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Grock e Achille Zavatta. Due clown e una guerra mondiale

di Massimo Locuratolo

È difficile pensare a un clown in tempo di guerra. È strano immaginarsi questo simbolo dell’allegria costretto ad affrontare uno dei contesti più tragici nei quali può trovarsi un essere umano. Eppure, ovviamente, anche i pagliacci subiscono le intemperie della Storia. Il critico Massimo Locuratolo racconta come due grandi clown, Grock e Achille Zavatta, hanno affrontato il periodo buio della Seconda guerra mondiale.

La caricatura che Barenspiegel ha dedicato a Grock nel 1945

Adrien Wettach, col nome d’arte “Grock”, è stato il clown che nel secolo scorso ha conseguito il successo più duraturo. Se calcoliamo che il debutto teatrale come ditta a sé stante – è stato il primo clown a calcare i palcoscenici delle music-hall, ovvero le sale dedicate agli spettacoli di varietà, dopo aver trascorso sette anni sulle piste in coppia col bianco Antonet – era avvenuto nel 1914, e che l’ultimo spettacolo lo fece col circo che portava il suo nome nel 1954, i conti sono presto fatti. La sua carriera lo ha condotto in decine di nazioni, gli ha permesso di farsi ammirare dai potenti della terra ed ha attraversato due conflitti mondiali. Nel 1939, al picco del successo e della stabilità economica, aveva dato l’addio alle scene per ritirarsi nella sua villa in Liguria. Aveva 59 anni.
Nel 1944 sembrava ancora che la Seconda guerra mondiale non dovesse mai finire. I prezzi continuavano a salire, c’erano bombardamenti dal cielo e dal mare anche ad Imperia, la vita era diventata pericolosa e lui non si sentiva al sicuro. Un ordigno, caduto dietro casa sua, aveva frantumato i vetri delle finestre e fatto crollare i soffitti del secondo piano. La situazione lo convinse a lasciare l’Italia per trasferirsi nella neutrale Svizzera – il paese dov’era nato. Affidata Villa Bianca alle cure del personale, il 30 agosto oltrepassò la frontiera di Chiasso. La notizia del suo arrivo in suolo elvetico si diffuse rapidamente. Era un artista di primissimo livello internazionale, sostenuto da un apparato mediatico che non aveva mai smesso di tenerlo d’occhio. Fu avvistato a Lucerna, dove viveva sua sorella. Qualche cronista gli scrisse chiedendogli un appuntamento, ma lui rispose che il tempo delle interviste non era ancora giunto; avrebbe comunicato in seguito quando sarebbe stato disposto a ricevere la stampa; per il momento voleva trascorrere qualche mese in pace. Presto iniziarono a cercarlo anche i direttori dei teatri svizzeri. Affidò il compito di tenerli a bada e di organizzargli una tournée per l’anno successivo ad un impresario di Ginevra, Maurice Verley. I giornali iniziarono a informare i lettori riguardo il suo imminente rientro in scena. In generale, tutti si mostrarono contenti di sapere che un famosissimo connazionale era tornato a casa. Ma non furono solo rose e fiori. Le critiche che gli vennero lanciate si basavano sostanzialmente sul fatto che negli anni Venti e Trenta aveva lavorato per molto tempo nei migliori teatri di Germania, facendo letteralmente innamorare di sé il pubblico tedesco; e in aggiunta, difetto imperdonabile, piaceva pure al Führer, a Goebbels e agli alti papaveri del regime. Il 10 gennaio 1945, giorno del sessantacinquesimo compleanno, Die nation gli aveva indirizzato la seguente requisitoria:

“1 – Avete offerto delle rappresentazioni a favore dei disoccupati svizzeri, della Croce Rossa, delle famiglie dei soldati?

2 – È vero che possedete una fotografia, a voi personalmente dedicata, del Führer tedesco?
3 – A prezzo di quale sforzo l’avete ottenuta?

4 – Vi siete istallato sulla Riviera italiana grazie alle vostre relazioni coi dittatori?

5 – Gli alleati erano al corrente delle vostre relazioni con la Germania di Hitler? È questo il motivo per cui la vostra proprietà è stata bombardata 75 volte?

