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La leggenda della città viaggiante: storia degli italici tendoni

di Raffaele De Ritis

Forse non tutti sanno che… il Circo moderno non nasce viaggiante. Eppure il tendone che si sposta di città in città è diventato il simbolo stesso di questa forma di spettacolo, affascinando quanto gli artisti che si esibiscono sotto di esso. Raffaele De Ritis ripercorre le tappe di questo viaggio e con esse l’evoluzione degli chapiteau. Verso quale futuro?

“Evidentemente, esiste una sproporzione economica tra portarsi dietro trenta elefanti da Milano a Catania e il risultato spettacolare che se ne avrà…” Federico Fellini, 1974 (in Fare un Film, Einaudi)

L’articolo di Raffaele De Ritis è tratto dalla rivista Circo, speciale estate 2018

Inizia il viaggio del tendone
Il circo resta l’unica forma di spettacolo in cui, oltre a far coincidere gestione / distribuzione / produzione / performance, ci si porta dietro l’intero mondo di lavoro e vita. Seppur sia ben più antica l’origine delle compagnie circensi, la “città viaggiante” prende forma solo all’alba del XIX secolo. L’itineranza è però millenaria, criterio fondante nella mitologia del circo, nella quale il tendone entra di diritto. La preistoria dello chapiteau è da tracciarsi attorno al 1860: con l’ampliarsi di minuscoli tendoni “parapioggia” in Europa e, poco prima, forme di poco più ampie in America. (1) In entrambi i continenti, la morfologia progressiva del circo viaggiante si deve alla fusione tra esercenti di serragli ambulanti e compagnie equestri: ancora una volta è la presenza degli animali a definire la genetica e la forma di fasi storiche del Circo, determinando problemi, soluzioni e logistica. All’alba del Novecento, è il circo-ippodromo di Barnum e Bailey a definire la nozione di “città viaggiante”: la sua tournée europea (1897-1902) è determinante a indicare il modello sul Vecchio Continente. I primi grandi tendoni di forma realmente
circolare, speculari ai circhi stabili urbani e strutturati in un’economia viaggiante di ampia scala, si inventano in Germania solo a metà degli anni ‘20 (Sarrasani e Hagenbeck sono quasi certamente i primi). Appaiono dopo esperienze più legate ai tendoni ovali con le antenne “in linea”, riduzione del modello barnumiano, adatti all’urbanistica rettangolare di molte piazze francesi o tedesche. (2)

Un gruppo di elefanti del Circo che fanno il bagno

Italici chapiteau
E l’Italia? Il nostro Paese fino a quel tempo era abituato ai circhi di provincia o alle grandi compagnie internazionali all’interno dei tanti teatri e Politeama, facilmente riconvertiti all’occasione in circhi equestri (anche per questo, unico Paese orfano di circhi stabili). Influente fu certo la seconda e capillare tournée di Buffalo Bill in Italia (1906, con gli stessi treni e l’organizzazione usate in precedenza dal Barnum). (3) Ma il primo test delle piazze italiane con un circo viaggiante realmente articolato si ha con le visite di Krone (1922) e Gleich (1925): la stampa si sorprende nel recensire più la logistica che lo spettacolo, nello stupore di ammirare il funzionamento e i servizi tipici di una piccola comunità urbana. Il primo esempio autoctono di grande città viaggiante sarà il nuovo Circo Togni montato a fine maggio 1942 di fronte al Tribunale di Milano, a Porta Vittoria: un modernissimo e inedito modello di cupola rotonda, otto antenne, capace di 3.000 posti. Il circo inizia a spostarsi su ferrovia come quelli stranieri, a dotarsi di ricche scuderie di cavalli e di uno zoo annesso. È nella seconda metà degli anni ‘50 che gradualmente emergono altri circhi italiani di un certo rilievo: Orfei, Palmiri, Jarz, Casartelli iniziano ad impiegare un nuovo sistema di cupola (un ibrido tra quella rotonda e quella quadrata alla tedesca), che negli anni ‘70 diverrà quella detta all’“italiana”, una delle nostre numerose invenzioni ad avere immenso successo all’estero, assieme ai tendoni in materiale plastico, con il determinante emergere del pioniere Giuseppe Canobbio che fissa un nuovo standard mondiale. (4) Il pubblico viene abituato al fascino delle grandi dimensioni: la quantità di veicoli e la grandezza del tendone sono per le masse sinonimo di qualità anche più dello spettacolo. Roulotte, animali, impianti, quasi sempre poi sfociano dalla piazza del circo, invadendo vicoli e quartieri fin sotto le porte delle case, e generalmente accettati come un gioioso diversivo dalla quotidianità urbana. Negli anni ‘70 nei circhi si poteva pubblicizzare anche la scuola, la mensa, le officine, la selleria, gli uffici (il Circo di Moira Orfei aveva persino il vagone-barbiere).

