circo ma girano come artisti.

Famiglia Carletti. Durante la Seconda guerra mondiale Gaetano Carletti e la moglie Ines Zamperla gestiscono un cinema ambulante muovendosi fra Veneto e Friuli fino ai confini con la Jugoslavia. Come avremo modo di vedere, si trattava di uno svago garantito.

Famiglia Castagnoli. La famiglia Castagnoli durante la Prima guerra mondiale si ferma ed il maestro Egidio Porzio insegna ai ragazzi le basi dell’acrobatica, che serviranno ai fratelli Cesare, Clemente e Celeste (con Alberto Bricherasio) per montare il bel numero comico acrobatico del tavolo che porteranno fino in Inghilterra.

Famiglia Jarz. Joseph Jarz, nato il 28 febbraio 1872, è un fermo di Varaždin, oggi città della Croazia, situata vicino al fiume Drava. Dà vita ad una numerosa dinastia diventata poi italiana in seguito al matrimonio con Cesira Togni. Nel 1910 aprono un circo che però durante la Prima guerra mondiale sono costretti a chiudere. Tutta la famiglia si ferma quindi a Frosinone. Joseph deve abbandonare per questo periodo tutti i suoi numeri di volante e cavallerizzo alla volteggia. Subito dopo la guerra riprende il numero di volanti con il quale diventa particolarmente abile e rinomato. Purtroppo, nel 1938 muore. Anche i suoi discendenti riprendono l’attività subito dopo la Prima guerra mondiale e la portano avanti fino al conflitto successivo. La discendenza è tutt’ora in circo.

Elena Fratellini


Le tre testimonianze che seguono (Colombo, Zavatta e Palmiri) sono tratte dalla già citata serie Il circo della memoria. Interviste filmate in tre occasioni diverse nel 2009, supportate da un importante apparato iconografico. Fiorenza Colombo. “Sono nata in Russia – che adesso è Polonia – perché con la guerra è successo di tutto. Il circo (Proserpi, ndr) scappava perché c’era la rivoluzione di Lenin. Io sono nata nel 1923 ma la rivoluzione è cominciata nel 1917 […] durante i tempi degli Zar si lavorava bene, era l’America per gli artisti”.
A questo punto potrebbe essere lecita una domanda: come mai nel lontano 1923, alla nascita di Fiorenza, la sua famiglia si trova in remote regioni della Russia? La risposta va ricercata nell’intraprendenza del bisnonno Gustavo Fratellini e di sua moglie Anna Giovanna Pillari, che scelgono una vita girovaga da artisti che li fa arrivare in Russia, dove rimangono con i discendenti fino alla rivoluzione bolscevica del 1917, quando sono costretti a scappare rifugiandosi in Belgio. A Bruxelles, Fiorenza, assieme a fratelli e cugini studia musica, canto e ginnastica.

1925 circa, le sorelle Violetta Elena e Fanny Arata in posa in costume

Famiglia Zavatta. Un altro esempio interessante di vita girovaga di inizio Ottocento si deve a Riccardo Zavatta, addestratore, ma soprattutto cavallerizzo al jockey; porta gli spettacoli in varie località dell’Impero austro-ungarico, da Bregenz in Austria fino a Lindau in Germania passando poi in Bosnia Erzegovina e Montenegro. Presenta lo spettacolo anche ai nobili dell’epoca come Ferdinando IV Granduca di Toscana e sua moglie Arciduchessa Alice2. Anche Oreste (1870) detto “Arturo”, figlio di Riccardo Zavatta (nonno di Gilberto) parte da Trieste e va in Bosnia a Spalato. Nel 1942, in pieno conflitto bellico, il Circo Zavatta si trova a Verona. Per invogliare e distrarre il pubblico, per cercare di lavorare, bisogna farsi venire in mente una buona idea. L’illuminazione viene al nonno di Gilberto, Oreste, che scrive al pugile campione del mondo Primo Carnera per invitarlo ad esibirsi in circo. Carnera accetta e chiede 3.000 lire (invece del suo consueto compenso di 5.000) perché a Sequals (Friuli), suo paese d’origine, il Circo Zavatta era sempre di passaggio e lui da bambino si recava a vederlo. Lo spettacolo è un grande successo ma tutto l’incasso del circo servirà a pagare Carnera. Nel 1944, sempre in pieno conflitto, a Padova viene a mancare Oreste. Gilberto e tutta la sua famiglia sono fermi da undici mesi a Vigonovo, un piccolo paese in provincia di Padova, dove ogni notte sentono sorvolare l’aereo inglese Pippo che mitraglia tutto ciò che vede illuminato. Dopo questo lungo periodo “buio” finalmente finisce la guerra; sono tutti stremati, ma bisogna darsi da fare. Uno zio si reca a Padova e ottiene la grande piazza per la fiera. Gilberto è un ragazzino di tredici anni, ma i ricordi sono indelebili. Quando la compagnia arriva nel piazzale e apre il tendone (che era rimasto nascosto sottoterra per preservarlo dalle requisizioni dei soldati tedeschi) trovano la tela marcita e tutta piena di buchi, ma non hanno altra scelta che erigere quello che rimane del vecchio chapiteau a brandelli. Anche il pubblico ha pochissime disponibilità ma tanta voglia di divertirsi e distrarsi. Un’altra caratteristica di questo periodo storico era la recita della “farsa”, molto in voga quando c’era bisogno di svago e distrazioni dalle guerre appena passate. Lo spettacolo con i numeri degli artisti non si poteva cambiare ogni giorno, mentre la farsa si svolgeva a puntate, proprio per permettere al pubblico di venire più volte di seguito, anche grazie ai prezzi molto bassi. Avendo un gruppo comico, la famiglia Zavatta lavorava sempre in questo tipo di farse.

