La figura di Giacomo Cireni, in arte “Giacomino”, clown italiano, si staglia come un gigante buono nel panorama dell’arte circense mondiale fino a diventare una celebrità nella San Pietroburgo degli inizi del ‘900.
Nasce a Milano nel 1884, il padre Abelardo è un fantino e lo avvia subito, quando non ha ancora dieci anni, alla scuola di un piccolo circo di proprietà di Francesco Pulaiot. Qui appende gli elementi di base dell’acrobazia, equestre ed aerea. Prima di prendere il volo nella terra dei Romanov, lavora nei circhi Travaglia, Vitali e in quello di Augusto Frediani. Quando prende la strada di San Pietroburgo, in lui è già scoccata la scintilla per la clownerie, suo grande amore e passione.
A chiamarlo in Russia nel 1905 è un altro italiano ben noto nella storia del circo, Gaetano Ciniselli. Cireni matura qui la sua maschera inconfondibile all’insegna della leggerezza. Il trucco è quasi impercettibile, il berretto tondo è decisamente ridotto, mentre la giacca e i pantaloni sono extra large, così come le scarpe. E’ elegante e fa colpo. In Russia ottiene un grande successo nei circhi di notevole richiamo gestiti da Ciniselli e comincia a frequentare poeti, scrittori e personaggi altolocati. Diventa consigliere e consulente clown del drammaturgo russo Leonid Nikolaevic Andreev nella famosissima e immortale opera L’uomo che prende gli schiaffi.
I problemi arrivano nel 1917, quando la rivoluzione russa comincia a trasformare il paese del grande freddo e ad influenzare la storia mondiale. Amico dello Zar, ora in disgrazia, Giacomino si trova improvvisamente a nudo, sotto confisca tutti i suoi beni. Cambia radicalmente e d’improvviso il suo status, che Giacomino stesso aveva ben descritto: “Alla fine degli spettacoli andavo nelle bettole, dove si riunivano anche letterati, scrittori, musicisti e pittori. L’intellighenzia ci faceva subito posto al suo tavolo: voleva che l’uomo volante, il cavallerizzo, il pagliaccio, raccontassero la loro storia”. Fra l’altro non è l’unico a dover scappare dal paese che aveva tanto amato e che era diventato la seconda patria per diversi artisti italiani. Stesso destino tocca infatti anche ai Fratellini e a Rastellli.
Muore nel 1956, dopo aver lasciato un segno di profonda ammirazione non solo in un pubblico vastissimo, ma anche fra personalità dello spettacolo del calibro di Tatiana Pavlova. La presentazione vergata da quest’ultima nel libro di memorie che gli viene dedicato da Franco Bernini nel 1929, resta un punto fermo per capire la grandezza di Giacomino, del quale hanno scritto anche due storici del circo italiano come Alessandro Cervellati ed Enrico Bassano, fino al critico del Corriere della Sera, Massimo Alberini.