Gli esterni del Circo Medrano (Archivio Cedac)

Circhi anni ‘80
Ma le cose ben presto cambiano: l’evoluzione urbanistica e normativa non sempre è sinonimo di facilità
per il popolo viaggiante. Inoltre la trasformazione degli altri spettacoli dal vivo e quella delle nuove proposte del tempo libero impongono nuovi standard di confronto col pubblico. Alla fine degli anni ‘70, prima ancora che il cinema, il Circo perde la propria priorità come divertimento di massa. Sono sempre meno necessari tendoni superiori ai duemila posti, così come meno numerose le famiglie di artisti e collaboratori. Negli anni ‘80 tre aspetti riqualificano completamente l’economia e l’aspetto del circo viaggiante: 1) la riduzione delle dimensioni (favorita anche dalla divisione sistematica dei grandi circhi dinastici); 2) l’evoluzione degli elementi di accoglienza e comfort del pubblico; 3) la ridefinizione radicale della qualità di stabulazione e del trasporto degli animali. In quegli anni, il fenomeno europeo più rilevante è l’ascesa del circo tedesco Roncalli: un tendone di dimensioni contenute che, pur non rinunciando alla capienza di oltre mille posti, recupera l’intimità tra pubblico e spettacolo e valorizza esteticamente la ricettività degli spettatori. (5) In Italia il modello è visto con diffidenza, anche se nel 1984 esso è tra i riferimenti di Antonio Giarola per il progetto visionario del Clown’s Circus nelle città del nord-est. Il progetto colpisce prima di tutti la famiglia di Livio Togni, in seguito il più grande Circo Medrano e poi molti altri. Sono gli anni in cui i circhi abbandonano progressivamente il costoso trasporto su ferrovia, tentano di ammortizzare i viaggi con permanenze più lunghe, e riducono per quanto possibile il proprio organico.

Il tendone dell’American Circus affacciato sul mare di Genova

Nascono nuovi modelli
I tendoni, oltre a ridursi, diventano più pratici: scompaiono i “contropali”, le poltroncine rimpiazzano le scomode panche, aumenta l’attenzione verso lo spettatore. (6) Gli zoo viaggianti vedono rapidamente la diffusione di ampi recinti, lasciando ai carri-gabbia il solo trasporto. Va qui notato l’esempio pionieristico di Walter Nones, che all’alba degli anni ‘90 impone nuovi modelli di qualità in fatto di trasporto e comfort degli animali. A partire dal 1990 è indubbiamente il Florilegio di Livio Togni che ridefinisce un modello di “città viaggiante”, la cui emulazione diviene planetaria. Nel 2002, l’arrivo in Italia del Cirque du Soleil riporta la città viaggiante sulla scala del kolossal, rievocando per molti i ricordi dei “tripli” tendoni di Medrano e Orfei o della disposizione scenografica del Circo Americano Togni. Osservando quel circo canadese era evidente come esso fosse frutto tanto delle radici classiche quanto della pionieristica italiana.

Il tendone della compagnia di “circo contemporaneo all’antica” El Grito (Foto: Cristiano Coini)

L’evoluzione del viaggio
Ma si è estinta la città viaggiante? Al contrario, va registrata nel corso degli anni ‘90 l’evoluzione di circhi familiari in imprese di maggiori dimensioni (in alcuni casi aiutati da “insegne” controverse) e con infrastrutture di qualità, a volte anche più appariscenti dello spettacolo stesso. Piuttosto il miglioramento e la crescita dei circhi ha fatto sparire un altro patrimonio: quello dei piccoli circhi regionali a conduzione familiare. Una ricchezza inestimabile dello Spettacolo Popolare di provincia e di periferia, che rimane solo nei ricordi. C’è da dire però che le recenti generazioni del nuovo circo, dopo anni esplorativi di teatro di strada, dal 2010 circa hanno recuperato la dimensione del piccolo tendone (si contano ormai quasi una decina di compagnie), investendo con coraggio in questa forma di itineranza, e forse sottraendola all’estinzione. L’inedita definizione “circo contemporaneo all’antica”, usata dalla compagnia Circo El Grito è forse uno dei segnali di un futuro modello di città viaggiante, che ricostruisce dal piccolo un circo d’arte e popolare al tempo stesso?

…………..

1) La prima testimonianza di un piccolo circo sotto un tendone itinerante è dal 1825 in un ritaglio di giornale negli Usa. Prima traccia in Europa potrebbe essere in un dipinto del 1830 circa, raffigurante il minuscolo circo Bouthors.

2) Determinante è il ruolo pionieristico del fabbricante di tele Ludwig Stromayer, la cui fabbrica a Costanza a partire dal 1878 instaura per quasi un secolo il monopolio europeo delle tende da circo.

3) Il primo circo straniero a girare l’Italia con un tendone è nel 1870 il Gran Circo Americano di Washington Myers, ma di proporzioni in realtà più modeste rispetto alle testimonianze pubblicitarie.

4) Il primo tendone che rimpiazza la tela con la plastica ignifuga si deve al rapporto tra Orlando Orfei e Canobbio e fu probabilmente eretto per la prima volta nel 1958 a Roma.

5) Fondato nel 1976, il modello intimista di Roncalli è preceduto di pochissimo a Parigi (tra il 1974 e 1975) dal ritorno al “piccolo” delle esperienze di Annie Fratellini e di Alexis Gruss.

6) L’eliminazione dei contropali è stata una delle conquiste determinanti della logistica circense. Il primo episodico esperimento è del 1963, con una struttura avveniristica a dieci antenne usata da Franz Althoff e da Darix Togni, dietro un’intuizione di Stromeyer assieme al leggendario architetto Frei Otto, l’inventore della “tensostruttura”. Ma il principio verrà applicato in maniera definitiva a un tendone classico solo a partire dal 1988 al Circo Knie, e poi gradualmente adottato ovunque.

L’articolo compare sulla rivista Circo “speciale estate” 2018