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Io, il circo, Berlusconi e Moira la zingara

“Walter Nones: ho sposato una zingara”. Su Gioia del 4 novembre un servizio cult dedicato alla coppia per antonomasia del circo italiano. Ecco l’intervista integrale.

“Lei è la regina del circo, lui il figlio di un mobiliere. Lui ha studiato in convento, lei sa fare il malocchio. Lui ogni tanto ama andare in hotel, lei scappa da casa per tornare a dormire in carovana. Ed è gelosa, gelosissima, ma ha perdonato spesso. E la sera “si mette così tante creme antirughe che non puoi avvicinarti…”. Stanno insieme da 50 anni e lui l’ama ancora. Perché lei, “la Moira, non è mai domata”.

di Federica Furino – foto Chico De Luigi

Se è vero che il marito è un lavoro a giornata piena, Walter Nones – uomo dalle molte virtù, domatore di leoni e sposo di Moira Orfei – ha diritto al titolo di Cavaliere più di chiunque altro al mondo. Per perseveranza, discrezione e dedizione. Lo merita quasi quanto il posto nel Regno dei Cieli che i quattro anni di lodi mattutine e messe quotidiane gli hanno garantito in qualità di giovane salesiano, insieme con l’indulgenza per gli eventuali peccati e peccatucci commessi in età adulta, più volte paventati (e perdonati) dalla consorte. Lungo e magro, cappotto blu, giacca e camicia, molti anni in meno di quelli che l’anagrafe gli attribuisce, sembra uscito da un film di Truffaut più che dal tendone del suo circo ma, al di là delle apparenze, è il più felliniano tra i personaggi dell’universo che lo circonda. Uno sempre in bilico tra due mondi: figlio di un “fermo” («chiamiamo così quelli che non arrivano dal circo») e una Medini («una dei 18 figli del mio nonno»), scampato per un pelo alla carriera monastica e diventato atleta, acrobata, ballerino di rivista con Rascel, Wanda Osiris e Carosone. E poi giocoliere, domatore di leoni e tigri, impresario di successo (ha importato Holiday on Ice, Il circo di Mosca, Il circo di Pechino). E, appunto, marito. Soprattutto marito. «Da cinquant’anni. Festeggiamo le nozze d’oro l’anno prossimo, nel 2011». Lo dice con la faccia un po’ incredula e un po’ compiaciuta, come uno che si sveglia e realizza di essere andato oltre le aspettative. Cinquant’anni insieme («Cinquantadue, se contiamo il fidanzamento»). Lui e lei, lei e lui, il salesiano e la zingara. Che sembrano l’incastro impossibile e invece funzionano come un numero perfetto: lo stesso da sempre, stessi ruoli, stessi costumi.
Lo incontro a Cremona in una carovana-studio parcheggiata di fianco al tendone. All’entrata, sulla parete, una foto che ritrae lui e Moira vicino a Giovanni Paolo II. «Quando mi vedeva diceva: “Nones, sei ancora qui?”».
Era di casa in Vaticano?
Ci ho portato anche gli animali. Ventisei cavalli, sette cammelli, i lama e otto elefanti in piazza San Pietro. E sua santità: «Benedico gli animali di Moira Orfei». Intanto io quasi morivo di imbarazzo, perché Moira passava e la gente le baciava le mani. Dicevo: «Moira ma non ti vergogni? Vieni via!».
E lei?
Niente. Sì ma non pensi male. È una buona, la Moira. Molto devota a Padre Pio. Magari non va in chiesa come facevo io da ragazzino con la messa tutte le mattine. Ma è una credente vera.
La storia del malocchio?
Lo sa fare, o così almeno dice lei. Io non gradisco che ne parli, ma tanto non mi da retta. È una roba che le ha tramandato suo nonno da bambina. Da parte del papà è una zingara. Ancora oggi per i sinti è una specie di regina.
Al contrario di sua moglie, lei di circense ha poco.
Forse perché il mio povero papà era un fermo. La sua famiglia aveva una fabbrica di mobili, ma lui era un ginnasta e negli anni difficili della guerra era finito a esibirsi al circo. Non voleva che finissi come lui, così mi mandò a studiare dai salesiani. Quattro anni. Roba da rimanerci dentro. A tanti miei amici è successo: uno è prete, uno missionario, uno direttore dell’istituto di studi salesiani di Trento. Da quel collegio usciva l’ottanta per cento di preti. Mi sono salvato per un soffio.
