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La zampata del Circo: 50 anni di animali sulle piste d’Italia

di Francesco Mocellin

La sensibilità degli spettatori rispetto alla presenza degli animali nei circhi è aumentata negli anni in maniera esponenziale. Di pari passo, o addirittura spesso anticipando i tempi, i circensi hanno modificato l’attenzione data alla stabulazione e alla cura degli esemplari presenti nei loro serragli viaggianti, l’estetica di presentazione in pista e le tecniche di ammaestramento. Lo racconta in maniera sintetica ma esemplare Francesco Mocellin, proiettando l’arte del dressage nel futuro dello spettacolo dal vivo.

Potrebbe quasi assumere i contorni di un paradosso dal sapore beffardo occuparsi di animali e addestratori in Italia proprio in questo frangente. Solo poco tempo fa, infatti, è stato approvato dal Parlamento il c.d. Codice dello Spettacolo che fin dalla sua gestazione – come DdL Franceschini – aveva riservato al circo una lettera (la“h”) di un comma (il 4) in un articolo (il 36) del Titolo III. Ovvero, si prevedeva la “revisione delle disposizioni in tema di attività circensi, specificatamente finalizzate alla graduale eliminazione dell’utilizzo degli animali nello svolgimento delle stesse”. Null’altro che questo: nessuna progettualità circa il futuro del circo classico e contemporaneo ma una mera dichiarazione di volontà volta a vietare, limitare, proibire. Della questione, su queste pagine e non solo, si è ampiamente parlato. La caparbietà dell’Ente Nazionale Circhi e del suo presidente Antonio Buccioni hanno fatto sì che l’originaria formulazione assumesse toni meno netti, nonostante le pressioni costanti delle associazioni animaliste, davvero magistrali nell’organizzazione e manipolazione del consenso. Alla fine, la legge approvata dai due rami del Parlamento parla semplicemente di “graduale superamento” che, ad oggi, sotto il profilo pratico significa poco o nulla: con tale allocuzione il Governo è riuscito a scontentare tutti con l’intento di non scontentare (troppo) nessuno. Quello che rimane di questa vicenda è il disprezzo sostanziale da parte delle istituzioni verso le arti circensi nel loro complesso – neppure ritenute degne di un approccio propositivo e di impulso anziché meramente limitativo – e una chiara delegittimazione delle discipline dell’addestramento. Proprio quest’ultimo aspetto qui ci interessa perché facciamo fatica a pensare ad un futuro in cui l’addestramento degli animali sia bandito praticamente solo dal circo per continuare a manifestarsi in svariate altre forme e situazioni, senza contare tutte le tipologie di detenzione di animali a scopi commerciali davvero incommensurabilmente lontane dagli standard di qualità delle imprese circensi attuali. Si tratterebbe di un paradosso difficilmente accettabile anche in Italia, paese dei paradossi per definizione. Peraltro, il realismo ci impone un cauto pessimismo visto che in troppi campi dell’agire umano stiamo assistendo ad un a sorta di autostrangolamento dell’Occidente, sempre più timoroso e codardo, capace di ogni concessione alle ipocrisie seriali del neoconformismo radical chic.

In un manifesto del Radio Circus francese, Luigi Gerardi coi suoi otto “leoni selvaggi”

Eccellenze italiane
In effetti proprio il nostro paese ha espresso ed esprime diverse eccellenze nel campo del dressage declinato in tutte le sue articolazioni e, soprattutto, ha mostrato uno stile peculiare nell’approccio artistico che ha caratterizzato specialmente gli anni del dopoguerra. In quel periodo le conoscenze etologiche e lo studio del comportamento degli animali erano in fase embrionale e sulle piste dei circhi le attenzioni si concentravano sulla capacità di insegnare esercizi via via più complessi e di mostrare gli esemplari addestrati impegnati in virtuosismi di varia natura. D’altro canto, i protagonisti assoluti erano le figure dei domatori – con particolare riferimento a quelli che si occupavano delle belve – che si stagliavano spesso come delle vere e proprie star e pure come una sorta di eroi senza paura nell’immaginario collettivo.

