“Il pagliaccio depone la maschera dell’uomo sociale e rispettabile per lasciare che l’anima giochi liberamente al cospetto del pubblico, nel cerchio che rappresenta il mondo, sotto il tendone che occulta e simbolizza il firmamento”. E’ un frammento di uno dei due scritti inediti che la filosofa spagnola Marìa Zambrano (1904-1991) scrisse nel 1953, a pochi mesi dall’uscita nelle sale di Luci della ribalta e che pubblicò su una rivista cubana. I due scritti sono stati raccolti nel volume dal titolo Il pagliaccio e la filosofia (Castelvecchi editore).
“Da dove vengono la sua maschera e il suo gioco? Riceve le sberle rimanendo immobile; è il solo, in una civiltà che si dice cristiana, a porgere l’altra guancia allo schiaffo e l’intero volto alla beffa. Si espone, non soltanto perché ridano con lui, ma perché ridano di lui, per far ridere, così come altri – i pagliacci sociali, alcuni politici e le donne di dubbia reputazione – si espongono per far parlare. Si espongono integralmente al riso, che è beffa e anche scherno. In ognuno dei suoi gesti, per quasi mezzo secolo, il clown Charlot ha donato la grazia di ridere a quelli che piangono. E a quelli che non riescono nemmeno a piangere, quel suo gesto magistrale che vale da solo un intero trattato di filosofia: quel suo stringersi nelle spalle mentre i piedi tracciano una piroetta”. Il quotidiano Avvenire anticipa oggi alcuni brani di uno dei due scritti, dal titolo “Charlot o dell’istrionismo”.