Però nel circo ci è finito lo stesso.
Vedevo che mio padre si sacrificava troppo. Gli dicevo: «Guarda papà che so fare l’artista», ma lui niente. Io pensavo che nella vita contava avere una strada e un po’ di fortuna. Con l’aiuto di mia mamma l’ho convinto e siamo andati tutti nel circo di uno zio al Sud. Ma non ci rimasi a lungo.
Perché?
Volevo girare il mondo. Così misi su un numero di ballo acrobatico con mio fratello e mia sorella. Finimmo in tivù con Rascel. E poi la rivista con Wanda Osiris. Si chiamava Ok fortuna. Roba da grande categoria, mica avanspettacolo.
Lo girò il mondo?
Con Wanda andammo in tournée per sette mesi. Poi partimmo con Renato Carosone. In Germania, al Titania Palace di Berlino, si passava la zona russa per andare in quella americana dove c’era teatro. Pieno di napoletani pure lì. Gridavano: «Carosone! a’ Maruzzella!». In Portogallo, quando finivamo il numero battevano i piedi. Sono soddisfazioni. Mia sorella Loredana era bravissima. Ma ha smesso, e vive di foto e di ricordi.
Lei no?
Meno. Sono preso dal circo. È come se lo avessi aperto ieri.
E invece?
Sono passati cinquant’anni. Dopo il matrimonio io e Moira investimmo i nostri risparmi lì.
Amore a prima vista, il vostro?
Un amore arabo, piuttosto. Nel ’59 andammo in Kuwait con uno spettacolo per i principi arabi e fu lì che nacque tutto.
Non fu galeotto Gassman e il Mattatore?
Non proprio. Moira già la conoscevo: sa, tra famiglie del circo ci si conosce un po’ tutti. Più che altro dopo il Mattatore mi scritturò suo zio e cominciammo a lavorare insieme.
Moira sostiene di averla dovuta corteggiare a lungo.
All’inizio facevo il sostenuto. Mi sentivo sempre un po’ diverso dagli altri.
Nones se la tirava?
Me la facevo un po’ per conto mio. Non è che non mi piacessero le ragazze. È che avevo avuto quest’educazione un po’ salesiana e non mi sembrava il caso di importunare le ragazze del circo. Poi lei aveva questi capelli lunghi e ricci e a me facevano un’impressione non bella. Però aveva questa simpatia per me anche se non le davo le attenzioni che meritava. Una volta, a Milano, mi vide con una spagnola e non la prese bene.
Gelosa?
Gelosa? Gelosissima. Se sono via telefona in continuazione: «Dove sei? Cosa fai? Con chi stai?». E io: «Moira, ma basta, ho settant’anni, dove vuoi che vada?».
Gira voce che qualche motivo di gelosia gliel’abbia dato.
Ma no…
La fede al dito però non la porta.
Perché una volta un leone si agganciò lì con l’unghia e quasi mi ruppe il dito. Per questo non l’ho più messa. Anche a Moira ho detto: «Levala, tanto tutti sanno che siamo sposati».
E la volta che lei entrò nella roulotte di una trapezista?
Moira sparse tutto attorno una tanica di benzina e mi aspettò fuori con un cerino in mano. Tutto vero. Quella cosa ha fatto storia.
Lei gliela rinfaccia ancora?
A volte ci prova. Diciamo che tenta di arrivare su questi discorsi, ma io la svio. Ancora adesso vuole sentire che cosa faccio, dove sono. È terribile. E siamo sposati dal ’61, mica da due giorni.
Siete degli highlander del matrimonio.
Non è facile, sa, resistere così tanto? Anche per la salute, dico, per il fisico.
Vorrà mica lamentarsi?
Li porto bene gli anni, ma li ho. E ho qualche acciacco, perché ho fatto anche il saltatore, l’acrobata. E allora, sa, le ginocchia fanno un po’ male. E poi ogni tanto un bicchierino me lo bevo. Moira invece no, lei è astemia. E poi è un cremino. Non ha mai fatto un lifting. La sera si dà così tanta crema che non ti puoi avvicinare perché ti ungi pure tu.
Nella fase trucco si avvicina?
No, quando lo fa io non ci sono mai. Ma non credo ci metta tanto: ormai è come fare un numero.
Lo sa che a tradire una donna così si fa peccato?
