La Francia riflette sul sorriso amaro del clown Chocolat
di Filippo Ferraresi
PARIGI – Chocolat fu la prima vedette nera della scena francese. Lo afferma una volta per tutte e con gran convinzione lo spettacolo in scena al mitico teatro dei Bouffes du Nord di Parigi Chocolat, clown negre. Pièce deliziosa che riapre una ferita dolorosa nella storia dello spettacolo francese perché racconta la storia del celeberrimo clown Chocolat, al secolo Rafael Padilla, che tanto ha fatto discutere storici dello spettacolo, sociologi e studiosi di storia dell’immigrazione. Ci ricordiamo infatti con difficoltà che i primi personaggi “famosi” filmati dai fratelli Lumière furono proprio Footit e Chocolat, duo di clown ammirati da tutta la Parigi della Belle Epoque. Al Nouveau Cirque, in rue Saint-Honoré, facevano furore tutte le sere. Ai comandi, Footit, clown ereditario del genere burlesque inglese, come replica, Rafael, alias il clown Chocolat, corpo nero in un elegante vestito bianco. Una storia archiviata con troppa fretta che manca di una analisi sulle conseguenze sociali e le influenze artistiche di questa coppia esplosa in un lasso di tempo in cui il ragtime e il jazz non avevano ancora rivelato l’uomo nero come artista.
Negli anni in cui arrivavano quotidianamente notizie sulle missioni coloniali francesi, Chocolat metteva al riparo, in apparenza, la buona coscienza razzista francese. Egli trionfava sulle scene della grande capitale, insieme al suo compare Footit, clown bianco, di cui lui era l’augusto. Ma c’è una sorta di cortocircuito in questa storia, qualcosa dal sapore amaro si insinua fra le tante risa della borghesia della Ville Lumière. Il personaggio che egli interpreta, quello che non smette ma di prendere botte, giustifica e di fatto legittima lo stereotipo filo coloniale del negro offeso dal bianco. Negro, la cui maschera impassibile lascia lo spettatore incapace di capire se davanti a lui ha un essere senza cervello o una persona intelligente che conosce la propria caduta morale ma non si ribella al suo ruolo. Chocolat mostra ciò che da lui ci si aspetta. È un clown. Illustra lucidamente, fino al grottesco, la visione di una società alterata, egli è il rivelatore di una società bianca in piena mutazione, negli anni de “l’affaire Dreyfus”. E proprio in questo periodo il clown nero vedrà compiersi il proprio declino. Rafael Padilla, morirà nel 1917 nell’anonimato più completo, dimenticato e seppellito nella fossa comune degli indigenti di Bordeaux.
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![chocolat](https://www.circo.it/wp-content/uploads/2012/03/chocolat-300x199.jpg)
Ma al di la di un destino singolare, la questione che pone il regista è il nostro rapporto, oggi, con l’altro. Il nostro rapporto con la cultura fatta da artisti stranieri. Questione scottante di questi tempi in una Francia sotto campagna elettorale presidenziale dove (ri)fanno capolino fazione di estrema destra…
Che si rida di un negro malmenato da un bianco ci sembra uno scandalo, oggi. Ma lo era anche negli anni 1890, quando il Nouveau Cirque presentò per la prima volta un numero di clown dove il negro finiva steso dal clown bianco, così british, Footit? La minuziosa inchiesta di Gérard Noiriel pone la questione nel contesto politico e artistico della Belle Epoque, dell’espansione coloniale e dell’invenzione di una “cultura nera”. Per alcuni, non c’è dubbio: questo riso di superiorità è naturale, riflette la dominazione coloniale e un razzismo condiviso. Battuto, Chocolat, è semplicemente e buffamente rimesso al suo posto da Footit e non può esistere senza di esso. Questa l’interpretazione del giornalista Franc-Nohain nelle (false, gridano alcuni) memorie di Footit e Chocolat (1907).
Noiriel va più lontano immergendosi nella stampa dell’epoca o in alcuni dossier di archivi bibliografici, e dimostra che Rafael Padilla, alias Chocolat, era già famoso prima del duo con Footit, come testimonia d’altronde Toulouse-Lautrec che lo rappresenta mentre danza solo in luccicanti bar parigini.
Adattazione per la scena: Gérard Noiriel et Marcel Bozonnet
Regia: Marcel Bozonnet, assistenza di Manon Conan
Costumi: Renato Bianchi
Chorografie: Natalie Van Parys
Video: Marc Perroud
Dispositivi: Marcel Bozonnet e Renato Bianchi con la collaborazione di Sara Sablic
Realizzazione dei costumi: Sylvie Lombart
Drammaturgia: Joël Huthwohl
Consiglio sull’immagine: Judith Ertel
Interpreti: Yann Gaël Elléouet, Sylvain Decure, Manon Combes Zuliani, Ode Rosset, Marcel Bozonnet
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