di Martina Bellelli
Ecco il racconto della avventurosa traversata. Un piccolo esodo verso una nuova terra promessa.
Davanti ai nostri occhi si erano radunate talmente tante persone che si sarebbe potuto riempire un circo intero o anche un mercato, dato che c’erano donne e bambini che portavano di tutto e di più, dal cibo alle bevande, dai vestiti alle scarpe.
Dopo aver infilato tutto sui camion, abbiamo salutato Takoradi per partire alla volta di Abidjan, Costa d’Avorio, e dopo due ore e mezza di autobus eravamo alla frontiera per un’altra tappa obbligata, il controllo dei documenti, che ha costretto tutti a scendere e a disporsi come bravi scolaretti in attesa dell’esame.
Sbrigate le procedure siamo alla fine usciti dal Ghana per ripartire verso il posto di dogana Ivoriano, nella cittadina di Noè. Qui di nuovo una fermata per aspettare i documenti dei mezzi di trasporto, ma quando sono arrivati l’autista era sparito o meglio, aveva risposto ad una inderogabile chiamata del cielo ed era andato a pregare. Nel frattempo però la frontiera aveva chiuso e noi abbiamo dovuto passare la notte sull’autobus, con inconvenienti annessi. L’autista non ne voleva sapere di accendere l’aria condizionata e l’autobus non aveva neanche una finestra, l’aria (si fa per dire) entrava solo dalla porta e quindi si moriva di caldo. Oltretutto le persone che evidentemente riuscivano a dormire russavano fortissimo, tanto che sembrava fosse entrata una tigre dentro all’autobus. Come bravi campeggiatori costretti a fare di necessità virtù, ci siamo muniti di crema e spray contro le zanzare assassine che pungevano a più non posso e abbiamo deciso di guardare il cielo stellato fuori dal pullman. La nostra proverbiale fortuna non ci ha abbandonati, visto che poco dopo essere usciti ha cominciato a cadere una pioggerellina che faceva venire i brividi di freddo. Non è rimasto che cercare riparo sotto l’unica copertura che c’era lì intorno, un capannone tenuto su da travi di legno tutte storte che sembrava sul punto di crollare da un momento all’altro.
Molti ragazzi per passare la nottata si sono messi a giocare a carte, qualcuno ha preferito conversare, ma per colpa della pioggia eravamo tutti umidi e infreddoliti e quindi abbiamo cercato legno e carta e abbiamo acceso un falò. Che in Africa si sia dovuti ricorrere ad un falò per cercare un po’ di tepore sinceramente è anche difficile da spiegare.
Passata la lunga notte è arrivato finalmente il giorno e… via, di nuovo in movimento. O meglio, questo pensavamo noi, ma le sorprese non erano ancora finite. I camion infatti non avevano oltrepassato la dogana e quindi non restava che attendere. A questo punto il tempo non passava davvero mai e ne abbiamo approfittato per mangiare qualcosa, bere un caffè e svegliarci un po’, data la notte passata in bianco.
A fine mattina, verso l’una, siamo riusciti a partire, ma ogni mezz’ora c’era un controllo della polizia.
Grazie alla stanchezza e all’aria condizionata, più o meno tutti siamo subito crollati dal sonno risvegliandoci in un mondo nuovo. Sempre Africa, certo, ma molto più evoluta rispetto a quella che avevamo lasciato.
Ora siamo ad Abidjan e dai finestrini non vediamo più le casette di paglia o i container che in Ghana vengono usati come bancarelle, ma iniziamo a scorgere negozi e centri commerciali, strutture e strade asfaltate costruite dai francesi negli anni Settanta, e così è come compiere un viaggio nel passato: chiudi gli occhi e sei in Francia, li riapri e sei di nuovo in Africa. Finito il sogno però bisogna ritornare alla realtà e dopo questa avventura non proprio rilassante, anche se divertente e sicuramente non comune, si approfitta per riposare in attesa del debutto, per ricominciare a far conoscere anche qui la magia del circo.