Si fa presto a dire trapezio. Una asticciola, due fili. Ai bambini che vanno al circo e alzano gli occhi verso l’alto fa l’effetto di un fratello minore di quel gioco a tutti gradito che è l’altalena. Ma spesso, nel circo, i fili sono molto corti rispetto all’altezza dello chapiteau e l’acrobata che ha la sventura di essere strappato dall’asticella corre rischi gravissimi. Ce lo ricorda una cronaca del “Corriere della Sera” datata martedi 2 luglio 2013. Tutti sanno quale possente macchina da successo sia il “Cirque du Soleil”, nato in Canada e oggi conosciuto in tutto il mondo anche per essere approdato agli onori del grande schermo. Mi riferisco a Cirque du Soleil. Mondi lontani, recentemente prodotto in 3D. Ma purtroppo, in quella medesima cronaca, chi dà la notizia è costretto a parlare di morte.
Si chiamava Sarah Guyard-Guillot, aveva 31 anni ed era madre di due figli. Ma questo non le impediva di esibirsi tutti i giorni, con il nome d’arte di Sassoon, in spettacolari acrobazie che destavano nel pubblico quella emozione che solo l’arte circense può dare: abbandonarsi a voli che paiono inaccessibili, a una donna così come a un uomo, per posarsi infine con grazia sul punto designato e dimostrare a spettatori in ansia che “anche questo”, per sortilegio del circo, si può fare. In questo caso, purtroppo, la dimostrazione è fallita. Sassoon ha perso il contatto con il cavo di sicurezza ed è caduta da 15 metri di altezza. Niente da fare per restituirla alla vita.
Ma tanti altri, di entrambi i sessi, continueremo a incontrare al circo ben decisi da abbrancarla, quella asticciola, non per farsi condurre da lei ma per imporre a lei di accettare le mani dell’artista le piaccia o no. I tanti anni di frequentazione sotto gli chapiteau nelle ore dello spettacolo ma soprattutto nelle ore delle prove mi riconducono con facilità alla visione di quelle mani, prima e dopo gli esercizi al trapezio. Molte di quelle mani sono come se il trapezio vi avesse deposto il proprio autografo, indelebile anche per gli anni a venire. Capisco molto bene che di questa asticella si possa avere paura al punto di voltare le spalle, ma non dimentico quanta speranza umana ho visto riporre in quello strumento di implacabile semplicità. E sono convinto che, finchè vivrà l’arte circense, quella asticella sotto lo chapiteau continuerà a chiamarsi speranza per molti anche negli anni a venire.
Ruggero Leonardi