Grazie per voler rispondere, affinché noi ci si possa nuovamente divertire con i lazzi di un onesto compatriota”.
Barenspiegel gli dedicò una caricatura sulla copertina di febbraio, accompagnata da un commento: “Grock trova la sicurezza in Svizzera, e nei bagagli vi è una foto con dedica del Führer”. Nell’articolo interno si trovava scritto che “il clown hitlero-mussoliniano ritorna nel suo paese dopo aver subito i bombardamenti che hanno distrutto il suo palazzo nel paradiso fascista!”. Wettach non si prese nemmeno la briga di leggere gli articoli. Ma qualcos’altro successe comunque. Quando l‘esercito svizzero lo invitò a esibirsi per beneficenza egli rifiutò e chiese un compenso di 3000 franchi, adducendo a pretesto che il paese non era coinvolto nella guerra e il suo esercito non contava feriti. Lo spettacolo non si fece. A quel punto i cronisti iniziarono a scavare. Scoprirono che durante un suo ritorno in Germania, tra l’autunno del 1941 e la primavera del 1942, aveva recitato in alcuni ospedali a favore dei soldati che vi erano ricoverati. Fu allora che la situazione precipitò. Dal 20 al 31 gennaio del 1945 era atteso al Teatro Kuchlin di Basilea per il debutto del tour che lo avrebbe portato nelle maggiori città dei 22 cantoni. I manifesti che lo annunciavano vennero ricoperti di croci uncinate e di fronte all’ingresso si formavano capannelli di facinorosi che non smettevano di indirizzargli pesanti minacce. Per proteggerlo venne mobilitata la polizia. In breve, fu montata una campagna mediatica assai denigratoria. La faccenda sembrava fuori controllo. Ma presto venne chiarito che Grock aveva grande simpatia (ricambiata) per il popolo tedesco, pur senza aver mai collaborato coi nazisti; anzi, nel 1939 aveva lasciato la Germania proprio in quanto non gli piaceva l’aria che vi si respirava. Riguardo la storia della foto con dedica del Führer, si scoprì che Hitler lo apprezzava follemente, ne parlava bene ogni qualvolta ce n’era l’occasione ed aveva assistito diverse volte al suo spettacolo. A luci spente e sipario chiuso, quando bussava alla porta del camerino per fargli i complimenti, non era il caso che Grock lo lasciasse in corridoio. Come spesso avviene, tutto quel polverone produsse un effetto collaterale: gli fornì una formidabile copertura promozionale. Dopo qualche replica deludente, il Teatro Kuchlin venne preso d’assalto da un pubblico festoso e riconoscente. E il tour nei 22 cantoni fu baciato da un clamoroso successo.

La folla davanti al Kuchlin di Basilea per lo show di Grock nel 1931

I paragrafi successivi sono una traduzione originale, liberamente adattata, da Viva Zavatta, Editions Robert Laffont, 1976.

Stessi anni. Medesimo scenario storico.
Nel 1939 Joseph Bouglione stava girando l’Olanda col suo circo. I clown dello spettacolo erano Achille Zavatta e il bianco Alex. Da Utrecht i Bouglione dovettero precipitarsi a Parigi per gravi questioni famigliari e lasciarono all’italien il compito di portare avanti la tournée. Zavatta aveva 24 anni e l’esperienza di un veterano della pista e della logistica circense. Il che, nell’ambiente, significava saper fare tutto – al meglio – sia sotto lo chapiteau che al suo esterno, e lungo gli itinerari prestabiliti. Il sentimento comune avvertiva che la dichiarazione di guerra era imminente. Zavatta ricevette una lettera da Parigi con la quale Bouglione lo sollecitava a rientrare velocemente, non prima di aver spedito più materiali possibile, e tutti gli animali, con un treno. Lasciatosi alle spalle i Paesi Bassi, quando si trovò tra la frontiera belga e quella francese si accorse di aver smarrito il passaporto. I doganieri non lo lasciarono rientrare in Francia, e pure quelli sul lato belga lo bloccarono, sebbene avesse dichiarato di voler raggiungere l’Ambasciata francese a Bruxelles per farsi fare un duplicato. Per otto tormentati giorni il caravan nel quale alloggiava con la moglie e con Lydia, la figlioletta di un anno, rimase fermo nella terra di nessuno che separava le due caserme. Fortunatamente nei loro pressi vi erano gli spacci alimentari. Sbloccata la situazione mediante l’intervento di un conoscente in servizio nella Préfecture, raggiunse Fougères, in Bretagna, dove risiedeva la sua famiglia. Lì apprese che la dichiarazione di guerra era stata ufficializzata. L’atmosfera generale era greve. Trasudava desolazione. I muri si riempirono di manifesti su cui c’era scritto “MOBILITAZIONE GENERALE”. Si respirava la paura.