Orlando Orfei

Tra gli anni ’50 e ’70 si affermano, infatti, una serie di addestratori che basano principalmente sulla personalità assai marcata e sulla presenza scenica il loro successo; ricordiamo tra tutti Luigi ed Amedeo Gerardi ma soprattutto Orlando Orfei e Darix Togni: istrionico come un attore di teatro il primo e vero e proprio gladiatore il secondo, entrambi capaci di colpire l’immaginazione dello spettatore desideroso di forti emozioni. Successivamente sarà il nipote di Orlando, Nando Orfei, a fregiarsi dell’appellativo di “Domatore della televisione italiana” testimoniando la capacità di conquistare spazio nei media da parte di questa tipologia di artisti.

Il leggendario Darix Togni nel suo numero vestito da gladiatore

Questi sono anche gli anni delle espressioni di potenza con l’esibizione di grandi gruppi di animali presentati talvolta sulle tre piste come nel caso del complesso di Liana, Nando e Rinaldo Orfei e del Circo Americano dove ricordiamo gli imponenti ensemble di cavalli ed elefanti mandati da Bruno e Willy Togni (il primo protagonista anche in gabbia dove per qualche anno passò il fratello Enis). Si tratta di una fase di grande sviluppo per il circo italiano che vede diverse imprese, anche di dimensioni minori, arricchirsi di un notevole parco zoologico cui faceva da controcanto la presenza di uno o più addestratori. Gli anni ’60 e ’70 si caratterizzano anche per una certa tendenza – peraltro generalizzata in tutto il Circo occidentale e pure in quello russo – a favorire un’estetica che umanizzava gli animali: emblematiche le presentazioni dei primati come gli scimpanzé che vengono abbigliati di tutto punto e che riproducono nei numeri le azioni degli umani solitamente con finalità comiche. In questo settore ricordiamo Elio Jarz, Flavio Miletti, Elio Bizzarro, Lucio Rossi che addirittura presentava un numero di scimpanzé pattinatori sulla pista di ghiaccio di Moira Orfei.

L’indimenticabile Walter Nones

La dolcezza vince
Nei successivi anni ’80 e ’90 assistiamo ad un progressivo affermarsi delle scienze etologiche e all’accentuarsi delle giuste attenzioni verso il benessere dell’animale che si ripercuotono anche sulla tipologia delle performance in pista. In questa fase modalità estetiche e tecniche di dressage vengono rimodellate anche profondamente in funzione dell’accresciuta sensibilità dello spettatore cosicché l’approccio dell’addestratore diviene ancor più evidentemente quello dell’animale alfa nel branco ed il lavoro principale consiste nel farsi accettare all’interno del gruppo e delle gerarchie. Le performance sono volte sempre più a valorizzare le naturali attitudini dei diversi esemplari. Una sorta di trait d’union con l’epoca precedente può essere individuata nella figura di Walter Nones che coniugava un naturale carisma nei confronti dello spettatore ad una presentazione sostanzialmente soft, sempre in bilico tra controllo ed amicizia verso gli animali.