Famiglia Gottani. Negli anni della Prima guerra mondiale i Gottani si trovano in Russia (assieme alla famiglia Truzzi) nel pieno della rivoluzione bolscevica. Entrambe le famiglie, quindi, scappano e ritornano in Italia. Nel 1929 i Gottani aprono un loro circo e riescono a lavorare fino al 1945, in piena Seconda guerra mondiale, presentando i loro spettacoli a Milano, Vigevano, Mortara, fino a Torino. Rimangono anche quindici giorni di seguito nella stessa piazza rappresentando ogni sera una farsa.

Giovanni ed Egidio Palmiri, aereolite

Famiglia Palmiri. Un altro esempio importante è l’esperienza fatta durante tutti gli anni della Seconda guerra mondiale da Egidio Palmiri (1923- 2020) e suo fratello Giovanni (1904-1949). Ma facciamo un salto indietro, alla Grande Guerra, con il papà Angelo Palmiri (1875-1949) che con la sua famiglia è costretto a fermarsi a Milano diventando il guardiano notturno di un deposito. Angelo di notte lavora e di giorno si preoccupa di insegnare le basi dell’acrobazia ai figli. Non ci sono ricordi dolorosi in questo periodo in quanto nessuno dei figli, essendo piccoli, finisce al fronte; in più hanno un piccolo orto da coltivare quindi la vita prosegue fino a quando finisce la guerra e aprono il Circo Olimpico. Anche in questa famiglia a fine spettacolo era in uso la tradizione della recita della farsa. Nel 1938 la famiglia accetta un ingaggio in Germania presso il Circo Kreiser Barum con il numero del mulino della morte (aereolite) e il numero della moto (su pedana circolare, posta ad una certa altezza, è posizionata una moto guidata da un artista – Giovanni – dalla parte opposta gli agili – le sorelle o la moglie – agganciati a dei trapezi eseguono evoluzioni). Giovanni e le tre sorelle (Eleonora Rina, Ines e Savina) hanno grande successo, ma Ines e Savina fanno scelte diverse e così Giovanni si vede costretto a chiamare il fratello più piccolo Egidio, che era fermo in Italia a studiare. A quei tempi non ci si faceva tante domande: Giovanni era il fratello maggiore di 19 anni e – racconta Egidio – quando gli propone di entrare a far parte dello spettacolo “non ci ho pensato neanche un attimo”. La direzione del circo è disposta ad aspettare tutto il tempo necessario per permettere al fratello minore di organizzarsi per i documenti e i permessi. Un anno dopo, nel 1939, la Germania invade la Polonia e Mussolini, nonostante abbia sancito l’alleanza con i tedeschi, dichiara la non belligeranza italiana. Da novembre a marzo i circhi tedeschi chiudono e in quel periodo i fratelli accettano gli ingaggi in edifici stabili o nei music-hall. Nel frattempo, Egidio impara bene la lingua tedesca che rappresenta un indubbio vantaggio nei rapporti quotidiani con i soldati. Sappiamo per certo che Giovanni non riusciva a lavorare sotto un tendone a soli 10 metri di altezza e così “trasporta” le sue performance all’aperto, riuscendo ad esibirsi fino a parecchi metri dal suolo. Spettacolo assicurato, ma anche enormi rischi che puntualmente arrivano. I Palmiri pagano prezzi altissimi in vite umane: Giovanni muore il 30 giugno 1949, sua sorella Rina a Gorizia nel 1951. Inutile fare ragionamenti e considerazioni sulla “spericolatezza” dei Palmiri, oggi dopo così tanti anni. In ogni caso Giovanni durante i difficili momenti della guerra in Germania fa un voto: “Se torniamo a casa tutti, porto un mazzo di fiori alla Madonninadel Duomo di Milano, ma non dal basso bensì dall’alto”. Così il 17 agosto 1947, alle ore 12, aggancia un trapezio all’esterno sotto le ali di un aereo bimotore; mentre il pilota guida il velivolo, Giovanni cammina sulle ali a piedi nudi, raggiunge il trapezio posizionandosi a testa in giù e lancia il mazzo di fiori sulla cupola del Duomo dando seguito al voto in questa maniera spettacolare. Anche Egidio, che non si può definire “cauto”, ha commentato che questa mossa di Giovanni è stata piuttosto “imprudente”. Nel 1940 avviene il primo grave incidente: durante il numero dell’aereolite Giovanni precipita al suolo procurandosi diverse fratture in tutto il corpo che lo costringono a letto per una ventina di giorni. Così Egidio fa di necessità virtù: chiama Evelina (figlia maggiore di Giovanni) che a tredici anni inizia a lavorare con lo zio. Inoltre, Egidio guida da una città all’altra senza patente, ma tiene fede agli impegni presi. Nel frattempo, l’Italia, a fianco della Germania, dichiara guerra a Francia e Inghilterra. Nel 1941 l’esercito tedesco è alle porte di Mosca a Pietroburgo. Per intrattenere i tedeschi nelle retrovie vengono organizzati degli spettacoli con artisti italiani (eravamo ancora alleati…). I fratelli Palmiri con il numero dell’aereolite vengono mandati in Lettonia e si esibiscono per distrarre le truppe. Nelle vicinanze vedono anche un grande capannone che ospitava una scuola di circo. Egidio, incuriosito, la visita e rimane molto colpito: in nessuna città italiana c’è una realtà simile. Così inizia a pensare di aprire una scuola di circo anche nel nostro paese, progetto che realizzerà finalmente nel 1988… ma questa è un’altra storia.

Articolo tratto dal nono numero speciale della rivista Circo – Fiori dal cielo estate 2022