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Feltri fa l’animalista con gli animali degli altri


“Chi educa un cavallo, educa se stesso”. Così parlò Vittorio Feltri. Poi resta da capire se l’educatore sia il cavallo oppure il direttore. Ma del direttore amante dell’ippica parleremo fra poco.
A commento della notizia di questi giorni, sul regolamento per il benessere degli animali adottato dal Comune di Milano, Vittorio Feltri su Rete 4 ha dato prova di un repentino invecchiamento. Non tanto delle cellule, perché questo sarebbe nulla considerato che l’età avanza inesorabile per tutti. A lasciare alquanto affranti nell’ascoltare lo sfogo di Feltri è stata la constatazione di una ben più preoccupante senilità: in lui è tramontata l’originalità, lasciando libero campo allo stereotipo, alla banalità, nel caso specifico a quello che pensano gli animalisti da salotto.
Cos’ha detto l’ormai sopravvalutato direttore? Ha ripetuto, peggio di come avesse fatto in passato e calcando la mano con un linguaggio offensivo, il suo pensiero sul circo. Che, detto fra noi, non è che cambi la percezione del circo nella storia dell’umanità. Perché da una parte ci sono (chi avesse voglia può leggerne alcuni qui) Federico Fellini, Charles Chaplin, Totò, Giovanni Paolo II, Ernest Hemingway, Marc Chagall… compresi giornalisti di ben altro calibro dal suo, come Orio Vergani, Giovanni Arpino, Enzo Biagi. E dall’altra parte c’è Vittorio Feltri.
Davanti a due domande soporifere poste da Giuseppe Brindisi, il direttore ha sparato che “non si può avere amore per gli animali e tenerli chiusi in gabbia e trattati come sappiamo, io spero che si abolisca l’utilizzo di qualsiasi animale per fini spettacolari, non c’è nessuno spettacolo migliore di assistere al passaggio di un animale in libertà”. Aggiungendo poi un’altra perla: “catturare degli animali e costringerli a fare scemenze per divertire quattro deficienti che vanno al circo a me sembra un’assurdità”.
Ricordate il direttore che ama darsi all’ippica? Ecco, proprio costui, di cui stiamo parlando, insegna su Libero come fare in modo che il cavallo stia “ai tuoi ordini come un agnellino”, racconta come decise di domare il suo primo puledro “ai fini di governarlo tra le gambe, comandandolo come fosse un veterano”, e poi “gli inflissi il fascione, una sorta di sottopancia, onde abituarlo ad avere intorno al corpo qualcosa di estraneo”, facendo la bella scoperta che (il puledro) “non si allarmò mai, non si ribellò. Si adattava alla mia volontà come un cucciolo volonteroso”, e “trascorsi alcuni giorni di esercizi, lo vestii all’inglese di tutto punto, e gli saltai con riguardo in groppa”. Feltri fa l’animalista con gli animali degli altri, insomma.
Questo genio qui, la libertà vorrebbe regalarla solo agli animali dei circhi (che com’è noto sono nella stragrande maggioranza cavalli non meno amati di come possa amarli il direttore), mentre ai suoi cavalli no.
Passi per le corbellerie, ma un direttore può non sapere che gli animali presenti nei circhi non vengono “catturati” ma sono nati in cattività da generazioni? Può non sapere, uno che frequenta cavalli e che dunque dovrebbe avere qualche nozione di ammaestramento, che con la “costrizione” non si ottiene nulla né dentro e né fuori dal circo? Speravamo sapesse. Invece ha clamorosamente sciupato quel mimino di credito che ancora gli tributavamo in forza del suo passato. Purtroppo gli sono rimasti solo stereotipi e distintivo (molto sbiadito). E probabilmente scambia anche i quattro deficienti che continuano ad ascoltarlo per spettatori del circo.

Vittorio Feltri, passione privata: “Chi educa un cavallo, educa se stesso”