Gilda Vulcanelli, una delle poche donne in gabbia della sua generazione

Negli anni ’80 ricordiamo pure una delle pochissime donne in gabbia (se non l’unica), Gilda Vulcanelli, e le figure di Lucio Zamperla, Roberto Bellucci ed in seguito di suo fratello Mario, eccellente addestratore di pachidermi e di gruppi esotici tutt’ora in attività. Il fratello di Walter, Massimiliano (Giuseppe) Nones conquisterà nel 1987 il primo trionfale Clown d’oro italiano al Festival di Monte Carlo con uno straordinario gruppo di dodici tigri, fulgido esempio di tecnica e di presentazione moderna. Quella è stata anche la prima volta in cui il massimo riconoscimento veniva attribuito ad un numero di gabbia. Ben due Clown d’oro sono stati attribuiti – nel 1996 e nel 2007 – alla famiglia Casartelli, da sempre famosa per le sue presentazioni collettive in cui il contributo di ciascun componente del numerosissimo nucleo familiare assume adeguato rilievo nel contesto. Nel primo caso si sono cimentati in una fortunata combinazione di tutte le discipline equestri denominata La festa del Cavallo mentre nel 2007 è stata la volta di una vera e propria pantomima dedicata ad Aladino che ha permesso l’introduzione del superbo gruppo esotico e degli elefanti. Oggi cavalli ed elefanti sono di competenza di Braian con la supervisione degli zii Heros e Davio.

Flavio Togni, l’artista più premiato al Festival del Principato di Monaco

Gli anni ’90 ed il terzo millennio consacrano definitivamente – ove ve ne fosse stato bisogno – due personaggi che non necessitano di presentazioni, entrambi caratterizzati dall’eclettismo, ovvero Flavio Togni e Stefano Nones Orfei. Quest’ultimo conquista un ulteriore argento a Monte Carlo nel 2004 insieme ad un gruppo di tigri dopo l’analogo successo del 1989 con l’alta scuola di equitazione insieme alla sorella Lara ed il gruppo esotico, sempre manifestando una personalità catalizzatrice in pista. Flavio Togni, come noto, è l’artista al mondo più premiato al Festival di Monte Carlo dove ha collezionato ben sette partecipazioni con tre Clown d’argento ed uno d’oro oltre ad una serie copiosissima di premi speciali. Possiamo ben definire questo artista – che padroneggia con sicurezza le tecniche del dressage e mostra un carisma sobrio coniugato all’evidente piacere per il proprio lavoro – il Gunther Gebel Williams italiano grazie alla sua capacità di cimentarsi con tutte le discipline a livelli di eccellenza assoluta.

Manuel Farina

Il futuro è del dressage
Col terzo millennio uno stile di presentazione degli animali sempre più friendly ha definitivamente preso piede incontrando il gradimento del pubblico ormai (iper) sensibilizzato dalle pressioni animaliste. Alcuni addestratori indipendenti – cioè svincolati dall’appartenenza ad uno specifico circo – stanno conoscendo successi in patria e all’estero: Redi Cristiani, Manuel Farina, Giordano Cavegna, Redi e Denny Montico, Tairo e Sonny Caroli, Elisabetta Bizzarro, Perla Bortolussi, Claudia Catuna Rossi e la famiglia Valeriu.

Redy Montico

A coloro che liquidano le espressioni artistiche del circo classico come una manifestazione ripetitiva ed incapace di evolversi andrebbero mostrati cronache d’epoca e filmati di spettacoli del passato più o meno recente in modo da confrontarli con le migliori forme attuali dell’arte della pista. Sicuramente rimarrebbero profondamente e piacevolmente sorpresi. E la medesima sensazione si ricava analizzando l’evoluzione della stabulazione e della presentazione degli animali nei circhi europei e dell’Occidente in generale.

Giordano Caveagna

A dispetto dei violenti attacchi dei movimenti animalisti – basati su chiusure ideologiche che rifiutano ogni dialogo – il welfare degli animali nei circhi italiani non è mai stato così elevato come oggi. Grazie alle imprese circensi di alto livello dei nostri tempi e alla capacità promozionale dei grandi festival internazionali, dei quali quello di Monte Carlo è il capostipite ed il punto di riferimento, solo il dressage basato sulla complicità tra uomini ed animali viene promosso e si sviluppa. Noi continuiamo a credere che il tempo del circo – e del dressage degli animali – sia il futuro.

L’articolo di Francesco Mocellin è stato pubblicato sulla rivista Circo, speciale “inverno 2017-2018”.

Short URL: https://www.circo.it/?p=42120

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