Ecco quel che si può definire “Cominciare l’anno con un sobbalzo”. In una edizione speciale digitale del Corriere della Sera datata 1 gennaio 2014 leggo un articolo di Michele Farina il cui titolo è “La scuola di clown in Uganda con il restauratore di sorrisi”.
Perché un sobbalzo? Perché i miei ricordi dell’Uganda, da me più volte frequentata negli anni ’70 del secolo scorso, risalgono a tempi in cui il sorriso era regolamentato da un “coprifuoco” di regime tra i più rigorosi. Nella mia veste di giornalista io, così come altri colleghi italiani, ero presenza gradita ma solo a patto di testimoniare al mondo quanta “natura d’Africa” ancora si potesse reperire. E infatti, fra le meraviglie di quella savana e di quelle foreste e di quelle cascate di cui l’Uganda è custode privilegiato, io ho respirato a pieni polmoni non limitandomi, al ritorno, a scrivere i consueti articoli bensì scrivendo, per la SEI di Torino, un libro di 230 pagine intitolato “Il leone”.
Ma il quadro umano, nella capitale Kampala, si presentava ben diversamente da quella che noi siamo avvezzi a chiamare normalità. Non per caso il nostro programma, bene accetto dal Regime di Idi Amin Dadà, era improntato a testimonianza paesaggistica, se non addirittura turistica. Su questi temi, e su questi soltanto, le autorità erano disponibili a fornirci risposte esaustive. Solo una notte noi giornalisti italiani avremmo fatto sosta a Kampala, la capitale, prima di imbarcarci sugli automezzi che ci avrebbero condotto nel cuore della savana, ma quella notte bastò a non desiderarne altre.
Dopo una cena consumata in un luogo della Capitale, ci eravamo concessi una passeggiata serale con lo spirito di chi guarda con curiosità e niente altro. Ma questo era già troppo per chi ci sorvegliava e non mancò di farcelo sapere con segnali significativi. Accadde a me di vedere un’auto, mentre stavo per scendere da un marciapiede, che si accostava con una brusca frenata accompagnata dagli sguardi minacciosi di chi la guidava. Accadde ad altri colleghi di vedere e sentire alcuni piatti caduti da una finestra e infrangersi al suolo a titolo di avvertimento. “Andate a dormire e rinunciate a curiosare”, ci stava dicendo con quel linguaggio il regime. Cosa che ci affrettammo a fare, ovviamente, però incamerando anche pensieri inevitabili sull’accanimento oppressivo ai danni di una popolazione africana.
Ecco perché ora dico che comincio il nuovo anno con un sobbalzo. Apprendo, ora, che almeno un circo in Uganda esiste e che ormai la fabbrica del sorriso non è più costretta alla clandestinità. “All’Hiccup Circus”, si legge nel messaggio digitale, “hanno acrobati, giocolieri e pure un bulimico mangiafuoco”. E’ carente, invece, la parte umoristica, ma questo è problema che, per verità, non esiste soltanto nel cuore dell’Africa. E’ invece molto molto molto significativo che di quell’ingrediente si avverta il bisogno non solo a Capodanno ma anche negli altri 364 giorni.
Ho sentito il bisogno di recuperare un lontano ricordo in questa sede perché, avendo vissuto l’Africa davvero nera di ieri con le mie sensazioni e i miei riscontri di uomo col mestiere di scrivere, è davvero una festa apprendere che la risata non è più condizionata dal regime. I clown già lo sanno di svolgere un lavoro che è prezioso per il mondo. Che lo sappia chi, in questo inizio del 2014, ancora si trova a vivere in luoghi di democrazie non ben consolidate se non peggio, è buon segno di cammino universale verso un futuro di libertà nell’intero pianeta. E ovviamente assieme al circo.
Ruggero Leonardi