Leggo sul Corriere della Sera la storia di una femmina di delfino che mi induce a qualche riflessione. La signora in questione, ribattezzata Elisabeth da una coppia di zoologi volontari che ne seguono assiduamente le mosse con il binocolo, da più di un anno ha deciso di prender casa nel Golfo di Trieste. Detta così, la faccenda potrebbe definirsi irrilevante: contenta lei, contenti tutti. Ma è proprio il “contenta lei” a lasciare interdetti gli osservatori. Il bacino industriale di Monfalcone è, appunto, un bacino industriale, che vuol dire annientamento della natura da parte dell’uomo con la sua invasività a base di gru, cisterne, navi che vanno e vengono e altre amenità. Invece Elisabeth, a differenza di altri della sua specie, ha deciso che quel mare antropizzato può essere casa sua. E’ una scelta che spiazza anche i delfinologi, ed è giusto e bello che sia così. Perchè il cervello del delfino, signori miei, ha tali e tante risorse che neppure gli studiosi più raffinati sono in condizione, almeno oggi, di delinearne i limiti con certezza.
Ebbene sì: in un luogo ambientalmente maltrattato dalla presenza industrializzata dell’uomo, la delfina, che poteva scegliere altri percorsi come pare abbia fatto un suo giovanissimo figlio, ha deciso di restarsene lì per ragioni sue. Cosa voglio sottintendere, con questo? Che se un giorno ci venisse l’uzzolo di soffocare con gas industriali qualche angoletto prescelto dagli stambecchi del Gran Paradiso potremmo farlo con la coscienza pulita tanto gli animali comunque si arrangiano? Se lo facessi, rinnegherei in 30 secondi il mezzo secolo di parole da me spese su giornali specializzati, su libri dedicati alla natura e pure in sede di Radio Vaticana e di Rai-TV: e chiunque mi conosca, compresi gli amici Fulco Pratesi e Grazia Francescato, sanno quanto questa intenzione sia inverosimile. Il discorso è un altro, e di ben diversa portata. Proprio perché da allora è passato mezzo secolo, e almeno alcune battaglie di principio hanno piantato la loro bandierina nell’opinione di molti, oggi ci si può porre alcune domande su quell’abisso di informazioni che è il mondo animale con una “laicità” in altri tempi non concessa. E così torno a quel “contenta lei”, dove “lei” è una delle intelligenze più sorprendenti e più insondabili (anche perché espresse in ambiente acquatico e non fra le mura del nostro salotto).
La “lezione” di Monfalcone, se così vogliamo chiamarla, è per chi – troppo zelante nel fissare schemi di vita per l’animale del cuore – compie senza volerlo un atto di prevaricazione intellettuale somigliante a quello di chi, per ignoranza, vorrebbe imporre a un elefante la dimensione del proprio salotto. Viviamo un po’ più consapevoli del mondo animale di quanto non lo fossimo 50 anni fa, e questo è vero, ma siamo appena all’inizio nel recepire con mente “laica” le capacità di adattamento in genere e di alcune specie in particolare.
Perché ne parlo in una sede destinata in special modo alla gente di circo? Perché anche i circensi, che girano di piazza in piazza con gli animali e talvolta o spesso devono subire la furia indiscriminata degli animalisti, dovrebbero riflettere su queste novità della scienza dedicata al comportamento dei loro compagni di strada un po’ per farsi cogliere da qualche sano dubbio e un po’, anche, per farsene usbergo. Una giraffa obbligata a una gabbia da canarino è una brutalità che oggi non compie più nessuno. Ma esistono altre situazioni che invece, se vissute con adeguata consapevolezza, possono aiutare i circensi a convivere meglio con i loro animali. Danilo Mainardi, di recente, ha scritto un interessante articolo in cui afferma che la condizione di felicità o non felicità di un cane non si può giudicare dalla sua cuccia.
Questa condizione si svela assai più facilmente nella verifica di una giornata di 24 ore. Il cane è fatto per vivere “con” l’uomo, e tanto più è sereno e ben motivato quanto più si trova in sintonia con lui. E poco gli importa di trascorrere le giornate su un letto di piume e con la visione di un Van Gogh alle pareti se il suo uomo gli impone tante, troppe ore di assenza. I circensi, la cui esistenza li destina a ininterrotto contatto con gli animali anche quando questi non possono essere se non in gabbia, potrebbero ben fruire di queste argomentazioni a loro favore in sede di dibattito evitando, almeno in certi casi (con la malafede che produce voti è impossibile discutere!), che questo si traduca in lungo e snervante dibattito processuale. Ma dovrebbero, i circensi, farsi più attivi in questa direzione, anziché sprecare tempo prezioso a lamentarsi – pur se giustamente, sono io il primo a dirlo anche se per tessera appartengo alla categoria! – per le malefatte della stampa. Vogliamo farci un pensierino, nel passare da una piazza ad un’altra?
Ruggero Leonardi