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di Mariarosa Mancuso
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COS’HANNO IN COMUNE Andrea Camilleri e Angela Carter, Federico Fellini e Pablo Picasso, Paul Auster e Charles Baudelaire, Tracy Chevalier e Henry Miller, Buffalo Bill e il raffinato critico letterario Jean Starobinski? Hanno tutti amato il circo, l’odore della segatura, il pagliaccio che prende schiaffi, i prestigiatori e le contorsioniste. Hanno amato i lustrini, le cavallerizze, i conigli che escono dai cappelli, i domatori con la testa nelle fauci del leone, i trapezisti e i funamboli. Ne hanno ricavato racconti, film, personaggi che restano nella memoria, trame e immagini fiabesche. Sotto sotto, l’idea che lo spettacolo circense assomigli molto alla magia di chi racconta: venghino venghino signori, a me gli occhi e le orecchie, resterete incantati. Qualche volta c’è il trucco, ma che importa, il godimento rimane. Come scrive Martyn Bedford all’inizio di La ragazza Houdini (Mondadori): «Il mago è di un’onestà suprema. Promette che sta per ingannarvi e mantiene la parola». Di questo parliamo quando parliamo di fiction (in senso anglosassone, da noi ormai vuol dire “sceneggiato italiano in tv”): storie inventate che fanno ridere, piangere, rabbrividire per davvero.
Erin Morgenstern irrompe sulla scena con la sfacciataggine dei suoi pochi anni. Di sicuro non ha letto tutto quel che c’era da leggere in materia. Ma la passione le ha fatto scrivere un romanzone ottocentesco per ambientazione, fantasia e ricchezza di dettagli. Come il grande orologio animato. Ricorda gli orologi della Gare Montparnasse che Hugo Cabret, nell’omonimo film di Martin Scorsese in uscita il 3 febbraio, carica e regola ogni giorno. Prima di dedicarsi alla magia degli automi, e di indagare sul mistero di un vecchio signore che vende giocattoli (e in passato si era dedicato al cinema: secondo Orson Welles, «il più bel giocattolo che un bambino cresciuto può sognare»). Pupi Avati sta girando tra le gabbie del circo, ricostruite a Cinecittà, qualche scena di Un matrimonio, il suo lavoro per la tv. Un omaggio alla tradizione circense italiana, bastano a garanzia i nomi di Darix Togni e del Circo Orfei. Ancora prima che gli animalisti si facessero sentire con le loro proteste, il canadese Cirque du Soleil aveva eliminato il serraglio e gli addestratori, puntando sulle luci, le scenografie, la tradizione degli artisti di strada.
I clown di Spagna erano al centro di La ballata dell’odio e dell’amore, magnifico melodramma diretto da Alex De La Iglesias, premiato alla Mostra del cinema di Venezia 2010. Il circo americano, sempre tentato dai freakshow di Phineas T. Barnum, ha affascinato Tim Burton in Big Fish (dal romanzo di Daniel Wallace).
Nel 2003 la Hbo aveva dato il via a Carnivàle, serie tv ambientata durante la Grande Depressione e purtroppo interrotta dopo due stagioni soltanto. Sensitivi, fenomeni da baraccone, l’eterna lotta tra il bene e il male. All’opposto del ridanciano Flying Circus dei Monty Python. Vicinissimo al Teatro Naturale di Oklahoma, raccontato in Amerika da Franz Kafka, che del circo coglieva soprattutto la tristezza.
Io Donna
28 gennaio 2012