Lei soffre quando vede un marito che fa le corna alla moglie. Un altro, eh, non io. Se uno sposato del circo fa lo spiritoso con qualche ragazza, gli dico: «Occhio, non farti vedere dalla Moira che poi chiama tua moglie. È meglio che lasci stare, quando c’è lei».
I segreti del circo li conosce solo lei?
No, Moira poi li scopre. È tremenda.
È più difficile domare un leone o Moira Orfei?
Moira. Con lei bisogna avere tatto perché non è mai domata.
Non era un cremino?
Sì, ma perché lotta contro le rughe. Però è dolce, sa, se la sai prendere. Quando vado fuori, pretende che mi porti dietro un mazzo di banconote da dieci euro. Dice che, quando uno ti chiede la carità, non puoi dargli un euro. I piccoli zingari dobbiamo tenerglieli lontani e dire che tornino nei giorni meno affollati, altrimenti li fa entrare tutti, anche se sono quaranta, e lascia fuori la gente che paga.
Lavoro duro quello del circo?
Sei in ballo dalla mattina alla sera. Dal 1961 non abbiamo mai chiuso. Siamo nel Guinness dei primati.
Quanti spettacoli avete fatto?
Almeno quattrocento l’anno. Moltiplichi per cinquanta. Ventimila arrotondando per difetto. Poi ci aggiunga gli spettacoli che producevo: Holiday on Ice o il Bolshoj, il circo di Mosca.
Perché volle il circo di Mosca?
Perché erano gli anni della guerra fredda e far esibire gli artisti russi era come far esibire Superman. Nel 1982 li ho portati a San Pietro.
Pure loro?
Già. E governava ancora Breznev. C’erano i cosacchi a cavallo con le bandiere del circo e gli orsi che ballavano e facevano l’hula hop davanti al Papa.
Ha tirato giù un pezzo di Muro pure lei.
Il primo ambasciatore russo in Vaticano ci è entrato con Moira. Ho le foto.
Può esistere il circo senza animali?
No. Ho provato con il circo nazionale cinese: nelle grandi città, ci siamo salvati; in quelle piccole non abbiamo coperto nemmeno le spese.
Vacanze ne fate mai?
No. Teniamo chiuso il martedì e il mercoledì. Al mare ci andiamo per lavorare. E anche quando siamo a San Donà, dove abbiamo casa, finisce che Moira torna a dormire in carovana. Così sono i veri zingari, e quella ce l’ha nel sangue. Non le parli di case. Noi siamo sempre all’aria aperta, come i nostri animali.
Pure lei che è un salesiano?
Sì. Però ogni tanto sono contento di andare in hotel così posso guardarmi la televisione in pace. Con Moira c’è un po’ di lotta. Lei vuole guardare i film, io i talk show: sono pazzo per la politica.
Il circo dove sta: destra o sinistra?
Ci sono diverse idee politiche. Qualcuno al centro e qualcuno a sinistra. Forse più di destra, ma non ci giuro.
A lei chi piace?
Ammiravo Fini, oggi non più. È un politico intelligente, ma noi gente del circo non possiamo capire le divisioni interne. La mia simpatia massima va a Berlusconi.
Lo conosce?
Sì, dai tempi in cui facevamo Holiday on Ice a Milano e lui ancora non era in politica. Gli dicevo: «Dottore, lo compri lei Holiday on Ice e io le faccio da direttore». E lui: «Nones, ne ho già abbastanza di compagnie». Poi quando facevamo Sabato al circo arrivava con Confalonieri e tutti: «È arrivato il dottore, è arrivato il dottore». Era il ’91. Voleva che mi sedessi vicino a lui.
Lo sente ancora?
Quando Moira ha avuto l’ictus le ha telefonato in clinica. Arrivo lì e mi dice: «Walter, mi ha chiamata Berlusconi». Parlava piano piano. Non ci credevo: «Dai, Moira, ti sarai sbagliata…». Oh, ha chiamato l’infermiere perché confermasse.
Qual è l’insegnamento più grande del circo?
L’amore per la famiglia. È vero che anche qui divorziano e si risposano. Ma sono tutti molto attaccati ai vecchi e ai figli. Difficilmente trova un anziano del circo in una casa di riposo. Tanti dei miei operai, sono andati a vivere dentro il nostro parco e sono morti lì.
Che cos’è la morte nel circo?
Una fatalità che deve accadere. Perdi il padre e il giorno dopo vieni a lavorare, e magari fai il clown e devi far ridere la gente. Il circo è questo: un mondo di eroismi nascosti”.

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