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Il clown che risorge

di Massimo Locuratolo

Quella del coronavirus non è la prima crisi che il circo (e il mondo) affrontano. La storia di Emmett Kelly, l’artista statunitense che durante la Grande Depressione diede vita alla figura del clown senzatetto, raccontata in questo articolo da Massimo Locuratolo, ci ricorda che anche nei momenti difficili l’arte sa trovare i mezzi per creare bellezza e ci dà speranza per la rinascita che seguirà la fine della pandemia.

In questo scatto del 1953 sono evidenti i tratti da tramp, da senzatetto, del clown ideato da Emmett Kelly.

Nel 1929 l’apparato economico americano fu travolto dal catastrofico tracollo della Borsa di New York. Le ripercussioni sulla struttura sociale furono devastanti. Quelli che seguirono furono definiti, non a caso, glianni della Grande Depressione. Centinaia di migliaia di persone persero l’occupazione e, con quella, anche la speranza di progettare la propria vita sul dettato del Grande Sogno Americano. Rispetto a prima, il numero di coloro che vivevano in strada e cercavano riparo nei treni merci era aumentato in maniera esponenzialmente drammatica. Questo soggetto ha prodotto fiumi d’inchiostro, di teorie economiche e politiche, di analisi retrospettive ed è stato di ispirazione per diverse pellicole cinematografiche. Anche i teatri di varietà americani e gli artisti che lavoravano sui loro palcoscenici subirono i contraccolpi di una crisi finanziaria senza precedenti. Negli anni Venti Emmett Kelly (1898–1979) faceva l’illustratore, oltre che l’acrobata e il clown. Per la creazione dei personaggi che comparivano nei suoi cartelloni pubblicitari e sui manifesti si era ispirato, già dal 1924, all’aspetto sciatto e alla personalità smarrita degli hobos (così vengono definiti, in inglese, i senzatetto). E nel 1925 aveva elaborato immagine e comportamenti di colui che li rappresentava al meglio: Weary Willie. Dalla bidimensionalità e dai movimenti statici imposti dalla matrice litografica alla sua rappresentazione teatrale il passo fu breve. Nel 1928 Emmett Kelly interpretava Weary Willie nei locali notturni. Quando lo propose alla direzione del John Robinson’s Circus non venne però accettato, in quanto era “sporco e trasandato” e, per questo motivo, inadatto all’estetica della produzione. Qui va ricordato, a onor del vero, che la figura del vagabondo senzatetto non era del tutto estranea all’immaginario collettivo.

Il successo di Emmett Kelly è testimoniato anche da questa pubblicità
del Bell Telephone System datata 1949

Una stella del vaudeville, W.C. Fields, agli inizi del secolo presentava un numero di giocoleria ispirandosi, per l’abito di scena, all’aspetto degli hobos. Ma il più famoso di tutti era il tramp di Charlie Chaplin. Il celebre artista inglese e tutti i clown che affollavano le piste dei circhi americani possedevano un tratto in comune: stavano sempre in movimento. Per semplificare, potremmo dire che basavano la riuscita degli effetti esilaranti sull’azione e sull’interazione dinamica con oggetti, animali e persone. Emmett Kelly lavorò su Weary Willie per diversificarlo. Lo dotò di un atteggiamento passivo, lasciando che si estraniasse da tutto e da tutti come se, apparentemente, la cattiva sorte lo avesse privato di ogni capacità reattiva. Fu un’idea vincente. Mai si era visto un clown che entrava in pista con quella attitudine, né tantomeno che si muovesse mantenendo un ritmo lento pieno di pause. E, meno che mai, si era visto un hobo clown. Nel decennio successivo non smise mai di ridisegnare Weary Willie usando una matita dalla punta finissima. Gli spettatori che lo videro all’Hyppodrome di New York nel 1937, con il Cole Brothers and Clyde Beatty Circus, applaudirono un personaggio completo, curato nei dettagli. Il trucco fissava il volto in un’espressione di mestizia solenne e universale. L’interno delle sopracciglia svirgolettava verso l’alto – una soluzione grafica, molto ben conosciuta dai disegnatori, che conferisce immediatamente un’aura di tristezza. Le guance, spolverate di nerofumo, alludevano senza dar adito a dubbi a rasature sporadiche e mal eseguite ed incorniciavano il classico naso rosso. La bocca era inquadrata da una spessa banda orizzontale di cerone bianco per dare risalto ai movimenti delle labbra. Pantaloni e palandrana, di qualche taglia più larghi del necessario, erano lisi e sbrindellati, per suggerire l’idea di aver conosciuto tempi migliori svariati secoli prima. Perfetti come svolazzante costume di scena, in quanto ben sottolineavano i movimenti. Dal momento che Weary Willie non parlava mai, questi accorgimenti servivano a definirne le modalità comunicative, affidate esclusivamente alla mimica, cioè al repertorio di gesti ed espressioni che Emmett Kelly padroneggiava da consumato professionista. La sensazione di sporcizia e di miseria, che i senzatetto nella vita reale trasmettevano a chiunque li incrociasse, qui era praticamente svanita. Weary Willie comunicava tenerezza e infantile ritrosia. Nell’avvicinarsi al prossimo manifestava una vaga timidezza, come se non intendesse disturbare né infastidire, ma volesse solamente suscitare affetto e comprensione. Sul finire degli anni Trenta il personaggio più dignitosamente rovinato dello spettacolo internazionale stava ai bordi della rampa di lancio. Chiusa l’esperienza col Cole Brothers and Clyde Beatty Circus, venne portato in Gran Bretagna da un colosso degli spettacoli viaggianti, il Bertram Mills Circus.

