“Ti ho fatto senza eguali. Tutti i tesori della terra giacciono dinanzi ai tuoi occhi. Sotto la tua unghia schiaccerai i miei nemici e sul dorso recherai i miei amici. Sarai felice su tutta la terra e preferito su ogni creatura, perché sarai il prediletto del re della terra. Volerai pur non avendo ali e combatterai pur non avendo spada”. Così il Creatore, secondo una leggenda araba, si rivolse al cavallo dopo averlo creato a partire dal vento.
Queste parole esprimono in maniera intensa e compiuta l’importanza, quasi la sacralità che il cavallo riveste presso tanti, se non tutti, i popoli della terra. Sentimenti forse un po’ offuscati per le civiltà, come la nostra, ormai affrancate dal suo lavoro come necessità, ma ben felici di mantenere e recuperare un rapporto con questo animale che ha fatto la storia insieme con l’uomo, o meglio, con cui l’uomo ha fatto la sua storia. E tanti e tali sono stati i ruoli del cavallo che nelle simbologie esso assume significati contrastanti ma coesistenti: potere solare e lunare, simbolo di vita e di morte, espressione della ragione e dell’istinto vitale.
Il primo documento storico sul cavallo è un’immagine egiziana del 1700 a.c. ma sicuramente l’addestramento cominciò molto prima, si pensa intorno al 4000 a.c., con una specie ormai estinta in libertà, il cavallo di Prewalsky, originario delle steppe asiatiche e progenitore del cavallo domestico. E’ forse superfluo ricordare che importanza ha avuto questo animale per lo sviluppo di tutte le attività dell’uomo: lavoro, viaggi e quindi contatti con altri popoli, e purtroppo anche e soprattutto la guerra. Non è retorico dire che senza il cavallo lo sviluppo della civiltà non sarebbe stato lo stesso. Questa premessa ci serve per capire come l’esibizione di questi animali, creata o comunque presentata in forma di spettacolo, segue un’estetica parecchio diversa rispetto a tutte le altre specie.
Lo spettacolo con i cavalli non può, non deve, esprimere soggiogazione, supremazia da parte dell’uomo, ma piuttosto armonia, esaltazione delle doti dell’animale e dell’intesa col suo cavaliere, quelle doti e quell’intesa che rendevano possibile la conoscenza e la conquista di terre e popoli lontani. Il Centauro, creatura della mitologia greca, esprime l’esaltazione massima di questa intesa: una creatura metà uomo e metà cavallo.
Le prime testimonianze di spettacoli con i cavalli si hanno presso i Romani, che già presentavano acrobazie equestri ed evoluzioni di cavalli nello stile in libertà. Le esibizioni spettacolari continuano nel corso della storia: giostre e tornei medievali ne sono un esempio. A quelle epoche si può far risalire la nascita di manifestazioni che si mantengono tutt’oggi, quali i tanti Palii che si corrono nelle varie città d’Italia, o la splendida Sartiglia di Oristano, un misto di giostra medievale e di piramidi equestri, acrobazie che esaltano l’abilità dell’uomo a muoversi con e sopra il cavallo.
Per molti secoli le esibizioni di cavalli furono comunque subordinate a competizioni agonistiche di cavalieri, e quindi più strettamene legate a un’impronta militare. E’ solo a partire dal 1600 che si hanno testimonianze di spettacoli in chiave più “leggera”, quali la presentazione di cavalli sapienti.
Nel 1768 nasce il circo con le evoluzioni equestri di Philip Astley, esercizi comunque già in uso nella tradizione militare. Con il circo il cavallo trova la sua massima esaltazione nello spettacolo, grazie alla nascita e differenziazione dei vari filoni di addestramento. Prima di analizzarli in dettaglio consideriamo quelle che sono le caratteristiche etologiche e psichiche di questo animale. Visto quanto si è detto sulla sua importanza materiale e sulla simbologia che di riflesso ne è nata, spesso gli si sono attribuite doti eccessive. Molto si è discusso e si discute ancora sul grado della sua intelligenza: le dimensioni del cervello e l’organizzazione dei centri nervosi del cavallo sicuramente non sono tipiche di un animale con elevato grado di intelligenza. Del resto si sa che il comportamento è influenzato più da fattori genetici che dall’addestramento e dalle esperienze cognitive. Molti addestratori, fra cui il grande Fredy Knie sen., hanno sottolineato l’importanza della scelta delle razze adatte per le diverse discipline circensi, anche perché in alcuni casi le razze sono state sottoposte a una selezione psico-fisica talmente spinta da creare soggetti perfetti per un tipo di prestazione, ma molto poco flessibili e adattabili a situazioni diverse.
I comportamenti istintivi più importanti del cavallo sono stati identificati e sono alla base di molti tipi di addestramento: la fuga (l’istinto usato da sempre come stimolo alla corsa); la curiosità, che viceversa porta l’animale ad avvicinarsi all’uomo e anche a simulare un attacco; il gioco, tipico di tutte le specie animali; e l’istinto di aggregazione, essendo il cavallo un animale assolutamente sociale, che in natura vive sempre in branchi.