Alex e Zavatta che si spostavano sotto i bombardamenti a Parigi per portare gioia e sorrisi

Dopo essersi spostato a Tremblay, presso Rennes, per sistemare il caravan nel quartiere invernale del circo Figuier, il 3 settembre 1939 firmò il reclutamento volontario. Era un periodo funesto nel quale le merci, anche le più comuni, erano diventate praticamente introvabili. Malgrado gli invasori tedeschi proibissero il possesso di armi, in attesa della chiamata Zavatta andava a caccia, clandestinamente, col fucile. Grazie alla selvaggina, a qualche risparmio e al paniere pieno quando si recava a pescare, riuscì ad assicurare a sé e alla famiglia un vitto di sopravvivenza perlomeno decente. Per velocizzare gli spostamenti tra il luogo dove gettava la lenza – talvolta a 10 chilometri di distanza – e Tremblay costruì un carretto con alcune tavole di legno alle quali riuscì a fissare quattro ruote di bicicletta. Come bestia da traino assunse il suo robusto cane di razza Briard. Trascorsi tre mesi a Tremblay, gli Zavatta raggiunsero Rennes. Acquistata un’autovettura, sino all’estate del 1940 sopravvissero rivendendo nelle fattorie sparse in campagna le merci acquistate da un grossista cittadino. Il circo era il suo sangue, la sua vita. Trovò il modo per fare alcuni spettacoli in Bretagna sinché, poco prima che i tedeschi raggiungessero Parigi, fu richiamato alla caserma Charner, sita a Saint-Brieuc. Vi trovò parecchie centinaia di soldati mal equipaggiati, fra i quali tanti italiani come lui. Iniziò a intuire che c’era qualcosa di poco chiaro quando, pochi giorni dopo il reclutamento, vide gli ufficiali intenti a bruciare pile di documenti cartacei in cortile. Quello stesso pomeriggio, mentre si trovava nel bistrot sull’angolo, venne a sapere che la caserma era stata consegnata e che dopo le ore 16 vigeva il divieto di uscita. Zavatta iniziò a pensare che la situazione gli stava diventando stretta e programmò una fuga notturna per raggiungere la famiglia a Paimpol, distante 40 chilometri. Chiese al patron se poteva procurargli degli abiti civili. Quella notte scavalcò il muro di cinta, smise la divisa e iniziò a camminare attraverso i campi. Dopo venti minuti, scorse i fari di alcune colonne di mezzi tedeschi che si dirigevano verso Saint-Brieuc. Tutti gli occupanti della caserma Charner furono fatti prigionieri e direttamente spediti nei campi disciplinari. Per non destare sospetti decise di muoversi alla luce del giorno, dormendo all’aperto dove capitava e mescolandosi, alle prime luci dell’alba, coi gruppi di contadini che si recavano nei campi. Non avrebbe mai più sentito parlare della caserma Charner. Nel 1941 rimase a Paimpol, facendo il trasportatore di patate per i contadini del posto dai campi alla stazione ferroviaria. Ma quell’anno Medrano riaprì col suo nome, in quanto precedentemente era stato requisito dal circo tedesco Buch che ora rientrava in patria. Il direttore gli inviò un telegramma chiedendogli se volesse lavorare con lui. Sebbene trasportare patate con un camion fosse un’attività remunerativa, la sua vita era il circo. Partì alla volta di Parigi. Quando giunse gli fu comunicato che il suo partner sarebbe stato Alex, che già conosceva. Ne fu felicissimo. Si ricostituiva una coppia di clown straordinari: Alex e Zavatta. Sinché, nel 1943, Bouglione gli fece una proposta molto allettante che, dopo qualche esitazione iniziale, pensò bene di accettare. E passò al Cirque d’Hiver. Il sodalizio artistico con Alex sarebbe durato sino al 1955.

Articolo tratto dal nono numero speciale della rivista Circo – Fiori dal cielo estate 2022