“Mi sento a disagio col mio volto quotidiano, dato che il mio vero personaggio è quello che avete visto in pista”. Basterebbe forse questa frase di Albert Fratellini per far capire non poco di quelli che possono essere considerati i fondatori del trio clownesco moderno. I Fratellini: François, Albert e Paul. Nomi virati alla grandeur perché la fama la raggiunsero a Parigi (al Cirque d’Hiver, al Medrano e al circo Busch) ma nelle vene di questi grandissmi clown riuniti per la prima volta insieme nel 1909, scorreva sangue italiano.
Sentite come Albert descrive il rito della preparazione all’ingresso in pista: “Il mio trucco era particolarmente lungo, durava almeno un’ora. Innanzitutto applicavo del fondotinta più o meno evidente su tutto il viso, a seconda dell’illuminazione della sala. Poi, in certe zone attorno alla bocca e agli occhi, bisognava cancellarlo, per far si che il bianco e il rosso potessero essere ben applicati.
Passavo quindi del sapone sulle sopracciglia, per incollarle. A questo punto indossavo una delle mie parrucche. Fatto ciò, iniziava il vero trucco, che consisteva nel disegnare in nero sulla pelle e sulla fronte della parrucca i due archi delle false sopracciglia, che eseguivo con tratti di identica dimensione. Le labbra, esageratamente allungate, erano eseguite in nero e vermiglio. Infine mi asciugavo il volto per attenuare la brillantezza del fard, prima di passarvi uno strato di cipria. Non mi restava che scegliere nella mia collezione di nasi rossi in cartone quello che mi serviva, e fissarlo alle orecchie con due cordicelle”.
Sembra di vederlo questo pittore del proprio volto, intento a dipingersi ogni giorno l’arte della clownerie come un Van Gogh del circo. “Nell’applicarmi nella creazione di una maschera non ho fatto che accentuare i miei tratti veri, dove il buonumore, la gaiezza e la stessa scapestrataggine predominano”, dirà ancora Albert. “Non avevo niente da nascondere: essendo il mio mestiere far ridere, credo che la prima virtù di un clown sia innanzitutto amare ridere, sentirsi bene nella vita e apprezzarne ogni gioia”.
I Fratellini hanno creato personaggi incredibili lavorando sul carattere e sull’aspetto, ed hanno inventato accessori e costumi semplicemente unici e meravigliosi. Scriverà lo stesso Albert nelle sue memorie: “Alice nel paese delle meraviglie avrebbe apprezzato queste chitarre che si rompevano sulla mia testa o esplodevano bruscamente, svelando agli occhi del pubblico i prosciutti e i salami che contenevano”. Il repertorio dei Fratellini superava le 180 entrée. Difficile dire quale sia la più famosa, ma di certo l’entrée dei Pompieri è da annoverare fra queste. Oltre che per essere dei bravi clown, non a caso sono passati alla storia per il ritmo di lavoro che li ha contraddistinti soprattutto nel periodo al Medrano. Ci tenevano a presentare ogni sera numeri differenti, che sceglievano non solo pescando nella loro creatività ma anche in base al pubblico: “Gli intellettuali non avrebbero apprezzato le buffonerie, le farse grossolane, come quella del pasticciere”. Dove Albert arrivava a mangiare un vassoio di sessanta paste. Era questa la filosofia dei Fratellini, attentissimi al loro pubblico.
Per una trentina d’anni François, Albert e Paul sono stati la principale attrazione comica del circo europeo. Il gioco a tre funzionava parecchio: Albert irrompeva in pista per scombinare quello che Francois il clown e Paul il controaugusto avevano già impostato. L’imprevisto e la stravaganza contro l’ordinario e il prevedibile. Affascinarono un pubblico sconfinato formato da gente semplice ma anche da intellettuali, personalità politiche e artistiche del mondo. Insegnarono anche al Vieux Colombier di Jacques Coupeau e si esibirono alla Comedie Francaise. E furono proprio i Fratellini ad esordire con Le boeuf sur le toit, il balletto composto da Jean Cocteau e Darius Milhaud che pare fosse nato per diventare la colonna sonora di un film di Chaplin.
Si diceva degli accessori impiegati in pista dai Fratellini, ma è riduttivo liquidarla così. Dovettero crearsi un magazzino per contenere le loro produzioni: dalla testa di elefante alle cinque teste di cavallo che tenevano nel camerino e che utilizzavano per “La corsa dei tori”. Poi un toro completo e un cavallo di stoffa, che in pista raccoglieva numerosi bambini che lo animavano e facevano muovere le orecchie della bestia nella parodia dell’addestramento. E poi sciami di mosche e vespe, cigni, asini, giraffe, scimmie, leoni, orsi … Una vera e propria Arca di Noè frutto di un’immaginazione sempre all’opera per realizzare nuove entrate comiche. Il riso e la tristezza convivono in parti uguali, soprattutto nei grandi comici. E le lacrime del clown a volte si trasformano in lacrime vere: “Per la scena del duello utilizzavamo una barella. Uno dei miei fratelli fingeva di uccidermi con una pistola a tappo. E mentre François con Paul, suo complice, portavano via la vittima con la barella, io resuscitavo e con una corona tra le mani seguivo la mia sepoltura versando lacrime amare. Mentre col cuore spezzato eseguivamo questa parodia con la nostra solita verve, una sera d’inverno queste lacrime sgorgarono sul serio. La nostra cara mamma, “il mio gioiello”, era appena spirata a casa di Paul, dove lei divideva l’esistenza con mio fratello, sua moglie e i loro figli: Victor, Regina, Violette, Tosca e il piccolo Emmanuel, che sarebbe morto prematuramente mentre Paul si trovava in pista con noi”.