L’addestramento moderno, a tutti i livelli, si basa proprio su questi istinti fondamentali, per cercare di creare un rapporto di convivenza e collaborazione spontaneo con l’uomo. Aspetto non difficile proprio per la tendenza sociale del cavallo, e quindi per la possibilità da parte dell’uomo di assumere il ruolo di capo-branco, senza dimostrare nessuna paura dinanzi agli atteggiamenti di sfida dell’animale. E utilizzando gli strumenti (fruste e frustini) non per punire ma per indicare al cavallo ciò che gli si chiede. Ben diversa era la situazione in passato: il cavallo, nato e cresciuto in maniera molto libera, spesso anche allo stato semibrado, doveva essere sottoposto alla cosiddetta “doma”. Un insieme di pratiche diverse da caso a caso ma sempre molto coercitive nei confronti dell’animale, che doveva imparare ad accettare i finimenti e la presenza dell’uomo. Fortunatamente il cavallo ha una memoria piuttosto limitata, per cui l’animale non ricorda a lungo le punizioni subite e non mantiene rancore; la ribellione, se c’è, è immediata. Partendo da queste basi si può capire come, se i metodi di doma potevano essere sufficienti per preparare il cavallo alle normali attività di lavoro o sportive, risultavano carenti per l’addestramento a fini di spettacolo. Ecco perché da sempre i grandi addestratori di circo si sono sforzati di trovare dei metodi più evoluti. Ciò in particolare nell’ultimo secolo, vuoi per una sensibilità estetica e culturale più attenta nei confronti dell’animale, vuoi perché il cavallo, dopo la prima guerra mondiale, ha perso sempre di più il suo ruolo e quindi la sua immagine militare. Ruolo la cui eredità viene raccolta soprattutto dalle discipline agonistiche, mentre lo spettacolo, e il circo per primo, cerca un’estetica più innovativa, più libera da vincoli formali e dal senso di dominanza dell’uomo. Un cavallo ammaestrato è un’estetica e una bellezza naturale che il circo trasforma in arte. Arte che è ben diversa dall’espressione della doma, che pure é ben evidente in altre forme di spettacolo quali i rodei. Nel circo siamo in una fase estetica successiva, più evoluta. Gli storici di circo oggi raggruppano i tanti tipi di esibizioni equestri in cinque filoni fondamentali: volteggio, panneau, libertà, alta scuola e pantomime.
La prima specialità fu il volteggio, a cui appartenevano le evoluzioni presentate da Astley nel 1768. Il volteggio si è molto evoluto col tempo e con discipline più specializzate: il jockey, le piramidi, i cavallerizzi ed il più recente (almeno per noi) volteggio alla cosacca. In queste discipline il cavallo fa solo da supporto per le acrobazie dell’uomo, la cui difficoltà e spettacolarità vengono esaltate proprio dal fatto di lavorare sui cavalli. Ma per la riuscita di questi esercizi è necessario comunque un perfetto addestramento dell’animale, che deve raggiungere la massima sintonia con l’uomo-acrobata. Enrico Caroli, un’indiscussa autorità in materia, diceva che era riuscito ad eseguire certi esercizi perché il cavallo lo aiutava a saltare. Anche la forma circolare della pista è indispensabile per eseguire acrobazie sull’animale al galoppo; se esso procedesse in linea retta gli stessi esercizi sarebbero quasi impossibili. Nel volteggio classico gli italiani non hanno avuto grossi rappresentanti, di contro come cavallerizzi hanno raggiunto livelli eccezionali. Fu un italiano, Lucio Cristiani, ad eseguire per primo un salto mortale fra il primo ed il terzo cavalo, ed un salto mortale in piroetta da un cavallo all’altro; tutta la famiglia Cristiani ebbe meritata fama in America, dove lavorarono a lungo con una troupe sino a ben 17 artisti.
Tanti sono gli altri nomi da ricordare: i Chiarini, le cui origini come artisti equestri risalgono addirittura al 1580, i Fratellini, i Frediani (primi esecutori di una colonna a tre), i Caveagna, gli Zamperla e i grandi Caroli, la cui stella Enrico, da molti considerato il più grande cavallerizzo italiano, e non solo, di tutti i tempi, era capace di exploit come il salto mortale in piroetta dal primo al terzo cavallo. I Caroli sono stati l’ultima in senso cronologico, grande troupe italiana. Li ricordiamo fino agli anni Ottanta con la loro grande abilità, ma anche per il dinamismo e la carica che sapevano trasmettere. Una menzione speciale meritano le artiste donne, le cavallerizze che, a cavallo fra ‘800 e ‘900, in piena Bella Epoque, erano le dive per eccellenza. Il cinema era poco più che neonato, la televisione era lontana da venire, e il teatro ancora legato a canoni più rigidi e riservato a un pubblico più selezionato. Il circo invece era già uno spettacolo molto popolare, e faceva risaltare al massimo la bellezza di queste artiste. Del resto un altro dei meriti del circo nei confronti del cavallo fu quello di avvicinare il grande pubblico alle esibizioni equestri. L’equitazione sportiva era nell’‘800 una disciplina molto importante, ma riservata a un pubblico e ancor di più a praticanti d’élite. Col circo i ceti popolari si avvicinarono alle discipline equestri, e personaggi come le cavallerizze trovarono la loro giusta fama. Le italiane più famose sono le Ciniselli, Guillame, Chiarini, Truzzi, Diamira Magni, famosa per il suo temperamento focoso, e, più di recente, Cipriana Folco.
Ettore Paladino