Documentario molto illuminante quello dedicato agli orsi polari che si è visto a Superquark la sera di giovedi 1 settembre. Come fa a sopravvivere anche 6 mesi senza quasi toccare cibo un animale di quella stazza se non è sorretto da una costante aggressività predatoria? Pochi animali al mondo, in effetti, sono più pericolosi di lui e la ragione è ben chiara. Date le condizioni ambientali in cui vive, solo tanta “rabbia” in corpo può garantirgli la sopravvivenza. La sua pericolosità è ben nota anche ai circensi, che lo definiscono “faccia da poker”. E’ animale di assoluta inespressività, e in quanto tale maestro nel nascondere anche le intenzioni aggressive. Ma può bastare un attimo di disattenzione perchè l’uomo, o la donna, se lo ritrovi d’improvviso di fronte con le peggiori intenzioni. Molti addestratori, purtroppo, ne hanno fatto esperienza a loro spese. Eppure io sono stato testimone di una scena che pareva fatta apposta per dimostrare quanto siano infinite le vie del circo equestre.
Si tratta di una scena che ho ricostruito nel mio libro Animali nel circo pubblicato anni fa. Era una estate calda e siccitosa, al Lido degli Estensi, e gli orsi polari del circo di Giancarlo Triberti mostravano una gran voglia d’acqua. Grazie ai miei rapporti d’amicizia con le autorità di Comacchio, ottenni per loro un permesso speciale, anzi specialissimo: concedersi un bagno nel mare Adriatico. Naturalmente non in mare aperto, dove chissà dove sarebbero finiti, ma in una grande gabbia istallata una volta tanto in un tratto di mare vicino alla spiaggia. Gli orsi vi approdavano a uno o due per volta, passando sulla sabbia attraverso un lungo tunnel collegato al carro gabbia, sguazzavano per alcuni minuti e poi, col mantello carico di quell’acqua ristoratrice, tornavano docili ai loro posti abituali al comando del domatore. Uno solo mostrava di trovarsi troppo bene là per aver voglia di tornare a casa. Giancarlo Triberti fu quindi costretto, con l’acqua che gli arrivava oltre la cintola, ad andargli vicino per ripetergli l’ordine ad alta voce. Per un orso bianco non adeguatamente addomesticato sarebbe stato un gioco da ragazzi aggredire l’uomo, collocato di fronte a lui in posizione svantaggiatissima, e poi chissà, magari tentare una fuga per via d’acqua. Invece se ne tornò indietro, docile al pari degli altri. Perchè l’imprinting della dominanza umana era, con ogni evidenza, legge anche per lui.
Ma come è ben noto, anche orsi di altre origini hanno avuto la loro parte nella storia del circo. Quando ero bambino a Milano, non era impossibile incontrare zingari e zingare che, tenendo con una catenella esemplari di quell’orso bruno che oggi da noi vive anche allo stato libero sulle Alpi e in Abruzzo, lo facevano esibire a suon di sonagli in qualche passo di danza. Mi è stato in seguito spiegato, da esperti, a quali metodi ricorressero i suoi addestratori per ottenere tanta docilità e preferisco chiudere qui il discorso. Ben altri erano i criteri a cui aveva fatto ricorso un maestro di ammaestramento quale lo svizzero Eugen Weidman, che gli orsi (compreso un esemplare bianco) li aveva inseriti in un numero misto con tigri e leoni. Anche l’orso bruno, tuttavia, poteva porre qualche problema al suo addestratore o alla sua addestratrice. Da una addestratrice, appunto, fui reso edotto di un problema squisitamente femminile. In occasione di un ciclo mensile, infatti, può accadere che l’orso percepisca nella sua compagna umana abituale un qualcosa di olfattivamente diverso e tale da creare pericolosi equivoci di identificazione. Ma tante e tante altre cose, che lo spettatore comunemente non sa, ci sarebbero da dire quando si parla del rapporto uomo-animale. Il discorso che in questa sede, con l’aiuto del circo, mi piace riproporre è uno e uno soltanto. Per secoli abbiamo diviso gli animali in buoni e cattivi ed era inevitabile che fosse così. Oggi invece sappiamo che la parola “cattivo” in natura non ha alcun senso. L’orso polare maschio che, fra i ghiacci, può essere indotto dalla fame a sbranare un suo figlio, può rivelarsi saggio e mansueto davanti a un Giancarlo Triberti (che da tempo purtroppo non è più fra noi) capace di ricordargli la superiorità umana anche se nudo e inerme davanti a lui. La pratica circense, con il permesso di supersapienze accecate dai colori dell’arcobaleno, può esserci utile anche in questo.
Ruggero Leonardi