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Jason Caveagna e Olliver Denji. Dicono che non nascono più clown.

di Roberto Bianchin

In un numero dedicato ai giovani non poteva mancare un pezzo sulla clownerie. Di solito una disciplina che matura negli anni, ma che va frequentata il prima possibile. Un po’ come piantare un seme e continuare ad annaffiarlo con cura. Proprio quello che stanno facendo Jason Caveagna e Olliver Denji, due junior molto stimolati dai genitori, tanto da essere proposti come le star dei propri spettacoli.

Jason Caveagna e Olliver Denji

Dicono che non nascono più clown. Se pensiamo al “vecchio” clown, quello di tipo tradizionale, col trucco vistoso, il parruccone color pannocchia, il nasone rosso e le scarpe grosse, è sicuramente vero. Il mondo cambia, e il “vecchio” clown probabilmente (senza probabilmente) ha fatto il suo tempo. Ma se guardiamo intorno, sui social, nei talent, nei locali di cabaret, nei festival di artisti di strada, nei circhi più piccoli che spesso nascondono qualche sorpresa, si può notare che sta cominciando a farsi largo piano piano una comicità giovane e nuova. Diversa, anche trasgressiva, comunque più aderente ai tempi moderni, ma sempre legata a quelle che sono le caratteristiche tipiche dei clown storici: lo sguardo ironico, beffardo e disincantato sul mondo, sui nostri vizi e difetti, e lo sberleffo sempre pronto verso il potere. Certo, il trucco è diverso, appena accennato. Gli abiti sono quasi normali. Ma i nuovi clown, alla moda dei comici del cabaret, hanno recuperato l’uso della parola, e hanno imparato inflessioni e gesti da attori di teatro e movenze da danzatori. In una parola, sono più completi. Il Knie, per dire, utilizza da anni, nelle vesti di clown, dei comici televisivi. Per restare in casa nostra, se il circo fosse stato più attrattivo, avrebbe visto in pista tipini del calibro di Dario Fo e Roberto Benigni, che altro non sono che degli splendidi clown, come lo furono in passato altri geni della risata come Charlie Chaplin e Stan Laurel. Perché far ridere, che resta il compito primario del clown (senza risate il circo non esiste), è il mestiere più difficile. Devi saper fare tutto se vuoi fare il clown. David Larible, il più grande clown dei tempi moderni, quando disse a suo padre Eugenio che voleva fare il clown fu mandato a scuola di danza, e all’inizio non capì. Se ne rese conto anni dopo quando constatò che il modo in cui usava il corpo fu, assieme alle altre sue doti, una delle chiavi del successo planetario. Lo stesso David, che pure è considerato un clown tradizionale, ha cambiato molto rispetto ai grandi clown del passato: trucco leggero, abitino da passeggio pied-de-poule, berrettino da monello, e il pubblico spesso coinvolto nelle sue gag, come fanno gli artisti di strada. Questo per dire che la crisi del clown è più apparente che reale. I giovani dotati di talento comico (e ve ne sono) oggi preferiscono tentare la ribalta di teatro, cinema e tivù, e persino i rischi della strada, anziché le poco attrattive, poco affollate e poco remunerative polverose piste dei circhetti di periferia. Senza contare che c’è anche un fattore anagrafico. Quello del clown è un approdo maturo. Lo è stato anche per Larible, per Fumagalli, per Corrado Togni, solo per dire qualche nome. Solitamente si arriva clown da grandi, magari dopo aver provato altre discipline. Non a caso molti clown, sia del passato che del presente, sanno fare tante altre cose oltre a far ridere: spesso sono acrobati, giocolieri, musicisti, Monsieur Loyal.


“La clownerie è un modo di esprimersi – spiega David Larible – significa dare il via libera alla propria espressività, cosa di cui ognuno di noi ha bisogno. Essere clown è la mia personale maniera di mostrare e di dimostrare agli altri ciò che sono e ciò che ho dentro. Noi del circo siamo mestieranti, cioè siamo persone che imparano qualcosa di pratico che poi attuano tutti i giorni. Tuttavia, in questi strani mestieranti che sono i circensi, c’è una grandissima libertà di espressione, che per il clown si traduce nella possibilità di poter fare tutto e il contrario di tutto generando ogni volta una piccola opera d’arte”. (David Larible, con Massimo Locuratolo e Alessandro Serena, Consigli a un giovane clown, Mimesis Edizioni, 2015).