Emmett Kelly ritratto in compagnia di altri clown del Circo Ringling
a Sarasota, in Florida.

Era il primo hobo clown a calcare una pista europea. Sebbene il suo aspetto si ispirasse a una fascia sociale circoscritta ed ovunque ben conosciuta e riconoscibile, per il modo con cui agiva in pista, per la scrittura e la struttura delle entrée e per i meccanismi con cui si relazionava col pubblico, Emmett Kelly dimostrava ormai di aver trovato la chiave per ridurre al minimo l’impatto con le cause sociali ed economiche che avevano prodotto la tragedia dei senzatetto, lasciando che Weary Willie esprimesse una personalità in cui non trovavano posto istinti di rivalsa, di rabbia e frustrazione, né i sintomi del degrado, della malattia e della disperazione. Aveva evidenziato, invece, un lato del carattere poco appariscente, che forse qualcuno tiene nascosto per pudore, costituito da slanci di altruismo, dalla necessità di sentirsi amato e compreso, e da una certa qual reticenza nei confronti di un riscontro a questo bisogno. Di fatto, quando Weary Willie girovagava presso le gradinate dava l’idea di chiedere in silenzio l’accettazione della sua malinconia senza voler nulla in cambio, se non un sorriso comprensivo. Il pubblico capiva che quel sorriso rappresentava tutto ciò di cui aveva bisogno. Nel 1940 venne messo sotto contratto per il cast del musical Keep off the grass interpretato, tra gli altri, da Jimmy Durante e Jackie Gleason, due pezzi da novanta dello spettacolo americano. Al Broadhurst Theatre di Broadway era entrato in scena il primo hobo clown mai dato in pasto al pubblico esigente dei teatri coi velluti rossi. Lowell Swortzell, in Here come the clowns (The viking press, 1978), ha raccontato che c’era un numero, The horse with the hansom behind, in cui Weary Willie se ne stava seduto silenzioso e triste in un angolo, mentre i cantanti/attori tenevano il centro della scena.
Senza muoversi da lì faceva il contrappunto alla loro esibizione con un tempismo impressionante, producendo mesti sorrisi, annuendo con la testa e muovendo le labbra come se stesse gorgheggiando qualcosa che solo lui poteva sentire. Le risate che riusciva a scatenare coprivanola musica e appannavano le figure degli interpreti principali. La critica parlò di lui utilizzando termini entusiastici. La consacrazione definitiva avvenne nel corso della residenza (dal 1942 al 1956) al Ringling Bros. and Barnum&Bailey. Com’era in uso, nelle gigantesche produzioni americane i clown si muovevano inquadrati in vere e proprie truppe. Difficilmente si riusciva a seguire una singola esibizione, dato che lo show, pensato per svilupparsi su tre piste, era centrato sulla grandiosità delle coreografie che incorniciavano le prove rischiose e i numeri con gli animali. Il pubblico però non tardò a identificarlo, apprezzandone lo stile. Emmettt Kelly restava sotto il tendone dall’inizio alla fine dello show, percorrendo piste e gradinate con la sua iconica espressione afflitta, comunicando l’idea di avere la mente concentrata su un sogno di cui avrebbe voluto consegnare un frammento ad ogni spettatore. Quando raggiungeva un dato settore mordicchiando le foglie di un cavolo e, restando impassibile, si fermava ad osservare una signora senza ammiccare, catalizzava su di sé l’attenzione delle persone accomodate in quella zona, distogliendole dallo spettacolo. La popolarità acquisita gli procurò un indotto di apparizioni televisive, e di inviti ad eventi di vario genere nelle città dove il Barnum si attendava, cosa inusuale per un artista della pista. Weary Willie è comparso anche in un film del 1952 (Il più grande spettacolo del mondo) nell’atto di svolgere alcune routine, seppur queste siano state ridotte a poche scene in una storia corale che descriveva, coi mezzi del kolossal hollywoodiano, la vita quotidiana di un grande complesso circense. Oggi, col mondo che sta affrontando una crisi di pari portata alla Grande Depressione, la figura di Emmett Kelly ci rammenta che il circo è già sopravvissuto a tempi difficili e che ha saputo esprimersi in contesti drammatici trasformando la paura in gioia e stupore. Emmett Kelly ritratto in compagnia di altri clown del Circo Ringling a Sarasota, in Florida.

Articolo tratto dal settimo numero della rivista Circo – Speciale pandemia del secondo semestre 2020

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