Ci sono nuovi segnali. Forse piccoli, certo, ma segnali. Erano quarant’anni, dai tempi del Clown’s Circus di Antonio Giarola, la prima esperienza italiana di circo di regia, che non si registravano casi di circhi intitolati ai clown. Ai pagliacci, che non è offensivo dirlo. Attualmente ve ne sono due in Italia, intitolati entrambi a giovani clown. Salutiamoli con gioia.

Jason Caveagna

“Jason il Clown”, strilla a grandi caratteri il manifesto. E sotto, più in piccolo: “al Circo di Praga”. Ribaltato il concetto, mi piace. Il riflettore è puntato sulla figura di questo giovane artista. E in foto c’è solo lui, un testone di capelli (veri) da rapper, un panciotto colorato su una camicia bianca, una cravatta arancione, un sacchetto di popcorn in mano. Jason ha 28 anni, di cognome fa Caveagna, che è un nome storico del circo italiano, e ha da poco avviato questa nuova insegna con la famiglia Cristiani, altro nome importante, dopo un lungo sodalizio con la famiglia Vassallo, altro nome celebre, al Circo di Vienna (da notare che in fondo ci sono solo 251 chilometri di distanza tra Vienna e Praga, sarebbe meglio se usassero i loro nomi invece di quelli di capitali d’incerta parentela). Jason il Clown merita di stare nei titoli di testa perché è il vero mattatore dello spettacolo. Moderno, simpatico, giovanile, spigliato, non si limita alle entrate comiche, eseguite con brio, ma conduce lo show a ritmo sostenuto, con brillantezza ed attorialità, non disdegnando di mostrare anche le sue doti acrobatiche alla tavola strisciata, alla scala libera e alla corda elastica. Volendo, è anche capace di entrare nella gabbia delle tigri. Ma qui non è necessario, ci pensa ancora papà Giordano – ed è un vero piacere rivederlo – che è stato fra i primi domatori italiani a lavorare in dolcezza, a mani nude, con i suoi splendidi felini, che riempie di abbracci, di baci e di carezze, perfettamente ricambiato, in un rapporto di amore e di armonia tra l’uomo e l’animale al quale, se non lo si vede, è difficile credere.

Olliver Denji

Olliver è ancora più giovane. Olliver, che ha un nome e un volto bellissimo, Olliver che ha solo 15 anni, Olliver che è un clown, Olliver che ha un circo che porta il suo nome. Circus Olliver. Caspita. Il ragazzo che vuole fare il clown, e che ha già coronato il suo sogno, si chiama Olliver Denji e appartiene alla famiglia di Rudi Denji, proprietaria del Circo Acquatico Denji Show, da tempo sulle scene. Anche il Circus Olliver, che si battezza “circo tradizionale come si faceva una volta, artistico e divertente”, ha deciso di puntare tutte le sue carte sulla figura di questo giovane clown, al quale dedica, oltre alla testata, anche il manifesto, in cui lo si vede in giacca rossa, con pochissimo trucco, appena due tocchi di rosso sulle guance e sul naso, un filo di biacca sulle labbra, una crestina di capelli impomatati come i ragazzi della sua età. Appare disinvolto, esuberante, perfettamente a suo agio anche quando piomba in piscina col costumino d’antan o tira le frecce di Cupido vestito da angioletto. Un talento naturale, dicono di lui. Una “speranza fondata dell’arte del clown”, lo ha battezzato l’Ente Nazionale Circhi, che i talenti li sa annusare da lontano. Anche il quindicenne Olliver ha scelto un’arte complessa.

David e Eugenio Larible

Trovo che non sia possibile definirsi clown – dice David Larible – per quanto talento si possa avere, anche da giovane, non si può effettuare un’autoproclamazione di questo tipo. Quando si comprende di essere clown è perché si è giunti ad un punto preciso di un percorso, perché la clownerie è un viaggio. Durante questo viaggio tra pista e palcoscenico si dà prova di bravura, di tenacia, di destrezza e di poliedricità… Ecco perché quello del clown è uno dei mestieri più complessi e di grande responsabilità: essere clown è un insieme di emozioni, è insieme mestiere e forma d’arte”.

Conosco Gabriele, che ha settantaquattro anni e vuole fare il clown. Ma conosco anche Lorenzo, che di anni ne ha otto e vuole fare il clown anche lui. Sabato scorso ho conosciuto Luca, che tra poco ne compirà cinque. “Cosa vuoi fare da grande?”, gli ho chiesto. “Il clown”, mi ha risposto. È stata una bella giornata.

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